77 – Pentimento o penitenza?

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Le penitenze fanno parte del gioco e sono un gioco nel gioco. Infatti, sono una scusa per un supplemento di divertimento. La penitenza, non deve essere umiliante o motivo di imbarazzo e chi la subisce non deve prenderla in tal senso, ma accettarla con spirito allegro e autoironia. Ma secondo la teologia cattolica, la penitenza, è una soddisfazione sacramentale, che il penitente riceve dal confessore dopo l’assoluzione dei peccati. Nell’amministrare la penitenza (preghiere, offerte, sacrificio personale, ecc.) il sacerdote tiene conto della situazione personale del penitente e la natura e la gravità dei peccati commessi.

L’equivoco delle penitenze non sta nel pentimento e/o nella riparazione del male fatto nei confronti di altri, come nell’esperienza di Zaccheo (Luca 19), ma in tre istanze fondamentali.

In primo luogo, nel ruolo del confessore che nella sua funzione di assoluzione del penitente, presenta tratti teologici che secondo la parola di Dio sono riferiti solo a Dio. Infatti, secondo la Parola ispirata solo Dio può perdonare (Luca 5: 21; Marco 2:7) e deliberare la “penitenza” che consiste, sommariamente, nel praticare la giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con il Signore (Michea 6:8)

In secondo luogo, il perdono divino è consequenziale al sincero pentimento e alla confessione dei nostri peccati fatta con piena fiducia (Salmo 32: 5) e non nella pratica della penitenza. Nella penitenza non c’è nessun aspetto meritocratico. In altre parole, il credente non è perdonato da Dio per quello che è o per quello che fa, ma perché Gesù Cristo, il giusto, santo e innocente, è morto sulla croce, divenendo per noi il mediatore, il nostro consolatore e intercessore. «Ma egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti» (Isaia 53:5; cfr. Isai 43:25; 1 Giovanni 1:9).

In terzo luogo, nel concetto di sacramento,  dove il rito si trasforma in qualcosa di magico che infonde la grazia, la benedizione di Dio, per il solo fatto di compierlo (ex opere operato), ovvero, da simbolico e commemorativo diventa operante di per sé nella sua materialità, acquisendo valore salvifico, deprezzando  l’opera di Cristo.

Scriveva Clemente Romano, “Il Signore nulla esige dagli uomini se non una confessione fatta a Lui” (Epistola 1 ai Corinzi, 52, cit. da H. C. Lea, storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella chiesa latina, 1911, p. 211).

«Ma ora confessate la vostra colpa al SIGNORE, Dio dei vostri padri, e fate la sua volontà!…» (Esdra 10:11)

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