Un giorno, unostudioso distratto che stava viaggiando in treno, era totalmente immerso nella sua lettura, quando sopraggiunse il controllore e gli chiese di mostrargli il biglietto. Il ricercatore cominciò a frugarsi le tasche freneticamente. Non riusciva a trovare il biglietto, proprio non ci riusciva. Allora il controllore gli disse gentilmente: «Non importa, signore, quando lo avrà trovato, lo spedisca alla compagnia. Sono certo che ce l’ha». Lo studioso replicò in preda al panico: «Sono certo di averlo, ma quello che vorrei sapere è in quale parte del mondo mi sto recando!». Quel pover’uomo si era dimenticato dove era diretto.
È davvero possibile «dimenticare» dove siamo diretti, perdere di vista la nostra destinazione? È possibile essere così assorbiti nel presente al punto tale che il futuro diventa buio per noi?
L’ultimo libro della Bibbia ci offre un esame della realtà, rivelandoci con chiarezza dove siamo diretti, sottoponendo alla nostra attenzione la seconda venuta del Signore. Questo tema ritorna continuamente: «Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà» (Apocalisse 1:7). Cristo ritornerà!
A proposito di Abramo, il nomade del Signore e padre dei credenti, sta scritto:
«Per fede Abraamo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende, come Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio» (Ebrei 11:8-10).
Alla vigilia della sua crocifissione, in uno degli ultimi colloqui con i discepoli, Gesù descrisse gli eventi che si sarebbero succeduti nel mondo e parlò della sua morte, seguita dalla risurrezione e dal ritorno in cielo. I discepoli che lo ascoltavano, cercando di afferrare il significato e la portata della sua missione terrena, a poco a poco, si sentirono pervadere da una grande tristezza. L’idea di una separazione dal Maestro risultava loro inaccettabile. Gesù, che sapeva leggere nei cuori, li consolò con una promessa dicendo: «Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi» (Giovanni 14:1-3).
Nella Bibbia si parla del ritorno di Gesù per circa 1800 volte. Le ultime parole, contenute nel libro dell’Apocalisse ci informano che Dio non ha cambiato decisione, che la sua promessa è validissima e ci invita ha continuare a credere e a prepararci per il suo ritorno.
«Colui che attesta queste cose, dice: “Sì, vengo presto!” Amen! Vieni, Signore Gesù!» (Apocalisse 22:20).
«L’insegnamento biblico sul ritorno di Gesù non è un elemento secondario della fede cristiana. Senza di esso, i discepoli, turbati dall’annuncio della morte del Maestro, sarebbero rimasti delusi. II loro cammino con Cristo li avrebbe portati solo sul Golgota. Se Gesù non ritornasse, il sacrificio di Cristo sarebbe stato il pegno affettuoso di un sogno mancato. II Vangelo si trasformerebbe nell’annuncio di una salvezza parziale, capace forse di trasformare il cuore dell’uomo, ma lasciando chiusa, davanti a lui, la porta della speranza in un mondo migliore.
“Se Cristo non è stato risuscitato” diceva l’apostolo Paolo “vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati” (1 Corinzi 15:17). E poi continua: Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini.Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti… Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta» (vv. 19-23).
Per i primi cristiani la speranza era collegata all’attesa della parusia – cioè del ritorno – del Signore. Questo dà l’idea di come non si potesse parlare di speranza di salvezza al di fuori della speranza nel secondo avvento del Cristo.
La croce di Cristo rappresenta il culmine dell’amore di Dio. Ma senza la risurrezione essa sarebbe segno di un amore impotente, che commuove ma non salva. Senza il ritorno di Cristo, la croce diventa segno di un amore dimentico. Però così non è: com’è vero che Cristo è risorto dimostrando che l’amore di Dio è potente, così egli ritornerà mostrando che Dio ha la volontà di portare veramente a compimento il progetto del suo amore. Alcuni “… diranno: Dov’è la promessa della sua venuta?… Ma voi, carissimi, non dimenticate quest’unica cosa, che per il Signore, un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno. Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa…ma è paziente verso voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento” (2 Pietro 3:4,8,9)» (Giovanni Leonardi, Il ritorno annunciato, Edizioni ADV, Impruneta, 1995 pp. 20,21).
La Scrittura afferma che il destino del mondo non è lasciato in balia del caso e delle passioni umane; anzici dice che il Signor Gesù tornerà per giudicare ogni uomo, per offrire la vita eterna ai credenti e per far cessare il peccato, la sofferenza, l’ingiustizia e la morte. Quest’attesa era parte integrante della fede della chiesa primitiva.
Giovanni esorta i fedeli a dimorare in Dio e a purificarsi in vista di questo avvenimento: «Ora, figlioli, rimanete in lui affinché, quand’egli apparirà, possiamo aver fiducia e alla sua venuta non siamo costretti a ritirarci da lui, coperti di vergogna.. Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è» (1 Giovanni 2:28; 3:2,3).
Pietro, nelle sue due epistole, ci incoraggia a condurre una vita santa in previsione di quel giorno: «Perciò, dopo aver predisposto la vostra mente all’azione, state sobri, e abbiate piena speranza nella grazia che vi sarà recata al momento della rivelazione di Gesù Cristo… Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi, per santità di condotta e per pietà, mentre attendete e affrettate la venuta del giorno di Dio» (1 Pietro 1:13; 2 Pietro 3:11,12).
Giacomo ci parla della pazienza in attesa dell’avvento del Signore: «Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Osservate come l’agricoltore aspetta il frutto prezioso della terra pazientando, finché esso abbia ricevuto la pioggia della prima e dell’ultima stagione. Siate pazienti anche voi; fortificate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina» (Giacomo 5:7,8).
Paolo, rivolgendosi alla chiesa di Filippi, afferma: «La nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore» (Filippesi 3:20) e pertanto, nella lettera a Tito, ci invita a lasciarci modellare dalla grazia salvifica proprio in vista del ritorno di Cristo.
«Infatti la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata,e ci insegna a rinunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo,aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù» (Tito 2:11-13).
«Siate pronti» e «vegliate», sono le espressioni che risuonano nel discorso profetico di Gesù e nelle sue parabole (Matteo 24:44; 25:13; Marco 13:33, ecc. ), che sottintendono il pericolo di non esserlo, come le cinque vergini stolte (Matteo 25:1-10) o come l’infedele servitore (Matteo 24), ma anche il carattere provvisorio dell’esistenza presente e dell’attuale epoca e quindi l’importanzadi uno stile di vita caratterizzato da uno stile di vita conforme alla volontà di Dio.
In vista della beata speranza, Ellen G. White scrive: «La religione della Bibbia non può restare chiusa tra le copertine di un libro o le mura di una chiesa. Non può essere indossata e messa da parte occasionalmente, secondo la nostra comodità. Essa deve, invece, santificare la vita quotidiana e manifestarsi in ogni attività economica e in tutte le relazioni sociali” (La speranza dell’uomo, p. 212).