02 – I due giardini

In essi si incontrano peccato e salvezza

0504069La nostra salvezza proviene da un Dio che ci ama a tal punto da non risparmiare sforzo alcuno pur di riconquistarci. Il racconto della sua attività nella grande lotta tra il bene e il male è la più grande storia mai narrata; ed è in realtà un dramma letterario che attraversa tutte le epoche. Il palcoscenico degli sviluppi cruciali di questo racconto è costituito da due giardini; dal primo derivano peccato, perdite, vergogna e morte; dal secondo fluiscono speranza, gioia e vita. Dio ha piantato il primo giardino, che era stupendo, perfetto e si chiamava Eden. In questo ambiente incontaminato ha collocato i primi esseri umani, anch’essi frutto della sua mano (Gn 2:8,9) e ha comunicato con loro. Eden era il paradiso, il paradiso dell’innocenza; Adamo ed Eva erano immacolati, ma somigliavano a dei bambini, perché non avevano ancora formato un proprio carattere, non avevano compiuto delle scelte; presto, però, se le sarebbero trovate nel mezzo del loro cammino.

L’ingresso del male

Dietro la quiete del giardino si muoveva furtivamente una figura sinistra: il male, qualcosa di totalmente estraneo all’esperienza di Adamo ed Eva, non era così lontano – non lo è mai! Un angelo caduto, un tempo noto come Lucifero, la stella del mattino, ora diventato Satana l’ingannatore, attendeva la sua opportunità. Non sappiamo per quanto tempo i nostri progenitori siano rimasti in quel giardino, ma un giorno un’ombra cadde sul paradiso. Satana, servendosi della figura del bel serpente, fece balenare in loro la prospettiva di una nuova esperienza che li avrebbe fatti diventare uguali a Dio, il quale aveva predisposto un semplice esame d’ubbidienza: «Dio il Signore ordinò all’uomo: “Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai”» (Gn 2:16,17). Ma il serpente disse: «No, non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male» (Gn 3:4,5).

Sono passati secoli, ma il tentatore si presenta ancora oggi agli uomini nella stessa maniera, rendendo attraente la disubbidienza. Fa apparire noioso il rispetto dei comandamenti di Dio e così ci promette nuove ed elettrizzanti esperienze. Cosparge di rovine il percorso che ci invita a percorrere, una strada ricoperta di rifiuti lasciati da ubriaconi e corpi logorati.

Satana cerca sempre di insinuare il dubbio, attribuisce a Dio il proprio carattere e finge di assumere il vero carattere del Signore. Quest’ultimo desidera solo ciò che è meglio per noi; non ci nega niente che possa darci salute e felicità. Satana, invece, ci offre una confezione avvelenata che sembra gradevole ma che in definitiva ci abbrutisce e ci corrompe. Egli è «bugiardo e padre della menzogna» (Gv 8:44). «Per certo non morrete», con queste parole riuscì a persuadere la prima coppia; ma si trattava di una gigantesca menzogna, perché i due morirono eccome e dopo di essi tutti i loro discendenti. «Sarete come Dio», promise, ma era una promessa non mantenibile. Aveva provato a essere come Dio nelle corti celesti (Is 14:13; Ez 28:2-5), ma la sua illusione lo aveva fatto cacciare dal cielo. Solo Dio può essere Dio; egli è il creatore di ogni cosa, degli angeli come degli uomini. La creatura non potrà mai diventare creatore; il Signore fece l’uomo e la donna a propria immagine per vivere in lui e tributargli un’amorevole ubbidienza. Solo in lui possiamo trovare la nostra vera essenza: «Tu ci hai creati, o Signore, e i nostri cuori sono irrequieti fino a quando non trovano riposo in te», sentenziò efficacemente S. Agostino.

Il peccato è irrazionale, è follia allo stato puro; si aggrappa all’impossibile: essere come Dio. Non tiene in considerazione il fatto che la nostra esistenza la dobbiamo al Padre celeste e che dipendiamo da lui per ogni nostro respiro. Eppure, quanti uomini e donne seguono oggi le orme dei nostri progenitori! La grande maggioranza degli individui soccombe davanti alla seduzione del tentatore, «sarete come Dio», eliminando il Creatore dai loro pensieri, negandone l’esistenza o respingendolo intenzionalmente.

Effetti della caduta

Le conseguenze della caduta cominciarono a manifestarsi pressoché immediatamente. Dopo l’iniziale euforia, Adamo ed Eva provarono vergogna (Gn 3:7); udendo il Signore avvicinarsi al giardino, furono investiti dal sentimento di colpa e cercarono di nascondersi (v. 8), ma era impossibile farlo da Dio, esattamente come lo è oggi per noi. Iniziarono ad accusarsi a vicenda (v. 12). Non sono forse parole familiari? Dai la colpa a chi vuoi, anche a Dio, ma non ammettere mai il tuo sbaglio. Eva non si comportò diversamente (v. 13).

Questi tentativi di scaricare sull’altro la colpa e giustificare il proprio comportamento furono inconsistenti come le foglie di fico che avevano indossato per cercare di coprire la loro nudità. Ancora oggi abbondano scuse inconsistenti come foglie di fico e autogiustificazioni. Poi il Signore mostrò loro il futuro che li attendeva: sarebbero stati scacciati dal paradiso e destinati a una vita di fatiche e sofferenze; da lì in avanti la natura avrebbe prodotto spine e rovi, Eva avrebbe partorito con grandi dolori e alla fine, dopo un’esistenza travagliata per potersi garantire il pane ogni giorno mediante il sudore della fronte, avrebbero fatto ritorno a quella polvere dalla quale Dio li aveva formati (vv. 16-20).

Il poeta John Milton, al termine della sua opera epica Paradiso perduto descrisse in modo commovente i loro ultimi istanti nell’Eden…

Dio viene in soccorso

Ma il Signore non privò Adamo ed Eva di ogni speranza; seppur banditi dal giardino, non lo furono altrettanto dalla sua presenza; ovunque li avrebbe condotti la loro nuova vita, Dio ci sarebbe stato. Non solo, fece loro anche una promessa per il futuro. Mentre si trovavano ancora all’interno del giardino, aveva dichiarato al serpente: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei» (Gn 3:15). Questa «inimicizia» non è una reazione umana naturale, ma un qualcosa che ci è stato innescato dentro da Dio; è la grazia che opera.

Scrisse Ellen G. White: «La grazia di Cristo, che penetra nel cuore umano, suscita l’avversione per Satana. Senza questa grazia, che rigenera e rinnova, l’uomo continuerebbe a essere prigioniero di Satana: uno schiavo sempre pronto a ubbidirgli. Ma questo nuovo principio, radicato nel suo cuore, provoca la guerra dove prima regnava la pace. La potenza trasmessa da Cristo permette all’uomo di resistere al tiranno e respingere l’usurpatore. Chiunque odia il peccato, chiunque resiste alle passioni che un tempo lo avevano soggiogato, e le vince, rivela l’azione di un agente divino» – GC, p. 506 [396].

L’opera della grazia giunse all’apice con la Progenie della donna: Gesù Cristo. Al termine della sua vita senza peccato e del suo ministero contraddistinto dall’amore, egli si recò in un giardino per pregare: il Getsemane. Un giardino piantato dall’uomo e non da Dio. Uno dei luoghi di riflessione preferiti dal Maestro. L’ultimo giovedì sera della sua vita terrena, con la croce che ormai lo aspettava, Gesù vi andò per pregare con fervore il Padre. Mentre il peso dei peccati del mondo lo opprimevano, Gesù implorò: «E, andato un po’ più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi”» (Mt 26:39). «Ed essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra» (Lc 22:44). In quel giardino era in gioco il destino del genere umano; Gesù agognava il sostegno dei suoi più cari amici, che però si erano tutti addormentati e così dovette ingoiare in solitudine l’amaro calice della colpa. In quel luogo era però presente un altro essere, lo stesso ingannatore dell’Eden, il quale tentò Gesù per convincerlo ad abbandonare la missione di salvare il mondo: non lo meritano, nessuno di loro ha cura di te; lo vedi come dormono? Diversamente da Adamo ed Eva, Gesù rifiutò di dare ascolto a Satana, di alimentare il dubbio. Accettando il calice amaro dalle mani del Padre, si avviò in direzione del Calvario.

I due giardini ci invitano a una consacrata contemplazione del prezzo richiesto dalla nostra salvezza. Lì possiamo capire quanto abbiamo perso, ma anche la grandezza del nostro meraviglioso Signore. Ellen G. White ci esorta a studiare con cura e a paragonare «il giardino dell’Eden con la sua disgustosa macchia di disubbidienza… a quello del Getsemane, dove il Redentore del mondo patì un’agonia sovrumana nell’istante in cui i peccati del mondo gli furono scagliati contro» – Manuscript 1, 1892.

William G. Johnsson, Ph.D., ex direttore di Adventist Review.
Come emerito collabora con il presidente per le relazioni interreligiose della G.C.

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