Avevo 24 anni quando un amico per la prima volta m’invitò a leggere la bibbia. Era una delle tante domeniche che passavamo insieme, camminavamo lungo un viale con gli alberi in fiore. La mia attenzione fu attratta da tanti germogli che spuntavano dappertutto. All’improvviso il mio amico pose la seguente domanda: come si può negare l’esistenza di Dio? Così incominciammo a parlare di Dio e di religione. Il lunedì sera ero pronto per il mio primo incontro con la Parola di Dio.
Quella sera rimasi estasiato nell’avere fra le mani, un libro così meraviglioso, ricco di insegnamenti e di promesse.
Mi ricordo come se fosse oggi: c’erano i miei amici, un tavolo, una tazza di tè, qualche biscotto, una pannocchia di mais, al posto del lampadario, una luce soffusa e un’atmosfera coinvolgente e la Parola di Dio che veniva offerta dal Pastore Rolando Rizzo. Quel lunedì segnò l’inizio del mio incontro con Dio.
Imparai a conoscere la Bibbia, ascoltare la voce di Colui che siede sul trono del Cielo. Compresi che ogni libro della Bibbia, ogni capitolo, ogni sillaba, ogni lettera era una dichiarazione d’amore di Dio.
Rimasi e continuo ancora oggi ad essere impressionato dal modo in cui Dio mi ama, come Egli ha guarito il mio cuore, dandomi la gioia di esistere nel modo migliore in questa valle di lacrime.
- Dio è amore! Quando Dio proclamò il Suo nome davanti a Mosè, Egli disse:
«Il SIGNORE! il SIGNORE! il Dio misericordioso e pietoso» – Esodo 34:6
La parola in ebraico per pietoso, deriva dal vocabolo rehem, «matrice, utero». La matrice o utero é l’organo principale nel quale avviene lo sviluppo del feto e dell’embrione. Il luogo dove qualcosa si genera o si crea.
Dio ci ama con un amore concreto che viene dalle Sue viscere, con tenerezza materna. Il Salmo 103:13 riafferma questa idea: “Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il SIGNORE verso quelli che lo temono”.
Dio ama ciascuno dei Suoi figli come se avesse una sola persona da amare. Dio non ci ha creati perché pretendeva di guadagnare qualcosa, ma semplicemente per amore.
Dio non ci ama per quel che siamo o facciamo, ma perché è amore. Nel suo amore ci sono i sentimenti di un padre e di una madre. Egli è allo stesso tempo padre e madre.
La Bibbia dice: “…e voi sarete allattati, sarete portati in braccio, accarezzati sulle ginocchia. Come un uomo consolato da sua madre così io consolerò voi”.- Isaia 66:12,13
- Questa sera qualcuno ha nel cuore il dolore di non essere stato compreso o di essere stato sfruttato?
- Qualcuno avverte un dolore al cuore perché sa che le proprie opinioni non hanno mai valore per gli altri?
- Qualcuno, questa sera, senza sapere spiegare i propri sentimenti, sente che nessuno dà alcuna importanza ai suoi valori e alle sue azioni?
- Vive perennemente in uno stato difensivo perché si sente come un animale ingabbiato ed attaccato?
- E’ vittima di critiche maliziose o di pettegolezzi velenosi che lo inducono ad una confusione emozionale, tale da sentirsi affaticato ed ansioso?
Sono molti coloro che rispondono a queste domande con un doloroso sì! Tutti noi, in un momento o nell’altro della vita, siamo stati feriti e calunniati.
Ricordi di critiche, di incomprensioni, di essere stati usati e rifiutati, rimangono in noi per molti anni. Forse molti di voi stanno vivendo quest’esperienza nel presente. Come conseguenza di tutte le offese subite senza volerle, il loro cuore si è indurito. Le amarezze, provate spesso, lasciano profonde cicatrici. Siamo stanchi di essere feriti e, apparentemente, non ci importa più ciò che gli altri possono dire o pensare di noi, ma la verità è che ci importa! La realtà è che ciò ci disturba ancora! Siamo prigionieri dei nostri sentimenti!
Cosa fare? Come possiamo avere una mente aperta e mantenerla sana nonostante quanto si possa dire su di noi e tuttavia imparare ad amare senza essere trascinati dal ciclone dello scoraggiamento?
Per me é un balsamo avere conosciuto la Bibbia e l’amore di Dio in essa rivelato. Il fatto di sapere che Dio mi ama con un amore che è allo stesso tempo un amore materno e paterno è tuttora un motivo di pace e di benessere interiore.
L’identità
Desidero attirare la vostra attenzione su due passi biblici:
“Ma ora così parla l’Eterno, il tuo Creatore, o Giacobbe, Colui che t’ha formato, o Israele! Non temere, perché io t’ho riscattato, t’ho chiamato per nome; tu sei mio!” (Isaia 43:1)
“Poi vidi, ed ecco l’Agnello che stava in piè sul monte Sion, e con lui erano 144.000 persone che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulle loro fronti. (Apocalisse 14:1)
Nell’ambiente biblico chiamare per nome una persona significa offrirgli la gioia di esistere.
Il nome esprime l’essenza stessa della persona e delle cose. Per questo in Genesi 2:20 è mostrato che l’uomo dà il nome al bestiame, come segno della sua superiorità; allo stesso modo in Genesi 1, Dio dà un nome alle cose create, fissandone l’esistenza e rendendole intelligibili.
Ma, avere il nome di Gesù e del Padre sulla fronte ha un significato molto più ampio e più profondo, non significa solo esistere, ma ricevere l’impronta di Dio nel carattere, una nuova identità, un modo nuovo di vivere la vita, una nova nascita.
Conosco molte persone che vivono con la sensazione di non riconoscersi più, di non sapere che cosa è successo, di non ritrovarsi più nella propria pelle e nei propri panni: «Ma io non mi riconosco più, non sono mai stato così!», questa è una delle prime osservazioni che ci carica di angoscia perché possiamo anche accettare con fatica l’incertezza di tutto, ma non quella sulla nostra identità. Almeno chi siamo dobbiamo saperlo! L’uomo ha bisogno di sapere chi è e non può vivere se non scopre che senso ha il suo vivere: rischia l’infelicità.
I componenti dell’identità
Seguendo la classificazione da Wylie e modificata in parte da Rulla, sembra possibile dividere l’io da un punto di vista strutturale, in due parti: io attuale e io ideale.
L’io attuale: rappresenta ciò che la persona è realmente – lo sappia o no – con i suoi bisogni e con il suo modo di agire abituale (Atteggiamenti).
L’io attuale, è la risultante o l’insieme di tre componenti: io manifesto, io latente, io sociale.
- Io manifesto: è la conoscenza che la persona ha di se stessa e dei suoi atti, ossia ciò che afferma di essere e di fare abitualmente, con le caratteristiche positive e negative che ammette do possedere.
- Io latente: è l’insieme di quelle caratteristiche che il soggetto possiede ma non conosce, dunque tutte queste caratteristiche delle quali (emozioni, motivazioni, bisogni, atteggiamenti emotivi…) il soggetto non è cosciente, ma che continuano a far parte della sua persona e ad influire sulla condotta. Queste caratteristiche latenti possono anche essere diverse da quello che la persona pensa di avere. Ciò che io sono senza saperlo può essere in contrasto con ciò che io credo di essere.
- Io sociale: è l’io come agente e oggetto, dunque ciò che secondo me io sono agli occhi degli altri. Stiamo parlando di una struttura interna alla persona e quindi di un influsso sociale sulla definizione del proprio io filtrato però dai nostri schemi mentali. Questo non toglie che quello influsso possa essere talmente determinante da creare una sorta di dipendenza dalla considerazione altrui per la propria stima personale: eventualità tanto più facile quanto più fragili sono gli schemi dell’io.
L’io ideale, rappresenta ciò che la persona desidera essere o diventare. É il mondo delle aspirazioni, desideri, progetti e, a volte dei sogni e delle illusioni. L’io ideale è la risultante o l’insieme di tre componenti: ideale personale, l’ideale istituzionale e divino.
- Ideale personale: riguarda i valori i progetti che la persona sceglie per se stessa; ciò che io desidero diventare. É frutto di una scelta del soggetto che può essere più o meno in sintonia con le varie componenti dell’io attuale e non sempre è manifesta e deducibile del comportamento.
- Ideale istituzionale: consiste nella percezione che la persona ha dei valori e dei ruoli che la sua istituzione sociale gli propone. L’importante non è solo il valore e il ruolo proposto, ma soprattutto come il soggetto li percepisce.
- Ideale divino: consiste nella percezione che la persona ha del motivo per cui esiste in rapporto ai valori divini e al suo divenire secondo Dio. Si tratta di dare all’io ideale un contenuto spirituale, un armonizzare ciò che la mia volontà e il mio ideale con ciò che è la volontà e l’ideale di Dio per me.
L’identità è dunque, senso di unità e continuità interiore perdurante nel tempo e nelle diverse circostanze, unito alla capacità di mantenere vivo l’ideale che Dio ha per me. É il risultato della retta gestione dell’io attuale e dell’io ideale. Quando sono in armonia come me stesso nel Signore, ho fiducia nella mia continuità; quando ho dei precisi valori di riferimento, lasciando che sia Dio a definirli, ho la gioia di essere una persona serena.
Il contrario dell’identità è la mancanza di stima personale (che si manifesta nella vergogna), la mancanza di fiducia (che si manifesta nel dubbio), la mancanza di stabilità emotiva (che si manifesta nell’indecisione) e la mancanza di riferimento valoriale (che si manifesta nel vuoto esistenziale).
“Dio non solo dà la vita, ma la fa sviluppare. É lui che trasforma il bocciolo in fiore e il fiore in frutto, è per la sua potenza che il seme germoglia e diviene prima erba, poi spiga, poi grano nella spiga, ben formato… Attraverso l’ineguagliabile dono di suo figlio, Dio ha avvolto il mondo in un’atmosfera di grazia che non è meno concreta dell’aria che circonda il nostro pianeta. Tutti coloro che scelgono di respirare questa atmosfera vivificante, vivranno e si svilupperanno sino a raggiungere l’ideale di maturità che Cristo Gesù ha predicato” (E.G. White).
L’identità ritrovata
Nel corso della mia attività pastorale ho incontrato persone di ogni ceto sociale, credenti e non, che, nonostante il fatto di essere appagate dell’attività che svolgevano, spesso dichiaravano di sentirsi mancanti, vuoti interiormente e privi di identità. Avvertivano nel profondo del cuore la sensazione di essersi perduti. Non riuscivano a collegare il presente con il loro passato, come se mancasse quella continuità storica che dava loro compiutezza esistenziale. Spesso si chiedevano: che senso ha la mia vita? Chi sono? Voltandosi indietro nel tempo avvertivano con profonda angoscia, di aver perso parte della loro vita, di non essersela goduta, di averla vissuta frammentariamente.
Avete mai avuto la sensazione che la vostra vita è passata senza esserne stati coscienti e senza averla vissuta pienamente? Che i vostri figli sono cresciuti senza avere avuto la gioia di goderseli? Senza vivere il loro presente? Quanti rimpianti e appuntamenti mancati? Se avessimo la possibilità di tornare indietro nel tempo quante cose cambieremmo?
Certo, non è possibile tornare indietro, ma, con l’aiuto del Signore possiamo cercare di collegare il nostro passato con il presente, di mettere insieme i puzzle della nostra vita.
Come? In Geremia 6:16, leggiamo:
«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre».
Questa Parola del Signore ci offre la possibilità di fare alcune impegnative considerazioni:
Contrariamente al detto «chi si ferma è perduto», il Signore ci invita a fermarci «nel presente» e a guardarci attorno. Conosco delle persone che hanno paura di fermarsi, di stare sole con se stesse. Provano un senso d’angoscia nel guardarsi intorno perché hanno paura di cogliere il vuoto intorno a loro, quindi preferiscono far finta di vivere, fino a quando non arriva il momento di rottura e si trovano in una condizione di non ritorno, di profonda depressione.
Fermarsi è il primo passo che ci permette di entrare in contatto con «l’io attuale» con ciò che io sono oggi. Nel libro dei salmi troviamo queste splendide parole:
«Insegnaci dunque a contar bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio» (Salmo 90:12).
Il Signore c’invita a vivere il presente, l’oggi, l’attuale con un cuore saggio, con sane ed equilibrate emozioni.
Il secondo passo consiste nell’informarci «circa i sentieri del – nostro – passato». In altre parole, si tratta di rielaborare il nostro vissuto cercando di dargli un significato nuovo. Far diventare le cose vecchie nuove. «Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove». – 2 Corinzi 5:17
Non è possibile vivere l’attuale senza riconciliarsi con quella che è stata la nostra vita, senza recuperare quegli aspetti che abbiamo perduto strada facendo, senza riesaminare i vuoti esistenziali o i «buchi neri» per ritrovare noi stessi e dare continuità alla nostra identità storica.
In ognuno di noi c’è una parte della vita nascosta e spesso perduta che può riattivarsi improvvisamente, senza che noi stessi ce ne rendiamo conto e che ci condiziona inconsapevolmente nei comportamenti e nelle nostre relazioni affettive importanti, tanto da distruggere ciò che riusciamo con fatica a costruire. Ecco perché è importante ricucire le lacerazioni della nostra vita.
Gesù c’insegna l’importanza della preghiera nella dinamica del recupero di noi stessi, della nostra persona, della nostra vita. Spesso, dopo essersi «dato al prossimo» cercando di alleviare le loro sofferenze, Egli passava delle ore in preghiera per recuperare se stesso, la sua dimensione d’uomo e di figlio di Dio, la sua identità, lo scopo per cui era venuto su questa terra.
«Subito dopo (la moltiplicazione dei pani), Gesú obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, mentre egli avrebbe congedato la gente. Dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte a pregare. E, venuta la sera, se ne stava lassù tutto solo» (Matteo 14:22-23). «Poi, la mattina, mentre era ancora notte, Gesú si alzò, uscì e se ne andò in un luogo deserto; e là pregava» (Marco 1:35).
Nella preghiera abbiamo la possibilità di rimpossessarci di ciò che abbiamo perduto, di noi stessi, di ricomporre i puzzle della nostra vita; perché la preghiera «è l’espansione di noi stessi nell’Iddio vivente».
Come Davide, possiamo chiedere al Signore di far tornare i «conti» della nostra vita che non tornano.
«Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero. Tu mi scruti quando cammino e quando riposo, e conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che tu, SIGNORE, già la conosci appieno. Tu mi circondi, mi stai di fronte e alle spalle, e poni la tua mano su di me» (Salmo 139:1-5).
Nella preghiera saremo guidati dallo Spirito Santo, per meglio comprendere i movimenti del nostro cuore.
«Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio» (Romani 8:26-27).
Nell’Antico Testamento, in modo particolare nel libro del deuteronomio, Il Signore invita il popolo d’Israele a non dimenticare il passato. La parola «ricordati» ritorna 53 volte. In Deuteronomio 32:7, si legge:
«Ricordati dei giorni antichi, considera gli anni delle età passate, interroga tuo padre, ed egli te lo farà conoscere, i tuoi vecchi, ed essi te lo diranno».
La verità che Dio desidera imprimere nel cuore dei suoi figli, è questa: il richiamo al passato, nel senso evangelico, ci aiuta a dare senso al presente e ci proietta nel futuro con maggiore serenità. Il Signore c’invita a dare continuità alla nostra vita è ciò, è possibile nella misura in cui non rinneghiamo il passato. Il passato non va rinnegato, ma purificato dalle scorie emozionali che lo hanno caratterizzato e che c’impediscono di vivere serenamente il presente.
Non dobbiamo guardare al nostro passato come un quadro frammentario dove in prima linea si affacciano sempre le negligenze, i fallimenti, offuscando, nell’immaginazione, quanto si è fatto e realizzato, ma con gli occhi di Cristo e l’amore di Dio.
Conclusione
“L’uomo più felice è quello che è in grado di collegare la fine della sua vita con l’inizio di essa (Johann Woligang Goethe,140).
Esperienza: Giovanni Battista
Giovanni 1:19-23 – La testimonianza di Giovanni in favore di Gesù
Luca 7:24-27 – La testimonianza di Gesù infavore di Giovanni
Entrambe le testimonianze convergono nell’affermare l’identità storica – profetica di Giovanni. Giovanni non ha un’identità paragonabile ad una «canna dimenata dal vento», quindi influenzabile dall’opinione altri. Tantomeno, Egli non è ciò che gli altri vorrebbe che fosse (il Crsito, Elia o un dei profeti), ma semplicemente «la voce d’uno che grida nel deserto: Addirizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia».
Non una delle tante voci, ma l’unica voce. Giovanni eveva acquisito un’identità storica – profetica a partire di Dio e dalla Sua Parola. Aveva, incarnato un progetto di vita superiore, non terreno, ma spirtuale, un’identità proveniente dal cielo.
Per superare i nostri problemi (la mancanza di fiducia in noi stessi, i complessi, le angosce, le nevrosi e le depressioni che affliggono tanti uomini e donne…) è indispensabile discernere l’amore di Dio in tutti gli aspetti della vita e afferrare lo scopo per il quale si è nati, secondo le disposizioni celesti (Geremia 1:1-10).
L’identità non è un dato biologico, inscritto nei cromosomi, o dei semplici tratti somatici facilmente rilevabili; neppure è semplicemente una verità da contemplare e da credere in modo più o meno statico e passivo dentro di noi. L’identità è un punto d’arrivo, una vocazione del tutto personale da realizzare.