06 – Le feste giudaiche

“È bello celebrare il SIGNORE e cantare le tue lodi, o Altissimo” Salmo 92:1

Secondo Levitico 23 le feste (ebr. khāg (1); gr. Heorté) giudaiche sono cosi indicate: Shabbat (sabato), Pesah (Pasqua), Rē’scîyth (Primizie), Shavuoth (Pentecoste), Rosh hashanah (giorno dell’anno, festa delle trombe), Kippur (festa delle espiazioni), Succot (festa delle capanne/tabernacoli) (2).

Il Sabato: Shabbàth

shabbath_1«Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il Sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di Sabato e lo ha dichiarato sacro» (Es 20:8-11).

Nella Genesi (1 e 2), di tutte le cose create, Dio dice che sono buone; dell’uomo dice che è: “molto buono”, ma soltanto il Sabato viene da lui benedetto e dichiarato sacro. Sabato, in ebraico Shabbàth, vuol dire: cessò, perché appunto nel settimo giorno, avendo compiuto la creazione, Dio si fermò, “cessò da ogni suo lavoro” (Cfr. Gn 1,2). Egli ha voluto donare all’umanità un giorno di riposo, di pace e di santificazione, in ricordo perenne dell’opera della Creazione.

Durante il giorno del venerdì, nelle case degli ebrei, fervono i preparativi per il Sabato, «Signore e Re di tutti gli altri giorni». Viene adornata la casa, preparati i cibi, i vestiti della festa e fatto quanto è necessario per ricevere il Sabato con l’onore che gli è dovuto. Lo Shabbàth ha inizio la sera del venerdì e viene accolto con la preghiera nelle sinagoghe e nelle case. Mentre il padre di famiglia, con i figli maggiori, partecipa alla preghiera della comunità, in casa, la madre di famiglia, con i figli più piccoli, presiede alla liturgia domestica accendendo, prima del tramonto, le due candele che rappresentano i due volti del Sabato. Una di esse è chiamata “ricorda” e l’altra “osserva” (per ricordare e osservare il precetto di santificare il Sabato).

La madre di famiglia accende le candele e, coprendosi gli occhi con le mani, dice: “Benedetto sii tu, Signore Dio nostro, re dell’universo che ci hai santificati con i tuoi precetti e ci hai comandato di accendere i lumi del Sabato”.

Il padre di famiglia, al ritorno dalla Sinagoga, davanti alla tavola imbandita, in mezzo ai suoi cari, alza il calice col vino e recita un’antica preghiera di benedizione a Dio per il frutto della vite, per la santificazione di Israele mediante i precetti, per il dono del Sabato, memoria della Creazione e dell’uscita dall’Egitto. Segue la benedizione sul pane.

“Il Sabato è consacrato all’incontro con Dio, alla preghiera, allo studio della Toràh, alla festa in famiglia, alle riunioni con i parenti ed alle visite agli ammalati. Il Sabato è un ricordo dei due mondi: questo mondo e il mondo futuro; esso è un esempio di entrambi i mondi. Il Sabato infatti è gioia, santità e riposo; la gioia è parte di questo mondo, la santità e il riposo sono del mondo futuro” (3).

Quando il giorno del Sabato sta per terminare, esso viene salutato con grande nostalgia, quasi a volerlo trattenere e a prolungarne la presenza. Il rito del saluto al Sabato esprime la speranza nel suo prossimo ritorno.

La vita dell’ebreo è come un pellegrinaggio che, di Sabato in Sabato, conduce verso il Sabato eterno, riposo perfetto nel Dio d’Israele. “L’ebraismo propugna una visione della vita intesa come pellegrinaggio verso il settimo giorno; l’aspirazione al Sabato durante tutti i giorni della settimana esprime l’aspirazione al Sabato eterno durante tutti i giorni della nostra vita” (4).

Lo Shabbàth è stato osservato da Gesù e dagli apostoli (Lc 4:16;Mt 12:8; At 13:14,42,44; 18:4). “Poi disse loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato; perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato»” (Mc 2:27-28).

«Il significato del Sabato di Dio non è abolito dal peccato dell’uomo; ma esso è intensificato da questa ribellione. Ora più che mai, il Sabato diventa segno della grazia di Dio verso un mondo che dipende da Lui, ma che rifiuta di riconoscerlo. Questo aspetto del riposo di Dio stabilisce una continuità tra la creazione e la redenzione… La santificazione del Sabato è il monumento commemorativo nel presente della creazione futura, dei nuovi cieli e della nuova terra» (5).

Pasqua: Pèsach

pasqua_ebraicaLa Pasqua è la prima e la principale festa ebraica. Si celebra il 14 del primo mese (Abib o Nisan) tra marzo e aprile. Essa ricorda il passaggio degli ebrei dallo stato di schiavitù a quello di libertà e la formazione del popolo ebraico come nazione unita ed indipendente, con usi, costumi e leggi proprie. La Pasqua commemora l’uscita degli ebrei dall’Egitto dopo 430 anni di dura schiavitù sotto il giogo faraonico. Il ricordo di questa miracolosa “uscita” è divenuto il punto centrale della legge e della vita degli ebrei, tanto che questo pensiero si trova un gran numero di volte espresso in molti passi della Bibbia e nei libri di preghiere.

Il nome della festa Pesah, deriva dal verbo pâsah, che significa “passare oltre” (Es 12:12,13-23), perché l’Angelo, inviato dall’Eterno per colpire i primogeniti egiziani, “oltrepassò” le case abitate dagli ebrei, lasciandone in vita i primogeniti.

La festa viene anche chiamata “festa degli azzimi” (matstsah) perché per tutta la durata della festa è vietato cibarsi di sostanze lievitate e si mangia pane azzimo, in ricordo del pane che gli ebrei in fuga non ebbero il tempo di far lievitare (Cfr. Lv 23:6).

La Pasqua ebraica dura otto giorni (sette in terra d’Israele). Le prime due sere, si fa una cena chiamata Sèder (ordine), appunto perché il suo svolgimento segue un determinato ordine, e si mangiano cibi simbolici che ricordano l’amarezza della schiavitù in Egitto e la dolcezza della libertà ritrovata. Durante il Sèder si recita il testo della Haggadà (racconto), libro contenente in forma edificante e leggendaria, commista a vari passi biblici, il racconto dell’uscita degli ebrei dall’Egitto.

La notte di Pasqua, tutti, grandi e piccoli, celebrano la memoria di quella notte splendida e terribile, in cui Dio stesso scese a liberare Israele. Di generazione in generazione, partecipando al memoriale di Pèsach, ogni ebreo si sente salvato e liberato da Dio, rinnovato spiritualmente, come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto. Ai bambini che fanno domande, il padre di famiglia risponde spiegando perché la notte di Pasqua è unica, diversa da tutte le altre notti.

Si cantano Salmi, Inni e il “grande Hallel” (Sl 136). La Pasqua ebraica oltre a richiamarsi ad un evento passato, annunciava “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del modo” (Gv 1:29), “la nostra pasqua”, ovvero la liberazione dalla schiavitù del peccato realizzata mediante il dono della vita di Cristo Gesù.

Scrive l’apostolo Paolo, «Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata» (1 Co 5:7).

Festa delle primizie

frumentoIn ebraico è rē’scîyth e significa il primo del tempo, nel genere, nell’ordine e nel rango. Il giorno 16 del primo mese (Abib o Nisan) si presentava al sacerdote un covone, come primizie del raccolto, che veniva agitato davanti all’eterno (Lv 23:9-14; Es 23:19).

L’apostolo Paolo, nel quadro della sua riflessione sulla risurrezione, descrive un itinerario in tre tappe, presentando Gesù come primizia di quelli che sono morti.

«Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna ch’egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi» (1 Cor 15:20-25).

Pentecoste: Shavuòt

shavuot2Il termine Shavuòt, in greco pentecoste (cinquantesimo), alla lettera significa “settimane”, appunto perché la festa cade sette settimane (50 giorni) dopo Pasqua, nel periodo della mietitura, il giorno 6 del terzo mese, Sivan (Maggio – giugno). Questa festa si celebra in ricordo del dono dei dieci comandamenti, ricevuti da Mosè sul Monte Sinai e da lui trasmessi ed insegnati al popolo riunito ai piedi del monte. In ricordo di tale avvenimento, nel formulario ebraico di preghiere, la festa viene definita “dono della Toràh”.

La Toràh fu donata ad Israele dopo la sua liberazione dalla schiavitù perché soltanto un popolo libero può osservare la legge e gioirne. É anche festa della mietitura e delle primizie perché in questo giorno aveva termine in Israele il periodo della mietitura e venivano offerte al Santuario le primizie dei frutti e alcuni pani, confezionati con il nuovo frumento. Durante questa festa i Templi sono ornati di fiori, in omaggio ad una tradizione che insegna che nel giorno in cui Dio promulgò i Dieci Comandamenti, un grande profumo pervase il mondo intero.

Secondo gli apostoli Pietro e Paolo, l’intronizzazione di Cristo è posta nel contesto liturgico della Pentecoste.

«Ora, il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: abbiamo un sommo sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore e non un uomo, ha eretto» (Eb 8:1,2).

Questo complesso d’immagini impregnate di cultura levitica era destinato a far comprendere ai giudeo-cristiani dell’epoca, il ruolo e il valore del sacrificio di Cristo e, soprattutto, a mostrare la realtà della sua opera: Gesù Cristo è vivente e agisce ancora in nostro favore. I suoi numerosi paralleli con Esodo 19 e 20, testo principale della liturgia ebraica della Pentecoste, lo indicano chiaramente. Il libro degli Atti attesta la stessa cosa, per quanto riguarda l’epoca dei primi cristiani. Infatti, l’intronizzazione di Gesù nel cielo è associata alla Pentecoste cristiana, avvenuta sulla terra (At 2:1,34).

La Pentecoste cristiana segna l’inizio del dono dello Spirito Santo, in tutta la sua pienezza.

Capodanno: Rosh hashanah

rosh_Immagine8Il Capodanno ebraico si celebra il 1 e 2 giorno del mese di Tishri (settembre – ottobre) esso segna l’inizio di un tempo di penitenza e di riconciliazione con Dio che dura dieci giorni, e termina con la solennità di Kippur.

I due giorni del Capodanno vengono considerati un sol giorno, detto anche: giorno del ricordo, in quanto Dio, in questo giorno, tiene presenti le azioni compiute dagli uomini durante l’anno e, in base al loro comportamento, ne fissa le sorti per l’anno che sta per iniziare: giorno del Giudizio, perché in questo giorno Dio, seduto sul trono della Giustizia, si accinge a giudicare il mondo, opera delle sue mani, decretando le sorti degli uomini e delle nazioni; giorno del suono, perché in questo giorno è comandato di suonare lo Shofar (corno di ariete), per richiamare gli uomini a meditare su quanto è stato da loro compiuto durante l’anno passato, affinché non abbiano a ripetersi eventuali errori o azioni indegne. Il Capodanno ebraico si celebra, infine, per commemorare la Creazione del mondo.

Il suono dello Shofar ha diversi significati: richiama alla memoria il sacrificio d’Isacco e ricorda la discendenza degli ebrei dagli antichi Patriarchi. Ricorda il suono dello Shofar che precedette il dono della Legge e, infine, il suono del grande Shofar che proclamerà il Giorno dell’avvento del Messia.

Giorno dell’espiazione: Kippur

yom_kippurIl 10 di Tishri ricorre la solennità di Kippur, destinato al digiuno, alla preghiera e al sincero ritorno a Dio. Quale giorno di espiazione, esso è dedicato alla riparazione delle colpe e alla riconciliazione con l’Eterno. Detto anche “Sabato dei Sabati”, il Kippur ha la stessa importanza del Sabato, ed in esso è proibito anche il più piccolo lavoro.

In questo giorno sacro, i templi di tutto il mondo rimangono aperti per l’intera giornata, affinché tutti possano partecipare alla preghiera comune. Si recitano cinque preghiere, al termine delle quali si suona lo Shofar.

Il rituale annuale del Kippur si svolgeva principalmente nel luogo santissimo ed era celebrato dal sommo sacerdote, nel giorno dell’espiazione o il grande giorno del perdono (Kippur). Questa solennità, che ricorreva al principio dell’autunno, era da ogni pio israelita vissuta nel digiuno e nell’umiliazione, perché in quel giorno il Signore giudicava il suo popolo.

Gli ebrei celebrano ancora oggi lo «Yom Kippur» o giorno dell’espiazione col digiuno, e sogliono augurarsi l’un l’altro: «Possa il tuo nome essere scritto nel cielo».

Nell’antico santuario d’Israele la parte centrale del rituale consisteva nell’aspersione del sangue di un capro nel luogo santissimo e nell’invio di un capro vivo nel deserto.

I due capri erano offerti dal popolo e mediante la sorte (Levitico 16:8) ed erano destinati l’uno all’Eterno e l’altro ad Azazel. (Azazel nella tradizione giudaica era il nome di un demone del deserto). Il capro, in sorte all’Eterno, era immolato nel cortile dal sommo sacerdote dopo che questi aveva confessato i peccati del popolo, imponendo le mani sulla testa dell’animale. Parte del suo sangue era da lui asperso sul coperchio dell’arca o propiziatorio nel luogo santissimo. Con questo rito il sommo sacerdote compiva la purificazione del santuario, nel senso che rimuoveva i peccati del popolo ivi trasferiti mediante i sacrifici espiatori quotidiani.

Sempre in forma simbolica, detti peccati erano portati via sulla propria persona dal sommo sacerdote il quale, tornato nel cortile, li deponeva a sua volta sul capro destinato ad Azazel posando le sue mani sul capo dell’animale. Questo capro, unica eccezione in tutto il rituale israelitico, non veniva immolato, ma era condotto e abbandonato nel deserto da un uomo appositamente designato per questo compito. Col capro, il popolo vedeva allontanarsi i suoi peccati. Dopo quattro giorni, e per sette giorni di seguito, il popolo celebrava la festa più gioiosa dell’anno, la festa delle capanne”(6).

Tutto questo rituale prefigurava l’opera di purificazione o di giudizio del santuario celeste. Infatti, come il rito della purificazione nel tabernacolo del deserto costituiva un giorno solenne di giudizio, altrettanto si può dire per la purificazione di quello celeste, «vero tabernacolo». Infatti, poiché il rituale terreno simboleggiava il piano della salvezza, il servizio del giorno del giudizio, una parte del rituale, simboleggiava il vero giorno del giudizio, cui la Scrittura fa un continuo riferimento e che in Daniele 8:14 viene descritto come la purificazione del santuario, riferendosi a quello celeste.

Ellen G. White descrive la purificazione del santuario celeste nei termini seguenti: “Come anticamente i peccati del popolo erano posti per fede sull’offerta per il peccato e, attraverso il suo sangue trasferiti, simbolicamente, nel santuario terreno, così nel nuovo patto i peccati del penitente sono posti per fede su Cristo e trasferiti, di fatto, nel santuario celeste. E come la purificazione tipica del terreno era accompagnata dal rimozione dei peccati dai quali era stato contaminato, così l’attuale purificazione del santuario celeste deve essere accompagnata dalla rimozione, o cancellazione, dei peccati che vi sono ricordati. Ma prima che questo possa essere fatto, deve esserci un esame dei libri del ricordo per determinare chi, attraverso il pentimento e la fede in Cristo, è destinato a godere i benefici della sua espiazione. La purificazione del santuario implica perciò un’opera di investigazione, un’opera di giudizio” (7).

Festa delle Capanne (o dei Tabernacoli): Succot

sukkotIl 15 del mese di Tishri ricorre la festa delle Capanne (Succot) che si celebra in memoria delle Capanne abitate dagli ebrei durante i 40 anni della loro permanenza nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto.

Nel formulario di preghiere questa festa è chiamata zéman simhaténu, «il tempo della nostra gioia», in quanto la Toràh raccomanda di celebrarla e di festeggiarla con allegria. Durante i sette giorni della festa, è comandato di abitare nella Capanna (Sukkà), elemento fondamentale della festa, costruita all’aria aperta ad imitazione di quelle utilizzate dagli ebrei nel deserto. Il digiuno è bandito durante i giorni di costruzione e preparazione delle capanne (Succot).

Un’altra caratteristica di questa festa è il Lulav, composto da un lungo ramo di palma, insieme ad alcuni rami di mirto e di salice, accompagnati da un ramo di cedro. Il Lulav si tiene in mano durante le preghiere e il canto dell’Alleluia e degli Osanna.

Apocalisse 19: 1-10, “risuona interamente di questa gioia, che festeggia la distruzione del male e anticipa il momento in cui i redenti abiteranno con Dio. Sicuri della caduta di Babilonia, ci si prepara, ora, a entrare in Gerusalemme. La prostituta è morta, viva la sposa! Il cielo esplode cinque volte per le grida della folla: «Alleluia!» (19:1,3,4,5,6).

L’espressione ebraica, alleluia, risale ai canti dei Salmi che s’intitolano proprio a partire da questa esclamazione di lode: tehilim.

Alleluia significa «lodate (hallelu Yah)» (abbreviazione del nome di Dio, YHWH, SIGNORE). Il senso di questa lode è suggerito dalle parole che le sono associate:

«Cantare», «comporre una melodia» (Sal 146:2; 149:3).
«Dire, raccontare, proclamare» (Sal 22:23).
«Ringraziare», «rendere grazie» (Sal 35:18; 44:9; 109:30).
«Glorificare» (Sal 22:24).
«Benedire» (Sal 115:17; 145:2).
«Gioire» (Ger 3:7).

La parola alleluiah era una risposta dei fedeli, alternata ai canti dei solisti. La sintassi stessa della parola alleluiah presuppone questo genere di liturgia. È un imperativo al plurale che incita la moltitudine a lodare Dio. Viene cantato da tutti, da una «folla immensa» (19:1,6) identificato più tardi, con il numero dei 144.000 (Ap 7:4,9); dai ventiquattro anziani e le quattro creature viventi (19:4), rappresentanti la creazione intera. Infine, questo canto di lode uscirà, per voce di un anonimo, dallo stesso trono di Dio (19:5)” (8).

Altre feste (9)

Festa delle sorti: Purìm

purimnQuesta festa si celebra il 14 del mese di Adar (Febbraio – Marzo), in memoria della salvezza degli ebrei in Persia, per intercessione della regina Ester. Accogliendo la preghiera di costei, il re Assuero revocò il decreto mediante il quale si autorizzava l’uccisione in massa di tutto il popolo ebraico che risiedeva nelle 127 province del regno, dall’India all’Abissinia, secondo quanto è narrato nella Bibbia, nel Libro di Ester. Il giorno di Purim è destinato alla gioia e al divertimento; viene letto pubblicamente il rotolo di Ester, detto Meghillà e si scambiano doni fra amici e parenti. Inoltre, a Purim si inviano generose offerte ai poveri, affinché anche questi possano partecipare alla gioia comune, trascorrendo lietamente la festa e celebrare la giornata con un pasto festivo (Seudat Purim).

Festa della dedicazione: Channukkàh

chanukaLa festa di Channukkàh, non presente nel canone dell’ Antico Testamento, menzionata in Giovanni 10:22, dura otto giorni, commemora la purificazione del Tempio e si celebra in dicembre. La parola Channukkàh significa alla lettera “inaugurazione” e ricorda la riconsacrazione, ad opera dei fratelli Maccabei, del Santuario di Gerusalemme, che era stato profanato con statue di idoli (1 Maccabei 4: 36-61; 2 Maccabei 10:1-8). Durante la festa, si accende una lampada ad otto fiammelle, aumentandone una per ognuna delle otto sere. Gli otto giorni della festa sono considerati semifestivi e in essi è permesso qualsiasi lavoro.

Un’antica leggenda narra che allorché i fratelli Maccabei entrarono nel Tempio, la loro prima cura fu quella di riaccendere la lampada perenne (Ner tamid), spenta durante la profanazione. La leggenda vuole che nel sacro luogo essi trovassero una bottiglietta di olio puro, ancora sigillato, con il sigillo del Sommo Sacerdote, che sarebbe bastato appena per tenere acceso il lume soltanto fino all’indomani. Per un vero miracolo, però, l’olio bastò per ben otto giorni, il tempo necessario a preparare una provvista di nuovo olio per la lampada. É in ricordo di ciò che durante questa festa, detta anche Festa delle luci, si accendono le otto luci. Il Candelabro ha otto bracci (più il nono usato per accendere le luci) e viene detto:Chanukkiyà.

«Alleluia. Lodate Dio nel suo santuario, lodatelo nella distesa dove risplende la sua potenza. Lodatelo per le sue gesta, lodatelo secondo la sua somma grandezza. Lodatelo con il suono della tromba, lodatelo con il saltèrio e la cetra. Lodatelo con il timpano e le danze, lodatelo con gli strumenti a corda e con il flauto. Lodatelo con cembali risonanti, lodatelo con cembali squillanti. Ogni creatura che respira, lodi il SIGNORE. Alleluia». (Salmo 150).

Note:
(1) Dalla radice h-g-g il cui significato era danzare
(2) Una buona sintesi sulla storia e sul significato delle singole feste dell’A.T., è data da R. de Vaux, Les institutions del l’A.T., Paris 1960, 371-429, trad. It. Torino 1964, 466-495, con aggiornata e scelta bibliografia; per gli sviluppi e le variazioni nel giudaismo.
(3) Al Nakawa: Menorath ha-Maor, ed. Enelow
(4) A.J.Heshel: Il Sabato – Ed. Rusconi
(5) Paul Wells, Le sabbat signe eschatologique Revue Réformé, p. 140, 1976
(6) AA. VV., Siamo pieni di speranza, I.A.D.E., ed. ADV, 1992, pp. 97,98
(7) Il gran conflitto, tr. direttamente dal testo inglese, pp. 421,22. (Ed. it. 1977, p. 309)
(8) J. Doukhan, Il grido del cielo, Ed. Adv. Impruneta (Fi) p.2206-207
(9) Queste feste non hanno alcun valore simbolico in rapporto alla redenzione.

Per la richiesta di questo e di altri studi riportati nella categoria Approfondimenti teologici (max. 4 per settimana), compila il modulo

MODULO RICHIESTA

Share Button