03 – La sua presenza salvifica

Gesù non solo ci ha detto come vivere: l’ha fatto

tabernacle_image01Una delle verità più straordinarie che troviamo nella Bibbia riguarda il fatto che Dio non è semplicemente disposto a dimorare con il suo popolo, ma vuole farlo. Anche se è il Creatore dei cieli e della terra, desidera essere in comunione con le sue creature.

«Infatti così parla Colui che è l’Alto, l’eccelso, che abita l’eternità, e che si chiama il Santo. “Io dimoro nel luogo eccelso e santo, ma sto vicino a chi è oppresso e umile di spirito per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare il cuore degli oppressi”» (Is 57:15). L’ateismo militante oggi dilaga; un tempo chi non credeva si accontentava di vivere nel quieto dubbio; adesso proclama aggressivamente che non esiste alcun Dio e riempie di improperi i cristiani e chiunque segua una religione. Tra le più autorevoli voci a favore dell’ateismo spiccano quelle di Richard Dawkins, Cristopher Hitchens, Sam Harris e Daniel Dennett. Singolare come Anthony Flew, per 50 anni anima vitale dell’ateismo, abbia vissuto una conversione filosofica. Il suo libro, There is a God: How the World’s Most Notorious Atheist Changed His Mind, pubblicato nel 2007, ha scandalizzato i suoi ex colleghi. Ma per chi conosce Gesù come proprio Salvatore e Signore argomentazioni come quelle avanzate da Flew, pur utili in determinate circostanze, sono superflue. Sappiamo che esiste un Dio perché lo conosciamo come nostro amico.

«E lui cammina con me, parla con me, mi dice che sono suo; e la gioia che condividiamo mentre ci intratteniamo nessun altro l’ha mai provata» (C. Austin Miles, In the Garden).

La Bibbia tutta, dalla Genesi all’Apocalisse, testimonia di questa delizia che Dio prova nell’intrattenere un rapporto di amicizia con l’umanità. Passeggiò e parlò nell’Eden con Adamo ed Eva, fece altrettanto con Abraamo e i patriarchi. E quando condusse le 12 tribù fuori dall’Egitto fino alle pendici del Monte Sinai, istruì così Mosè: «Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro » (Es 25:8). Gli israeliti avevano visto e udito il rombo di tuono, il fulmine e il frastuono delle trombe provenire dalla montagna sacra. Sapevano che Yahweh era reale, che si trovava sul Sinai ed erano terrorizzati. Dio desiderava avvicinarsi a loro, in modo tale da consentirgli di invitarli a venire alla sua presenza. Voleva dimorare in una tenda.

Dio consegnò a Mosè un progetto per l’edificazione del santuario e gli israeliti seguirono le sue istruzioni alla lettera; era stupendamente arredato, con oro, argento, pietre preziose e tessuti colorati. Poiché doveva essere trasportabile, era anche di dimensioni ridotte: il suo luogo santissimo era un cubo di 10 cubiti (circa 5 m) per lato; il luogo santo misurava il doppio, 20 cubiti per 10 (circa 10 m). Rifletteteci bene: la Maestà del cielo, il Creatore dell’universo, disponibile a dimorare sotto una tenda!

Per gli israeliti, il santuario era il centro della loro vita in comune; la loro identità di popolo speciale scelto da Dio era tutta centrata su quel luogo. Il santuario rappresentava un rifugio, dove la gloria della Shekinah – la presenza vera e propria del Signore – si manifestava tra i cherubini nel luogo santissimo. Grazie al santuario in mezzo a loro e accanto a loro nel corso di tutti gli spostamenti, si sentivano al sicuro da qualunque nemico. Secoli dopo, dopo essersi stabiliti nella terra promessa, continuavano a considerare il santuario loro rifugio, come si evince dalla preghiera del salmista: «Ti mandi soccorso dal santuario, ti sostenga da Sion» (Sal 20:2).

Il santuario era un luogo di istruzione. Di tanto in tanto Mosè usciva dalla tenda per parlare con Dio, il quale gli dava dei consigli inerenti la guida del popolo. Dopo essere tornato all’accampamento, il volto di Mosè brillava e la gente non riusciva a sostenerne lo sguardo, così: «Quando Mosè ebbe finito di parlare con loro, si mise un velo sulla faccia» (Es 34:33).

Il santuario era un luogo nel quale si palesava la guida divina. Tutte le volte che i figli di Israele vagavano nel deserto una nuvola stazionava sopra il santuario durante il giorno, mentre la notte si materializzava una colonna di fuoco. Quando la nuvola o la colonna si alzavano, il popolo smontava l’accampamento e le seguiva. Quando si fermavano, lo ricollocavano. «Il Signore andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli lungo il cammino; di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero camminare giorno e notte» (Es 13:21).

Il santuario era un luogo di adorazione. L’anno sacro degli israeliti ruotava attorno a una serie di festività: la pasqua, i covoni, le trombe, il giorno dell’espiazione e i tabernacoli. E per ognuna di queste, il santuario aveva un ruolo chiave.

Per finire, il santuario era un luogo di perdono, dove il peccatore portava il proprio sacrificio (agnello, capro o volatile) per presentarlo al sacerdote in segno di espiazione. Il perdono avveniva tramite il santuario.

Non c’è da meravigliarsi se gli israeliti lo considerassero un bene così prezioso. Quando negli anni a seguire il tempio che aveva sostituito la tenda nel deserto venne profanato dagli eserciti invasori, per loro rappresentò la perdita definitiva, la calamità peggiore che gli potesse capitare (cfr. Sal 74:1-7).

Oggi non disponiamo di un santuario terreno nel quale ricercare la presenza di Dio, ma non siamo penalizzati: abbiamo il santuario celeste, nel quale entriamo per fede (Eb 10:19-22). E abbiamo Gesù. Il Dio che desiderò così ardentemente dimorare con le 12 tribù da istruirle a costruire un santuario, si è spinto oltre, molto oltre. Ha assunto le sembianze umane, è diventato carne e sangue, come noi. «Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace» (Is 9:5).

Giovanni scrisse: «E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre» (Gv 1:14). Quest’uomo, privo di tutti gli elementi ai quali ricorrono le persone per attirare su se stesse l’attenzione altrui (ricchezza, fama, potere, istruzione, influenza) era il Dio incarnato. Egli era l’Emmanuele, «Dio con noi» (Mt 1:23).

Gesù è il nostro grande sommo sacerdote, e agisce a nostro beneficio dalle corti più elevate. Quel santuario celeste, non costruito da mani umane e più glorioso di quanto si possa immaginare, è il vero santuario, il modello del quale la tenda nel deserto non era che una flebile «rappresentazione e ombra delle cose celesti» (Eb 8:5). Un’altra lettura di questa settimana ci presenterà uno studio più attento su questo santuario e sull’opera che Gesù compie al suo interno. Così come i figli di Israele trovavano nella tenda la loro identità come popolo di Dio, allo stesso modo possiamo cercare nel nostro grande Sommo Sacerdote rifugio, istruzioni, guida, adorazione e perdono. Ma c’è di più! Il Messia ha vissuto in mezzo a noi solo per un breve periodo, 33 anni. Ma prima di andarsene promise che avrebbe mandato il beato consolatore, lo Spirito Santo: «Non vi lascerò orfani; tornerò da voi» (Gv 14:18). Lo Spirito Santo prosegue il ministero amorevole di Gesù e ci guida in tutta la verità (Gv 16:13). Ci riporta alla memoria gli insegnamenti del Salvatore (Gv 14:26); convince il mondo del peccato, della giustizia e del giudizio (Gv 16:8-11). Ma la cosa più fantastica è che lui è con noi! Non dobbiamo recarci in un tempio per trovare Dio, non occorre fare un pellegrinaggio verso un lontano luogo sacro nel quale si sia manifestata la presenza divina. Dio è già qui, proprio qui. Dio è con noi.

Poco prima di andarsene, Gesù promise: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente» (Mt 28:20). L’apostolo Paolo testimoniò: «Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato sé stesso per me» (Gal 2:20. Caro amico, vuoi unirti a Paolo in questa testimonianza? Lo sai che Gesù vive dentro di te? Che è con te come ha sempre promesso?

Tanto tempo fa Mosè pregò: «Poiché, come si farà ora a conoscere che io e il tuo popolo abbiamo trovato grazia agli occhi tuoi, se tu non vieni con noi? Questo fatto distinguerà me e il tuo popolo da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra» (Es 33:16). Davide, analogamente, implorò: « Non respingermi dalla tua presenza e non togliermi il tuo santo spirito» (Sal 51:11). Se sei fuggito da Dio, recita la preghiera di Davide, Dio vuole dimorare con te, desidera ardentemente che tu sia consapevole della sua presenza salvifica. Egli vuole essere il tuo rifugio, la tua guida, il tuo maestro, il tuo Salvatore, il tuo Signore!

William G. Johnsson, Ph.D., ex direttore di Adventist Review.
Come emerito collabora con il presidente per le relazioni interreligiose della G.C.

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