Nel giorno del Signore

Introduzione Capitolo 1

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“Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesú, ero nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesú. Fui rapito dallo Spirito nel giorno del Signore”. Apocalisse 1:9-10).

L’apostolo ebbe la gioia di essere con il suo Signore, nel giorno del Signore. Infatti, “ Il Signore della gloria apparve di sabato” all’apostolo in esilio: «Fui rapito in spirito nel giorno del Signore» (1:10). A Patmos, Giovanni santificò il sabato come quando predicava alla gente nelle città della Giudea. Si appropriò delle preziose promesse che erano state date circa quel giorno: (Esodo 20:11).Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro

“I cristiani che leggono questo testo pensano istintivamente alla domenica. Dimenticano, però, che è un ebreo che scrive, nutrito dalle Sacre Scritture ebraiche e ben radicato nella religione dei suoi padri. Oltre a ciò, l’espressione «giorno del Signore» riferito alla domenica s’incontra solo a partire dalla fine del Il secolo, ed anche lì si presenta eccezionalmente negli scritti dell’epoca, lasciando spazio a larghe controversie. É assai più ragionevole pensare che il giorno del Signore di cui parla Giovanni si riferisca al sabato, chiamato, appunto, «giorno del Signore» (o giorno di Adonai) nelle Scritture ebraiche. D’altra parte, il ricorrere costante nell’Apocalisse del numero 7, rende assolutamente verosimile il riferimento al sabato, settimo giorno, in apertura della profezia, come in una sorta di intonazione.

Questa interpretazione si giustifica, infine, per il fatto che il sabato introduce il ciclo delle feste giudaiche che strutturano il libro intero dell’Apocalisse. Troviamo la lista nel Levitico al capitolo 23: «Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è sabato, giorno di completo riposo e di santa convocazione. Non farete in esso nessun lavoro, è un riposo consacrato al SIGNORE in tutti i luoghi dove abiterete» (v.3).

Secondo la tradizione biblica, il sabato è il primo giorno di festa con Dio, celebrata dall’uomo e dalla donna (cfr. Gn 2:1-3). E’ anche il solo giorno la cui istituzione risale a prima della promulgazione della Legge sul Sinai (cfr. Es 16:23,29); è il solo giorno la cui osservanza non dipende né dalle stagioni né dagli astri, neppure, in definitiva, dalla storia umana. Dunque, è naturale che si cominci proprio da lì.

Probabilmente, Giovanni si riferisce anche ad un altro «giorno del Signore», allo yom Yahweh dei profeti biblici, che designa, nell’Antico Testamento, il giorno del giudizio di Dio e della sua venuta alla fine della storia umana (Sofonia 1:7, 2:2,3; 3:8; Malachia 3:2; 4:1,5; Gioele 1:15; 2:1,2,11). Come nel Nuovo Testamento (1Tessalonicesi 5:2; 2 Tessalonicesi 2:2; 1 Corinzi 1:8; 5:5; 2 Corinzi 1:14; Filippesi 1:6; 2:16.) e nella letteratura giudaica a lui contemporanea, l’espressione «giorno del Signore» si applica alla parusia del Cristo o alla venuta del Messia.

Il contesto immediato conferma la nostra interpretazione. Anche senza tenere conto che l’associazione tra il sabato e il giorno escatologico della speranza è fortemente attestata sia nella Bibbia sia nella tradizione giudaica, comunque, il sabato è stato spesso compreso come il segno del gran giorno della liberazione e del regno di Dio che viene. In altre parole, Giovanni ebbe la visione del giorno dell’Eterno (giorno del giudizio finale e della parusia), durante il giorno del sabato (altro giorno del Signore)” (J. Doukhan, Jacques Doukhan, Il grido del Cielo, pag. 28).

Isaia 58, i versetti 13-14, indicano il sabato come segno delle benedizioni divine nel presente ed escatologiche.

“Se tratterrai il piede dal violare il sabato, dallo sbrigare affari nel giorno a me sacro, se chiamerai il sabato delizia e venerando il giorno sacro al Signore, se lo onorerai evitando di metterti in cammino, di sbrigare affari e di contrattare, allora troverai la delizia nel Signore. Io ti farò calcare le alture della terra, ti farò gustare l’eredità di Giacobbe tuo padre, poiché la bocca del Signore ha parlato”.

Gesù, nel suo discorso profetico, imprime al suo santo sabato un contenuto escatologico: «Pregate perché la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato» (Matteo 24:20). Conseguentemente il sabato, quale settimo giorno, è segno della parusia finale.

Versetti 1 – 3
Benedizioni per colui che legge

Il primo capitolo si apre spiegando l’origine della profezia. Giovanni riporta le cose di cui è stato incaricato. Il messaggio, dato da Dio a Gesù Cristo, viene da Gesù stesso rivelato a Giovanni per mezzo dell’angelo. (vers. 1 e 2).

Questo brano presenta la dottrina trinitaria senza che la parola sia menzionata: Dio dona, Gesù Cristo rivela, lo Spirito Santo rapisce e ispira il profeta (vers. 10).

L’Apocalisse non è un libro che incute paura. Sin dall’introduzione (vers. 3), due benedizioni sono riservata a coloro che «leggono, ascoltano e serbano le cose che sono scritte».

Versetti 4 – 8
Gesù ritorna

Dopo un saluto molto liturgico, associando di nuovo le tre persone divine (vers. 4 e 5): Dio, lo Spirito e Gesù Cristo, troviamo al versetto 6 un inno di lode a Cristo: «Egli ci ama e ci ha liberati…».

L’apostolo indica la ragione della liberazione dalla schiavitù del peccato e traccia un parallelismo con la liberazione dall’ Egitto: «ci ha fatti essere un popolo».

Questo nuovo popolo che è l’Israele spirituale presenta due caratteristiche fondamentali:

1. è un popolo di re;
2. è un popolo di sacerdoti.

Versetto 7 – risalta il tema centrale di tutto il libro: il ritorno di Cristo (Apocalisse 22:12,20). «Egli viene colle nuvole», la stessa espressione che troviamo in Daniele 7:13.

Versetti 9 – 18
La visione di Gesù e il messaggio pasquale

“La descrizione del personaggio conferma la duplice natura del Figlio dell’uomo. Gesù assomiglia a un ordinario figlio dell’uomo; è il Gesù dei vangeli (Matteo 8:20, 10:23; 17:9, Luca 7:34; Giovanni 6:53), incarnato e ben presente tra gli uomini del tempo di Giovanni. Ma, nello stesso tempo, è «il Figlio d’uomo» glorioso del libro di Daniele, dai bianchi capelli, gli occhi di fuoco (10:5-7), implicato nel giudizio finale e che viene sulle nuvole del cielo per inaugurare il regno di Dio (7:9-13). Egli è, quindi, nello stesso tempo, il Dio vicino, personale e presente, il Gesù familiare e il grande Dio lontano, glorioso e futuro che parla a Giovanni” (J. Doukhan, op. cit. pag. 33).

Ciò che cambia nella scena, rispetto a Daniele, è il luogo: «in mezzo ai candelabri d’oro» che illuminano il tempio. Gesù Cristo si presenta sotto l’aspetto del Gran Sacerdote nel giorno del Kippour, del giudizio e del gran perdono.

Versetti 17 – 18 – Come tutti i profeti, Giovanni è alle prese con un’astenia psico fisica e cade per terra. Gesù gli dà coraggio dicendogli: «Non avere paura». Egli si presenta come il «vivente», il maestro del soggiorno dei morti, di cui Egli ha la chiave. La chiave della beata speranza della risurrezione. La morte non è l’ultimo evento della storia dell’uomo, l’ultima spiaggia senza ritorno! (Giovanni 11:25).

Le parole «fui morto, ma ecco sono vivente» (18), rievocano il messaggio Pasquale.

“La Pasqua è la festa che segue immediatamente quella del sabato nella lista del Levitico (cfr. 23:4-14). É la prima festa del calendario ebraico (Es 12:2)… Essa commemora l’uscita dall’Egitto e la nascita d’Israele. Il messaggio della Pasqua è carico di profondi significati messianici. Il sacrificio ricorda il Pessah, il passaggio dell’angelo sulle case degli Israeliti, asperse del sangue dell’agnello e rinnova il cuore degli Ebrei e la speranza della liberazione futura…

Anche nella tradizione cristiana, la Santa Cena (o eucaristia), inaugurata da Gesù durante la sua ultima Pasqua, ripete i gesti liturgici del Signore e ricorda la sua promessa: «In verità vi dico che non berrò più del frutto della vigna fino al giorno che lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14:25).

Commenta l’apostolo Paolo: «Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11:26). E non è certo per caso che la più antica liturgia dell’eucaristia termina con il saluto aramaico maranatha, «il Signore viene», che riassume tutta la speranza dei primi cristiani” (J. Doukhan, op. cit. pag. 34-35).

Versetti 19 – 20
Nella sua mano destra

Giovanni 10:27-29

“Nell’associare le sette chiese alle sette stelle che il Figlio dell’uomo tiene nella mano destra, la parola profetica, proveniente dall’alto, ci invita a una lettura orientata verso l’avvenire.

Nel mondo antico si credeva, infatti, che le stelle reggessero i destini dell’umanità; da ciò derivava l’importanza degli studi astrali, soprattutto in Mesopotamia, al fine di predire il futuro. Gli autori biblici erano coscienti di questo, cosa che si trova, ad esempio, nella domanda che Dio rivolge a Giobbe: «Puoi tu stringere i legami delle Pleiadi, o potresti sciogliere le catene d’Orione? Puoi tu, al suo tempo, far apparire le costellazioni e guidare l’Orsa maggiore insieme ai suoi piccini? Conosci le leggi del cielo? Regoli il suo dominio sulla terra?» (Giobbe 38:31-33).

Secondo questo testo biblico è Dio che regge le stelle nelle sue mani; ne deriva che egli controlla il cammino della storia umana. Il profeta Daniele, insistendo sull’idea di Dio quale re del cielo, trasmette ai babilonesi, nutriti d’astrologia, il senso della sua signoria sullo spazio e sul tempo (Daniele 2:28; cfr. 2:27,44,45). Giovanni, da parte sua, spinge lo sguardo oltre le chiese a lui contemporanee, fino a coglierne lo sviluppo nella storia” (Doukhan, op. cit. pag. 36).

Il termine «Angelo» può avere le seguenti interpretazioni:

• L’angelo custode delle Chiese;
• Una personificazione simbolica dell’atteggiamento interiore della comunità;
• Il dirigente delle comunità.

“Le prime due non risultano sostenibili, già solo badando alle affermazioni fatte nell’Apocalise stessa (Ap. 2:1,5,6). Per di più, già nell’ A.T. (Aggeo 1:13; Malachia 3:1) profeti e sacerdoti vengono ripetutamente designati col nome di «angeli» (= inviati ) di Dio. Come nella comunità ebraica la parola «angelo» indicava il custode della Sinagoga così tutto sembra far intuire che sotto la metafora di «angeli delle sette chiese» si debbano ravvisare i presidenti (dirigenti ndr.) delle comunità (Cfr. Marco 1:2; Mat 11:10; Luc 7:27)”. A. Lapple, L’apocalisse, ed, Paoline, p.77, 78).

Conclusione

“Il Dio che schiaccia il profeta, prostrato e come morto, a seguito della sua visione, è un Dio capace anche di rassicurare con il tocco della sua mano destra e che dice: «Non temere … » (Ap 1:17). La speranza si articola nella tensione di un Dio che viene nel futuro e la prossimità di un Dio presente oggi nella nostra vita. Privi di questa tensione, per noi non è possibile sperare. Senza la sicurezza di un «dopo» che valica un presente che uccide, non avremmo alcuna ragione per attendere. L’esperienza quotidiana e la relazione con Dio suscita il desiderio di aspettarlo. Queste due categorie sono necessarie per forgiare la speranza” (J. Doukhan, op. cit. pag. 33).

Per riflettere

• Se il Signore è nel cuore della sua Chiesa fedele vegliando su di essa, posso avvicinarmi a Lui senza avvicinarmi alla sua Chiesa?

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