21 – La Cena del Signore

la_cenaLa Cena del Signore è una parte distintiva del culto cristiano. Secondo il Nuovo Testamento Gesù la istituì mentre celebrava la Pasqua insieme ai suoi discepoli la notte prima della sua morte (Matteo 26:26-29; Marco 14:22-25; Luca 22:14-19; 1Corinzi 11:23-25). Normalmente si riceve il battesimo soltanto una volta nella vita per esprimere la grande svolta che la salvezza implica. Ma un cristiano celebra ripetutamente la Cena del Signore. Essa svolge un ruolo diverso nella sua esperienza.

 Cristiani chiamano questo rito in diversi modi. “Eucarestia”, che significa “ringraziamento”, è uno dei più antichi. “Cena del Signore” è il nome abitualmente dato tra i Protestanti che parlano anche di “Comunione”. I Cattolici Romani la chiamano “Messa”.

I Cristiani hanno interpretato in modi diversi anche il suo significato. Secondo la dottrina cattolica della transustanziazione, Cristo è fisicamente presente negli elementi. Con le parole del prete (Hoc est corpus meum), l’essenza del pane e del vino si muta in quella del corpo e del sangue di Cristo, sebbene la loro forma esteriore rimanga la stessa. In accordo con questo modo di comprendere, la messa è considerata un sacrificio, e la condivisione degli elementi è un mezzo per ricevere grazia.

I luterani sostengono la dottrina della consustanziazione. Nel momento in cui il pastore benedice il pane e il vino, il corpo e il sangue di Gesù Cristo si aggiungono ad esse, così accade che invece di un sostanza ce sono due.

I Protestanti Riformati rigettano questi concetti, ma non concordano sull’alternativa. Per i Protestanti in genere, Cristo è spiritualmente presente nella celebrazione della Cena del Signore, ma non si identifica con gli elementi usati. La loro condivisione non è concepita come un mezzo per ottenere la grazia divina.

Ciò che non può essere.

Attenendosi alla Bibbia che non si oppone mai al buon senso, non è possibile accettare l’idea della transustanziazione né tanto meno quella della consustanziazione.

Invocare le parole: «Questo è, il mio corpo, questo è il mio sangue», per sostenere l’idea della transustanziazione significa prima di tutto ignorare che nella lingua aramaica, con la quale sicuramente Gesù si espresse in quella occasione, non si adopera la copula (parola che lega l’attributo al soggetto) e che in ebraico come in greco l’uso di legare l’attributo al soggetto indica, come in Luca 12:1; Galati 4:24; Ebrei 10:20, che si tratta spesso di termini allegorici. Significa anche dimenticare che Gesù ha detto pure: «Io sono la porta… Io sono la via… lo sono la vite…» (Giovanni 10:9; 14:6; 15:1), che l’apostolo Paolo ha detto di Cristo che è la roccia (1 Corinzi 10:4), che Dio è chiamato: rocca, scudo, sole ecc., nell’Antico Testamento, senza che nessuno abbia mai pensato trattarsi d’altro che di un paragone; vuol dire anche perdere di vista il fatto che Gesù stesso, costatando che i giudei si erano sbagliati sul significato delle sue parole circa il pane di vita: «Io sono il pan della vita… Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue…», li avverte che si tratta di un paragone e che non devono prendere queste parole – nel senso letterale: «É lo spirito che vivifica, dice loro, la carne non giova a nulla; le parole. che vi ho dette sono spirito e vita» (Giovanni 6:63).

Esempio:

Immagina che io sia a casa tua e dopo aver parlato di Gesù, prima di salutarci, ti offra un libro dicendoti: «Questo è il mio corpo, ogni volta che leggerai questo libro ti ricorderai di me». Quale significato daresti alla parole: questo è il mio corpo? Letterale o simbolico? Sicuramente simbolico!

Il libro, come qualsiasi altro oggetto che possa regalarti, ha un valore simbolico, in quanto richiama un ricordo, un evento o una persona. Così è anche di una fotografia. La fotografia rappresenta la persona, ma non è la persona.

Inoltre la parola «corpo», nella Bibbia, indica sempre la persona, quindi il pane, nella Santa Cena, è simbolo della persona di Gesù, della sua vita, della sua missione e il vino è il simbolo del suo sacrificio sulla croce.

D’altronde, il fatto stesso che la Cena commemora Gesù Cristo non im¬plica forse che Gesù Cristo sia assente fisicamente?

Le parole di Matteo 26:29: «Io non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò di nuovo con voi nel regno del Padre mio», non indicano forse con sufficiente chiarezza che gli elementi della Cena non sono trasformati, ma che sono dei simboli?

Inoltre, la dottrina cattolica della transustanziazione presuppone che il sacrificio di Cristo sia rinnovabile. Infatti, ogni qualvolta che ci celebra la messa (eucaristia), di fatto, si rinnova la morte di Cristo. Ciò è perfettamente in contrasto con l’insegnamento della Parola di Dio.

Il sacrificio di Cristo è stato unico e non è rinnovabile. È stato compiuto una volta per tutte e Dio l’ha accettato. L’apostolo Paolo, nella sua lettera agli Ebrei conferma chiaramente questa verità.

«A noi infatti occorreva un tale sommo sacerdote, che fosse santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli, che non ha bisogno ogni giorno, come quei sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, quando offerse se stesso» (Ebrei 7:26-27)

«Per mezzo di questa volontà, noi siamo santificati mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre. E, mentre ogni sacerdote è in piedi ogni giorno ministrando e offrendo spesse volte i medesimi sacrifici, che non possono mai togliere i peccati, egli invece, dopo aver offerto per sempre un unico sacrificio per i peccati, si è posto a sedere alla destra di Dio» (Ebrei 10:10-12; cfr. Ebrei 9:11-12; 10:14).

In memoria di me e finch’Egli venga

La dimensione più ovvia della Cena del Signore è quella della memoria. Secondo la tradizione ricordata da Paolo, Gesù disse “Fate questo in memoria di me” per due volte durante il rito: una volta quando spezzò il pane e di nuovo quando diede il vino. La cena del Signore ci ricorda Gesù in modo straordinario, richiamando l’attenzione specialmente sulla sua morte. Egli disse “Questo è il mio corpo” mentre spezzava il pane, e descrisse il vino quale “mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per la remissione dei peccati” (Matteo 26:28; cf. Marco 14:24).

La Cena del Signore pone la morte di Gesù in una prospettiva sacrificale. Si tratta di qualcosa che egli sperimentò in nostro favore, il mezzo attraverso il quale la salvezza diventa disponibile per noi. Cibarsi degli elementi rafforza la nostra consapevolezza che ciò che avvenne allora ha degli effetti su noi oggi.

“Poiché io ho ricevuto dal Signore ciò che vi ho anche trasmesso: che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Prendete, mangiate; questo è il mio corpo che è spezzato per voi; fate questo in memoria di me». Parimenti, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me». Poiché ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Corinzi 11:23-26).

Un’altra dimensione di questo rito così importante è quella dell’anticipazione. La Cena del Signore dirige la nostra attenzione verso il futuro oltre che verso il passato. Tutti e quattro i testi che ricordano la celebrazione del primo servizio si riferiscono al futuro. Secondo il primo Vangelo, Gesù disse: “Io vi dico che d’ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Matteo 26:29). Paolo conclude il suo riassunto sulla Cena del Signore con l’affermazione: “Perché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finch’egli venga” (1 Corinzi 11:26).

Il concetto di un banchetto messianico figura in modo significativo nel pensiero giudaico del tempo di Gesù (cf. Luca 14:15). Gesù stesso usò il tema del banchetto in due delle sue parabole (Matteo 22:1-14; Luca 14:16-24). La cena del Signore ci ricorda la gioia della comunione personale con Cristo che ci attende quando il regno di Dio sarà pienamente stabilito. Esso intensifica il nostro desiderio di vivere questa esperienza.

La Cena del Signore risveglia anche un senso di dipendenza da Gesù qui e ora. Il quarto Vangelo non racconta l’istituzione della Cena del Signore, ma vi troviamo una “teologia eucaristica” più profondamente sviluppata che in tutto il resto del Nuovo Testamento. Nel “Discorso sul pane della vita” riportato in Giovanni 6, Gesù parla della sua carne e del suo sangue come la fonte della vita eterna: “Se non mangiate la carne del Figliuol dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi … Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, ed io in lui” (Giovanni 6:53-56).

Lo scopo di queste forti affermazioni è quello di sottolineare la nostra profonda dipendenza da Gesù Cristo. Il simbolismo del servizio di comunione fa pensare al fatto che dipendiamo da Cristo per la vita spirituale come lo siamo dal cibo e dalla bevanda per quella fisica. Mangiare e bere durante la Cena del Signore ci rende vivamente coscienti di questo fatto. Il farlo ci aiuta a comprendere l’importanza di un rapporto profondo e costante con Gesù.

Conclusioni

1. La Cena del Signore incoraggia un senso di comunione tra i membri della chiesa. Si tratta di un pasto comune, qualcosa che tutti condividiamo insieme. Una delle conquiste della Riforma fu quella di restituire il calice alla chiesa. Gli elementi della Cena del Signore appartengono a tutti i Cristiani. La nostra comune partecipazione al pane e al vino, il fatto di riunirci insieme attorno, possiamo dire, alla stessa tavola, rafforzano i legami di affetto che tengono unita la chiesa. Questo ci ricorda l’unità profonda nel bisogno e nell’appagamento che tutti condividiamo nel corpo di Cristo.

2. Essa non è un rito magico. Il pane e il succo d’uva sono rappresentazioni del corpo e del sangue del nostro Signore Gesù Cristo. Il rito nel suo simbolismo spirituale è incontro con Cristo e indica una necessità permanente della vita cristiana di vivere in comunione con Lui, nell’attesa del suo ritorno. Il pane spezzato rappresenta il corpo di Gesù che è stato rotto per noi. Il vino è un simbolo del sangue versato per I peccatori, il suggello di una nuova alleanza.

3. Il sacrificio di Cristo era puro, perfetto, e coronava una vita pura e perfetta. Cristo era l’agnello «senza difetto né macchia». Ecco perché il pane che rappresenta il suo corpo è senza lievito (azzimo) e il vino che simbolizza il suo sangue non è fermentato. Il lievito, segno di fermentazione, dunque di peccato (Matteo 16:6,11,12), era proscritto durante la festa di Pasqua (Esodo 12:8; Levitico 23:5,6; Matteo 26:17).

4. Infine, la cena del Signore è preceduta dal rito della lavanda dei piedi (Giovanni 13). Prima del pasto della cena pasquale, Gesù lavò i piedi ai suoi discepoli, un compito svolto normalmente da un servitore. Quand’ebbe finito, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, v’ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri. Poiché io v’ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v’ho fatto io” (Giovanni 13:14,15). Gli Avventisti si riferiscono spesso a questo rito come all'”ordinanza del servizio” perché esprime il desiderio di servire gli altri, specialmente i membri del corpo di Cristo. L’atto del lavare con acqua ricorda anche la purificazione dai peccati notata in rapporto al battesimo. Se il battesimo è il simbolo della giustificazione, cioè del perdono dei peccati, della rigenerazione totale, l’abluzione dei piedi è l’immagine della santificazione, cioè di un’ opera costante che si rinnova ogni giorno.

La Santa cena commemora, il «Cristo perduto e ritrovato». Perduto a causa dei nostri peccati, ritrovato grazie all’amore di Dio.

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