Di CHARLES GERBER
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Quando Dio ebbe compiuto, il sesto giorno, la creazione dei cieli e della terra, «vide tutto quello che Egli aveva fatto ed ecco era molta buono» (Genesi 1:31).
Il giardino di Eden era un vero paradiso e l’uomo era chiamato a viverci un’esistenza felice, in condizioni ideali. Fatto ad immagine e somiglianza di Dio, l’uomo doveva esercitare il suo dominio su tutte le creature e coltivare il magnifico giardino di Eden dove la ricchezza e la bellezza dei fiori si alternavano con la varietà e la bontà della frutta. Questo giardino doveva estendersi a mano a mano che sarebbe aumentata la popolazione per coprire, alla fine, l’intera superficie terrestre. Regnava ovunque una perfetta armonia e nella sublime sinfonia della natura non si udiva nessuna nota discorde: tutto era molto buono».
Il paradiso perduto
Purtroppo, tutta questa felicità stava per sparire d’improvviso. Satana, ricorrendo a un abile stratagemma, riuscì a insinuare il dubbio nel cuore di Adamo ed Eva, che mangiarono del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, albero che Dio aveva loro proibito di toccare. E la coppia fu espulsa dal giardino di Eden, la cui entrata fu sorvegliata da cherubini che agitavano una spada fiammeggiante.
Fu così perduto il paradiso ed ebbe inizio per l’umanità il doloroso cammino della sofferenza e della morte, illuminato qua e là da bagliori di speranza. Il peccato entrò nel mondo e con esso tutta la lunga teoria di sofferenze che costituiscono il triste retaggio dell’umanità. Da allora, il dominio della terra passò nelle mani del principe delle tenebre, Lucifero, che rese schiavi gli abitanti del mondo. Attraverso i secoli, la maledizione si sarebbe abbattuta sull’intero genere umano.
La promessa di una Nuova Terra
Questa maledizione, però, non doveva gravare in eterno sulla terra. Infatti, fino dai tempi più remoti i patriarchi intravidero la speranza di un mondo nuovo, di un paradiso restaurato, di un nuovo Eden superiore all’antico.
La prima promessa di un’eredità futura ricordata nella Bibbia e quella fatta ad Abrahamo: «L’Eterno disse ad Abrahamo, dopo che Lot si fu separato da lui: Alza ora gli occhi tuoi e mira, dal luogo dove sei, a settentrione, a mezzogiorno, ad oriente, ad occidente. Tutto il paese che vedi, lo darò a te ed alla tua progenie in perpetuo» (Genesi 13:14,15; vedere anche 17:18).
Questa promessa doveva avere una duplice applicazione: la prima quando il paese di Canaan venne abitato dai discendenti di Abrahamo; la seconda, che non riguarda la terra nel suo stato attuale, ma una futura eredità, una terra restaurata, quando questa sarà data ai figli di Abrahamo «secondo lo spirito».
È soprattutto a questa seconda applicazione, la sola del resto che ci interessa, che pensava il diacono Filippo (vedere Atti degli Apostoli 7:5), nella sua deposizione dinanzi al Sinedrio: «Egli (Dio) non gli diede alcuna eredità in esso, neppure un palmo di terra, ma gli promise di darne la possessione a lui ed alla sua progenie dopo di lui».
L’autore dell’epistola agli Ebrei, mostra ugualmente che il patriarca aspettava ma per un’altra esistenza l’eredità eterna promessagli e visse su questa terra come straniero e pellegrino:
«Per fede (Abrahamo) soggiornò nella terra promessa, come in terra straniera, abitando in tende con Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha i veri fondamenti e il cui architetto e costruttore è Dio» (Ebrei 11:9,10; circa la promessa a Isacco e a Giacobbe, vedere Genesi 26:3,5; 28:13,15).
La progenie di Abrahamo, che deve ricevere questa eredità, non si riduce agli Israeliti secondo la carne, ma agli Israeliti secondo lo, spirito, cioè ai figli della promessa. «Non è che la Parola di Dio sia caduta a terra, poiché non tutti i discendenti da Israele sono Israele; né per il fatto che son progenie di Abrahamo son tutti figliuoli d’Abrahamo; anzi in Isacco ti sarà nominata una progenie. Cioè non i figliuoli della carne sono figliuoli di Dio, ma i figliuoli della promessa sono considerati come progenie» (Romani 9:6,8).
Israele secondo la carne è stato rigettato come collettività, ma i suoi figli, appropriandosi i meriti del sangue di Cristo, hanno la possibilità di diventare degli Israeliti secondo lo spirito, eredi della promessa fatta ad Abrahamo. San Paolo dice: «Se siete di Cristo, siete progenie di Abrahamo, eredi secondo la promessa» (Galati 3:29).
Solo i discepoli di Cristo, veri Israeliti secondo lo spirito, saranno perciò ammessi all’eredità della nuova terra. Eredi di Dio, coeredi di Cristo: ecco i titoli gloriosi che la Scrittura dà loro. «Lo Spirito stesso attesta insieme col nostro spirito che siamo figliuoli di Dio; e se siamo figliuoli siamo anche eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pur soffriamo con Lui, affinché siamo anche glorificati con lui» (Romani 8:16,17).
Le promesse della Scrittura si riferiscono ad una terra restaurata, stabilita nell’avvenire (Isaia 65:17; Daniele 7:27; Salmo 37:29; Matteo 5:5; 25:34; Luca 12:32; II Pietro 3:13).
Questo spiega perché tutti coloro che l’hanno attesa sono stati stranieri e pellegrini sulla terra: «In fede morirono tutti costoro, senz’aver ricevuta le cose promesse; ma avendole vedute e salutate da lontano e avendo confessato che erano forestieri e pellegrini sulla terra. Poiché quelli che dicono tali cose, dimostrano che cercano una patria. E se pur si ricordano di quella ond’erano usciti, certo aveano tempo di ritornarvi. Ma ora ne desiderano una migliore, cioè una celeste; perciò Iddio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, poiché ha preparato loro una città» (Ebrei 11:13,16) .
La terra restaurata
La Nuova Terra sorgerà come frutto di una evoluzione naturale? Sarà essa istituita sul nostro pianeta dopo che questo sarà stato purificato o piuttosto formerà un pianeta a sé, dopo che la terra sarà stata annientata?
La Bibbia risponde che la nostra terra, come pianeta, sussisterà ma che la sua superficie sarà rinnovata, trasformata, purificata dal fuoco. È in questo senso che San Giovanni, parlando della terra e del cielo atmosferico, scrive: «Poi vidi un nuovo cielo ed una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati» (Apocalisse 21:1).
Il Salmista dice che Dio «ha stabilito la terra su i suoi fondamenti» e che essa «non sarà mai smossa» (Salmo 104:5). Si tratta, perciò, non di una distruzione o scomparsa del nostro pianeta, ma del suo rinnovamento (vedere Matteo 19:28). Si tratta del « ristabilimento di tutte le cose» (Atti 3:21), della restaurazione della bellezza edènica. Dopo la creazione, il giardino di Eden era perfetto, racconta la Genesi; la terra, a sua volta, sarà perfetta dopo la sua purificazione che avverrà dopo la fine dei mille anni di cui parla Apocalisse cap. 20.
«I cieli passeranno rapidamente dice San Pietro (II Pietro 3:10) e gli elementi divampati si dissolveranno; la terra e le opere che sono in essa saranno arse». Il fuoco sarà il grande agente di purificazione. Spariranno, così, gli effetti della maledizione Il diluvio, vero cataclisma universale, facendo inclinare l’asse della terra sul piano della sua orbita e sconvolgendo l’intera superficie terrestre, aveva introdotto sul nostro pianeta le stagioni con le loro differenze di temperatura, le piogge abbondanti seguite da periodi di siccità, i movimenti sismici, il freddo intenso ed il calore insopportabile, oltre a numerosi altri inconvenienti. Inoltre, per secoli, la terra è stata infestata da bestie feroci, da serpenti, da insetti, da rovi, spine e così via. Ebbene: tutto ciò sarà eliminato o trasformato per permettere lo stabilimento di una perfetta armonia. L’asse terrestre sarà raddrizzato, la superficie del nostro pianeta sarà modificata e gli abitanti di esso godranno di una eterna primavera.
Il Figlio dell’uomo venendo «a cercare ed a salvare ciò che era perduto» (Luca 19:10) doveva salvare anche la creazione che, come dice l’apostolo San Paolo (Romani 8:19-22), «con la brama intensa aspetta la manifestazione dei figliuoli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a cagion di colui che ve l’ha sottoposta, non senza speranza, però, che la creazione stessa sarà anch’ella liberata dalla servitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio: Poiché sappiamo che fino ad ora tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio».
Non c’è forse argomento che, più del paradiso, abbia stimolato l’immaginazione degli uomini. I pittori ne hanno rappresentato il fasto e i poeti ne hanno esaltato le beatitudini. Dante, nella Divina Commedia, ne descrive i cerchi incantevoli; Milton, a sua volta, ricorda le delizie del Paradiso perduto; i teologi si abbandonano alle loro idee parlando, alcuni come Origene, di ultraspiritualità e vedendo cioè nelle descrizioni bibliche solo dei simboli ed immaginando il paese dei beati come un luogo di oziosa contemplazione, di statica immobilità. Altri, gli ultramaterialisti, si dilettano a fornire tutti i particolari di un’esistenza senza fine che essi si raffigurano totalmente materialistica.
Maometto ha anch’egli immaginato il «suo» paradiso: paradiso sensuale, nel quale si trova uno strano miscuglio di idealismo e di materialismo.
La Bibbia condanna sia il concetto ultraspiritualistico, sia quello ultramaterialistico e si tiene su un giusto mezzo: un realismo di buona lega, a pari distanza dai sogni idealistici e dalle prospettive troppo terrene. Che cosa dice del paradiso nuovo, della patria degli eletti?
La fine del male
Il paradiso ritrovato comporta due aspetti: uno negativo ed uno positivo, nel senso che in esso non ci saranno più certe cose attualmente esistenti, mentre ci saranno certe cose che attualmente mancano.
Fra le cose che non ci saranno più segnaliamo il male, la malattia e la morte.
La morte seconda metterà fine al peccato ed al suo autore. Il sangue versato dal Redentore sul Golgota eserciterà in pieno i suoi portentosi effetti. L’Apocalisse (cap. 22:3) afferma che non ci sarà più anatema, il che esclude nel modo più categorico la presenza del male. Estirpato questo, spariscono di colpo tutte le conseguenze da esso derivanti. Allora non si parlerà più di sofferenza di nessun genere e le lacrime saranno per sempre asciugate: «Dio asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro e la morte non sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate» (Apocalisse 21:4).
Non ci saranno più né ospedali, né funerali, né cimiteri. Sarà per sempre cancellata ogni imperfezione. «Nessun abitante dirà più: Io sono malato» (Isaia 33:24). «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà di gioia» (Isaia 35:5,6).
La morte, eterna nemica, sarà vinta. «Annienterà per sempre la morte; il Signore, l’Eterno asciugherà le lacrime da ogni viso, torrà via di su tutta la terra l’onta del suo popolo » (Isaia 25:8). «L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte» (1Corinzi 15:26).
Giustizia, pace, gioia
L’ingiustizia non verrà più a turbare i rapporti fra gli uomini; non si conoscerà più quella mancanza di sicurezza che non di rado dà origine alle guerre. Le agitazioni delle masse, dovute al malcontento, non esisteranno più e ovunque si avrà giustizia, benessere, serenità, sicurezza, pace, felicità. Il mondo ha tanto bisogno di pace e spesso purtroppo esso si pasce di chimere. Là, invece, sarà tutto diverso in quanto la pace sarà perfetta e durerà eterna.
«Allora l’equità abiterà nel deserto e la giustizia avrà la sua dimora nel frutteto. Il frutto della giustizia sarà la pace e l’effetto della giustizia tranquillità e sicurezza per sempre. Il mio popolo abiterà in un soggiorno di pace, in dimore sicure, in quieti luoghi di riposo» (Isaia 32:16-18).
San Pietro parla di un nuovo cielo e di una nuova terra «nei quali abiterà la giustizia» (II Pietro 3:13).
Ogni tristezza sarà dissipata e tutti saranno consolati. Tutte le nostre aspirazioni legittime saranno appagate, tutti i nostri sogni si realizzeranno e saranno soddisfatti i nostri buoni desideri. Non c’è motivo, quindi, di essere sorpresi se regnerà in permanenza una gioia pura ed assoluta. Gesù lo aveva detto ai discepoli: «Nessuno vi toglierà la vostra allegrezza!» (Giovanni 16:22).
«Poiché, ecco, io creo dei nuovi cieli e una nuova terra; non ci si ricorderà più delle cose di prima; esse non torneranno più alla memoria. Rallegratevi e festeggiate in perpetuo per quanto io sto per creare; poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio e il suo popolo per la gioia. Io festeggerò a motivo di Gerusalemme; e gioirò del mio popolo; quivi non si udranno più voci di pianto né gridi di angoscia» (Isaia 65:17-19; vedere anche 66:10-14).
La presenza eterna di Dio
La presenza permanente di Dio, conseguenza del regno della santità, costituisce l’oggetto principale dello stabilimento del paradiso e l’essenza stessa dell’eterna felicità dei giusti.
«Udii una gran voce dal trono che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini; Egli abiterà con loro ed essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio» (Apocalisse 21:3).
«Io formerò con loro un patto di pace: sarà un patto perpetuo con loro; li stabilirò fermamente, li moltiplicherò e metterò il mio santuario in mezzo a loro per sempre; la mia dimora sarà presso di loro e io sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo… Da quel giorno il nome della città sarà: l’Eterno è quivi» (Ezechiele 37:26,27; 48:35).
«Diletti, ora siamo figliuoli di Dio, e non è ancora reso manifesto quel che saremo. Sappiamo che quando Egli sarà manifestato saremo simili e Lui, perché lo vedremo come Egli è» (I Giovanni 3:2).
Ammessi alla presenza di Dio, resi partecipi della sua natura, noi parteciperemo anche per così dire alla sua durata che è l’eternità. «Poiché come i nuovi cieli e la nuova terra che io sto per creare sussisteranno stabili dinanzi a me, dice l’Eterno, così sussisteranno la vostra progenie ed il vostro nome» (Isaia 66:22).
«La nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria; mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono son solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne» (II Corinzi 4:17,18).
Ci riconosceremo? Ci ricorderemo?
A questa domanda, i teologi hanno dato risposte discordi. Ecco la soluzione che a noi pare la più logica.
Non c’è nulla nella Bibbia che ci autorizzi a credere che gli affetti che ci uniscono a determinate persone non debbano sussistere in cielo. Lassù ci riconosceremo; però vi sarà una grande differenza negli affetti, che risulteranno del tutto nobilitati e santificati. Sbarazzati di tutto ciò che poteva essere in essi di carnale, perché terreni, essi conservano solo quello che si addice a un carattere trasformato, le cui doti e virtù sono considerevolmente ampliate. Tra gli affetti terreni e quelli celesti corre tutta la differenza esistente tra la nostra personalità presente e la nostra personalità futura. Saremo come gli angeli e ci riconosceremo.
Tertulliano ha detto: «Non solo noi riconosceremo noi stessi, ma conosceremo anche la nostra famiglia e i nostri parenti».
S. Agostino, a sua volta, dice: «Tutti i beati si vedranno e si riconosceranno nella società dei santi». Si riconosceranno nella luce di Dio e si stabiliranno permanenti rapporti di cordialità fra individui, famiglie e nazioni.
La dichiarazione del profeta Isaia (65:17), nella quale si legge che non ci ricorderemo più delle cose passate e che esse non ritorneranno più alla mente, non significa che gli eletti saranno totalmente privi di memoria. Certi ricordi sussisteranno, mentre altri svaniranno. Giovanni stabilisce una netta distinzione quando afferma che non ci saranno più né lutto, né grido, né dolore, né morte (Apocalisse 21:4) .
La soppressione del male e della sofferenza, la scomparsa dei lutti e delle lacrime, lo stabilimento dell’eterno regno della perfetta armonia, implicano necessariamente:
1. la persistenza dei ricordi graditi, compatibili col bene supremo;
2. l’abolizione di tutto ciò che è dolore e che offuscherebbe la pura gioia dei redenti, immettendo perciò un elemento di sofferenza in un mondo dove il male è stato escluso.
La memoria ci ricorda le condizioni nelle quali il mondo si trovava prima che fossero stabilite di nuovo tutte le cose, ma solo allo scopo di meglio precisare il contrasto esistente fra i due stati. Questo ricordo è scevro di ogni rimpianto, di ogni rimorso, di ogni sofferenza.
La perfezione totale: fisica, intellettuale e morale dell’essere umano implica una metamorfosi di cui non abbiamo la minima idea, come non possiamo concepire la persistenza dei soli ricordi che non provocano né rimpianto né dolore; il lavoro privo di fatica; l’amore senza prove; il progresso senza impazienza; l’eternità senza noia. Tutto è arricchito, nobilitato, santificato, reso perfetto.
La natura restaurata
La natura stessa si presenterà con delle attrattive oggi sconosciute: colline e vallate armoniose, fiumi cristallini, laghi dalle acque azzurre, frutteti ricchi di piante cariche di frutta succulenta, foreste maestose, prati smaltati di fiori che non appassiscono; il tutto avvolto di una luce immacolata in un’atmosfera dolce e ideale. Non più aridi deserti, boschi impenetrabili, infide paludi, rocce nude e dirupate; non più geli eccessivi e insopportabili, non più piogge torrenziali o inondazioni; non più siccità, tifoni, maremoti, terremoti. La terra, restituita alla sua normale destinazione, offre il quadro ridente dell’eterna felicità.
«I monti e i colli daranno in gridi di gioia davanti a voi e tutti gli alberi della campagna batteranno le mani. Nel luogo del pruno si eleverà il cipresso, nel luogo del rovo crescerà il mirto; e sarà per l’Eterno un titolo di gloria, un monumento perpetuo che non sarà distrutto… Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa; si coprirà di fiori e festeggerà con giubilo e canti d’esultanza; le sarà data la gloria del Libano, la magnificenza del Carmel e di Saron . … delle acque sgorgheranno nel deserto e dei torrenti nella solitudine; il miraggio diventerà un lago e il suolo assetato un luogo di sorgenti d’acqua; nel ricetto che accoglieva gli sciacalli si avrà un luogo di canne e di giunchi» (Isaia 55:12,13; 35:1,2,6,7).
Gli stessi animali saranno pacificati e resi inoffensivi. «Il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo giacerà col capretto. Il vitello, il giovin leone e il bestiame ingrassato saranno assieme, e un bambino li condurrà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccini giaceranno assieme, e il leone mangerà lo strame come il bue» (Isaia 11:6,7).
L’attività dei redenti
Non ci sarà posto per l’ozio contemplativo o per la permanente inazione. Non ci sarà più, neppure, il lavoro forzato.
Gli eletti saranno dei costruttori e dei coltivatori, degli studiosi e degli artisti. «Essi costruiranno case e le abiteranno: pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non costruiranno più perché un altro abiti; non pianteranno più perché un altro mangi; poiché i giorni del mio popolo saranno come i giorni degli alberi; e i miei eletti godranno a lungo dell’opera delle loro mani. Non si affaticheranno invano» (Isaia 65:21,23).
Tutti i loro sforzi saranno ricompensati. Non più lavoro inutile o sterile; non più occupazione che non dia i suoi benefici. Essi, durante l’eternità, potranno studiare le incommensurabili opere di Dio e consacrarvi le risorse delle proprie facoltà secondo il proprio gusto e la propria tendenza. Ogni attività ivi svolta contribuirà all’armonia universale.
La conoscenza di Dio e delle sue opere premierà i lavori dei redenti. «Non si farà né male, né guasto su tutto il mio monte santo, poiché la terra sarà ripiena della conoscenza dell’Eterno, come il fondo del mare delle acque che lo coprono» (Isaia 11:9).
La capitale
Gerusalemme, la nuova Gerusalemme, capitale della terra e dell’intero universo, posta sul monte degli Ulivi che si apre a metà, ci viene descritta da San Giovanni nel capitolo 21 dell’Apocalisse. Essa si presenta ai nostri sguardi come «una splendida corona nelle mani dell’Eterno» (Isaia 62:3).
Quadrata, con una superficie di oltre 300.000 chilometri quadrati (come la stessa superficie dell’Italia), è di un meraviglioso splendore. La gloria di Babilonia, il fasto di Tiro, la ricchezza di Roma, le meraviglie di Parigi, di Londra, di New York non sono nulla a confronto del suo splendore, che è «simile a quello di una pietra preziosa, d’una pietra di diaspro trasparente come cristallo». Essa ha un muro di diaspro alto 70 metri, con dodici porte che sono dodici perle. La grande piazza della città è di oro puro, come vetro trasparente. I dodici fondamenti del muro sono di pietre preziose di ogni tinta: diaspro, zaffiro: calcedonio, smeraldo, sardonico, sardio, crisolito, berillo, topazio, crisopraso, giacinto, ametista.
Questa città non costituisce la dimora permanente dei santi: è visitata periodicamente specialmente il sabato e nei giorni di particolare allegrezza.
Nella città non c’è nessun tempio, «poiché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio». Non ha bisogno di sole perché «la illumina la gloria di Dio e l’Agnello è il suo luminare»; «la notte quivi non sarà più».
Per entrarvi
In sintesi, il paradiso restaurato il cui splendore e la cui bellezza non possono essere descritti dall’uomo poiché sono «cose che occhio non ha vedute, orecchio non ha udite e non sono salite in cuor d’uomo» (I Corinzi 2:9) è l’espressione dell’immutabile ed eterno amore di Dio verso le sue creature. Dio riempirà tutta la terra della sua gloria, e una felicità senza fine rallegrerà il cuore dei figli di Dio.
«I riscattati dell’Eterno torneranno, verranno a Sion con canti di gioia; un’allegrezza eterna coronerà il loro capo; otterranno gioia e letizia, e il dolore e i gemiti fuggiranno» (Isaia 35:10).
Per entrare nel paradiso ritrovato, non c’è bisogno di accumulare buone opere, fare dei pellegrinaggi, spendere grosse fortune; basta credere nei meriti del Figlio di Dio, appropriarsene i benefici e diventare suoi fedeli discepoli.