01 – La ricerca della felicità

320522_185046481579974_102969186454371_411142_821797298_nSin dagli albori dell’umanità l’uomo va alla ricerca di sicurezza e di felicità, più che di un credo. Persone famose nell’ambito dello spettacolo, del cinema, della moda, dell’alta finanza, ecc. che possono permettersi un tenore di vita elevato confessano di non essere felici. Alcune arrivano all’atto estremo del suicidio.

Le persone mi scrivono dicendomi: “Pastore ho perduto ogni desiderio di vivere, eppure ho tutto quello che posso desiderare, come mai? Mi offra per favore una parola di speranza. Come essere felici?”.

Altre invece esprimono la loro ricerca di felicità con una semplice frase: “Desidero morire! La prego preghi per me!”

Una Signora anziana mi scrive: “Sono vecchia, la vita ha perduto ogni significato per me. Presto morirò, la prego mi offra una parola di speranza, mi dica qual è il senso della vita”.

E, ancora: “Vi prego pregate tanto per me, sto vivendo un momento di alta tensione per preoccupazioni”.

Giovani e meno giovani, tutti vanno alla ricerca della felicità. Il nostro mondo materialista, altamente tecnicizzato corre senza fermarsi in cerca di felicità.

Più si ampliano le nostre conoscenze, più ci pare di mancare di saggezza; maggiore è la nostra sicurezza economica, più siamo presi dalla noia e dalla perdita del senso della vita. Più cerchiamo di soddisfare i nostri desideri, più siamo insoddisfatti e scontenti della vita.

Siamo simili ad un mare agitato, troviamo un po’ di pace qui, un po’ di pace là, ma nulla che ci permetta di essere veramente e pienamente in pace con noi stessi.

La ricerca della felicità continua! Gli uomini uccidono, mentono, ingannano, rubano e si dibattono per soddisfare il loro desiderio di potenza, di piacere e di ricchezza. Pensano di conquistare la pace, la sicurezza, la gioia e la felicità, solo per se stessi: “Io sono ok!” E poco importa se tu non lo sei!

In realtà non si è veramente e pienamente felici.

La felicità che dà valore durevole alla vita non è quella superficiale legata ha quello si ha o alle circostanze più o meno positive della vita.

La felicità non è un oggetto che possiamo acquisire come se fosse un elettrodomestico, né tanto meno è relegabile ad una persona: l’essere umano e fallibile è come tale delude, inganna se stesso e gli altri.

La felicità, quella che ci permette di stare bene con noi stessi, indipendentemente dalle circostanze e dall’avere, che ci aiuta a superare gli eventi dolorosi e più amari, che rimane anche quando tutto va male e che sorride attraverso le lacrime, è ben diversa da quella che gli uomini hanno o presumono di avere.

Noi desideriamo la felicità, ovvero la pienezza interiore, che non si lascia turbare né dai successi, né dagli insuccessi. Che sia così profondamente radicata in noi che ci dà riposo interiore, pace e soddisfazione, indipendentemente dai problemi che ci circondano: Noi abbiamo bisogno di una felicità che non ha bisogno di stimolanti.

Scrive il salmista: «In verità l’anima mia è calma e tranquilla. Come un bimbo divezzato sul seno di sua madre, così è tranquilla in me l’anima mia» (Salmi 131:2).

Io sono una persona calma e tranquilla, come un bimbo divezzato sul seno di sua madre.

L’uomo per natura è un eterno insoddisfatto per almeno tre ragioni:

1. La Parola di Dio ci informa che l’uomo è stato creato ad «immagine di Dio» (Gn 1:27), ora avendo imbruttito la sua immagine ideale, allontanandosi da Dio, egli si sente solo e perduto soprattutto quando non è in comunione con il suo Creatore.

Avere la vaga nozione che Dio esiste, non basta. Come dei bambini, abbiamo bisogno di vivere nella consapevolezza interiore che non siamo mai soli, che c’è un Dio, un essere intelligente e superiore, che ci guida, che ci ama, che ci è accanto in qualsiasi circostanza della vita.

L’uomo sereno è colui che vive con questa coscienza interiore, diversamente piange, si lamenta, si dispera, grida in cerca della “mamma perduta” che lo rassicuri, ovvero della sicurezza, della felicità.

2. L’uomo, a causa del peccato o dell’infrazione esistenziale, è disorientato e perplesso, manca di verità. E pertanto ha bisogno di verità e non solo di verità fisiche e relazionali, ma della verità relativa al suo essere uomo o donna, la sua origine, il suo scopo, i suoi conflitti e il suo futuro.

3. Infine, l’uomo ha bisogno di pace. Non di una pace intellettuale, emotiva ed inspiegabile, ma di una pace che lo liberi da tutti i suoi dolorosi conflitti esistenziali, una pace interiore che agisca attraverso le prove e le difficoltà della vita.

Gesù, per nove volte, nel sermone sul monte, usa la parola «Beati»(1). Questa parola può essere tradotta con «felici», malgrado essa racchiuda un senso molto ampio che la nostra parola «felici». E, indubbiamente, Egli era ed è l’unico a presentare la felicità rapportandola con le variegate vicissitudini della vita, perché, per esperienza personale, conosceva il segreto della vera felicità e lo ha rivelato attraverso le beatitudini.

Possiamo, senza correre il pericolo di sbagliare, che Gesù, era l’uomo delle beatitudini: l’incarnazione di quanto egli insegnava.

Solo Gesù, in tutta la storia dell’umanità, ha testato pienamente quello che egli stesso ci dice a proposito della felicità e della gioia della vita.

Egli è la verità, la gioia e la felicità!

Quando il nostro Salvatore era sulla terra, il suo messaggio era ed è a distanza di secoli, esplosivo e chiaro. Le sue parole erano semplici, ma profonde e sconvolgevano gli uomini.

Queste provocavano una gioiosa accettazione o un violento rifiuto. Gli uomini non rimanevano mai gli stessi dopo averlo ascoltato, erano invariabilmente o migliori o peggiori. Lo seguivano per amore, o si allontanavo da lui in preda alla collera e pieni di indignazione.

Il suo messaggio induceva gli uomini e le donne ad una azione decisiva: «chi non è con me è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Matteo 12:30 ).

Coloro che lo seguirono ebbero un’influenza straordinaria sulla loro generazione e su quella futura. Rivoluzionarono il mondo perché il loro cuore era stato trasformato dalla sua grazia. Il mondo non fu più lo stesso.

La società del suo tempo, subì un netto contraccolpo, il cristianesimo sconvolse il mondo di allora e come un torrente in piena ha continuato a fluire fino ai nostri giorni: le arti, le scienze, la musica, la vita di tutti i giorni, stimolate da questa nuova interpretazione del senso della vita ne subirono il fascino.

Purtroppo, nel corso della storia, come l’apostolo Paolo aveva previsto, degli affluenti di origine umana si sono riversati in esso profanandolo e corrompendolo. Lo gnosticismo, il deismo, il panteismo, l’umanesimo e il naturalismo estremo e le più variegate trazioni popolari, si sono gettati come dei torrenti fangosi nel fiume del pensiero cristiano, dell’evangelo, tanto che gli uomini, ancora oggi, fanno molta fatica a distinguere il vero dal falso.

La nostra generazione ha molta familiarità con la terminologia cristiana, ma non vive un’esperienza personale con Cristo e tanto meno mette in pratica i principi e gli insegnamenti di Cristo. Ciò li rende infelici e disorientati.

Il nostro più grande bisogno oggi, non è di avere più cristianesimo, ma dei veri cristiani. Il mondo può trovare validi argomenti contro il cristianesimo come istituzione, ma nessuno contro un uomo reso simile a Cristo.

Se vogliamo acquisire compiutezza interiore bisogna ritornare alla sorgente per ritrovare le qualità risanatrici del fiume della salvezza che ci rende capaci di essere «felici».

Gesù disse alla donna samaritana «chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete» (Giovanni 4:14). Questa donna peccatrice, disorientata, disgustata dal suo peccato e disillusa dalla vita, rappresenta il genere umano; i suoi desideri sono i nostri desideri; il grido del suo cuore è il nostro grido; il suo disinganno è il nostro e il suo peccato è il nostro peccato! Ma il suo Salvatore può essere anche il nostro Salvatore, il suo perdono, può essere il nostro perdono e la sua gioia, la nostra gioia.

«Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli. Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi» (Matteo 5:3-12).

Le beatitudini rappresentano il saluto del Cristo, non soltanto a coloro che credono ma a tutta l’umanità. Per un attimo sembra quasi si sia dimenticato di essere sulla terra, di aver lasciato il cielo e abbia usato il saluto abituale del mondo della luce. Le benedizioni sgorgano dalle sue labbra con la stessa forza dell’acqua che zampilla da una ricca fonte chiusa da tempo.

Il Cristo sottolinea quei tratti del carattere che saranno sempre approvati e benedetti: si rivolge ai diseredati privilegiandoli rispetto a chi ha ottenuto i successi terreni, affermando che coloro che ricevono il suo messaggio e seguono il suo esempio sono i più benedetti. Ai poveri di spirito, ai deboli, ai mansueti, a coloro che soffrono e dubitano, ai perseguitati egli apre le sue braccia e dice con affetto: «Venite a me… e io vi darò riposo» (Matteo 11:28).

Dio «vorrebbe che noi capissimo la tenerezza e l’intensità con cui ci cerca. Egli ci invita ad affidare i nostri conflitti alla sua comprensione, le nostre sofferenze al suo amore, le nostre ferite alla sua capacità di guarire, la nostra debolezza alla sua forza, il nostro vuoto alla sua pienezza. Egli non ha mai deluso chi si è affidato a lui. «Quelli che lo guardano sono illuminati, nei loro volti non c’è delusione» (Salmo 34:5). (Con Gesù Sul monte delle Beatitudini, pag. 101).

Note:
(1) Ebr. ‘asrê; gr. makários

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