“Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Michea 6:8).
Praticare – Amare – Camminare. Ciascun verbo è associato ad un aggettivo qualificante l’azione e la direzionalità: Giustizia – Pietà – Umiltà, affinché la pratica cristiana sia vissuta secondo la giustizia divina; l’amore come dono di sé al prossimo in Cristo; e il cammino verso Cristo, sia caratterizzato dal giusto concetto di sé in rapporto a Dio e agli uomini.
Queste verità centrali ed esistenziali della vita cristiana, sono ben espressi nei dieci comandamenti.
Il decalogo esprime dei valori morali, spirituali e sociali assoluti, riferiti a Dio e al prossimo. Alcuni di questi valori, nella loro applicazione, sono legati all’ambiente sociale, culturale ed economico. Ad esempio il principio della modestia e semplicità, valore assoluto, nel vestire e tutte le cose legate alla vita d’ogni giorno (l’automobile, l’arredamento della casa, ecc), nella loro applicazione si deve tenere conto dell’ambiente in cui si vive (Africa, Asia, Europa). Il modo di vestire dell’africano è diverso da quello europeo, come anche la mentalità.
L’importante è saper cogliere, nello spirito di Cristo, il giusto equilibrio. Gli estremismi da un lato o dall’altro devono essere evitati. Conseguentemente, se il principio rimane immutabile, l’applicazione subisce il fascino culturale, economico, ecc., purché non contrasti con la Parola di Dio.
Quando non teniamo conto di questa verità centrale, rischiamo d’avere atteggiamenti ambigui e/o contrapposti. Ad esempio:
- Trasformare la Bibbia in un libretto d’istruzioni, come se si avesse a che fare con un elettrodomestico.
- Rendere gli scritti di E. G. White una sorta di vademecum (manuale per istruzioni per l’uso).
- Trasformare il pastore in una chiave biblica o in un dispensatore di consigli, spersonalizzandolo e spersonalizzarsi e deresponsabilizzarsi.
- Dare importanza all’applicazione piuttosto che al principio morale, quindi si cade nei personalismi.
- Assolutizzando la casistica si relativizza il principio, nel senso che si perde di valore assoluto
Un esempio di questo modo di fare si trova nell’evangelo di Marco al capitolo sette.
“I farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E aggiungeva: «Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosè, infatti, disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte» (Marco 7:5-13).
Come potete notare, il comandamento «onora tuo padre e tua madre» è relativizzato o snobbato dalla tradizione o dalla casistica.
Secondo Massimo Introvigne, vi sono diversi relativismi.
Il relativismo, a differenza dello scetticismo – secondo cui non esiste nessuna verità, di nessun tipo – nega l’esistenza di verità nel senso proprio, assoluto e filosofico del termine, non nega, invece, l’esistenza di verità “relative” (che aiutano comunque a muoversi, diventando convenzioni nella vita quotidiana).
La caratteristica generale del relativismo consiste nel considerare la verità come quella cosa dipendente da una variabile indipendente che, come tale, la determina. Le variabili indipendenti che determinano la verità nel relativismo possono essere varie. Per i nostri fini, sembra almeno necessario distinguere fra tre diversi relativismi:
- Il relativismo razionalista, dove la variabile indipendente è la ragione. Il relativismo è perfettamente compatibile con il razionalismo e la fiducia ingenua nei poteri della ragione e della scienza. Anzi, quasi sempre il razionalismo finisce per «sboccare nel relativismo», nel senso che solamente è vero quanto si relaziona gnoseologicamente in forma diretta ed efficace con la ragione umana, variabile indipendente in funzione della quale si determina la verità (relativa). Giovanni 20:24-27
- Il relativismo volontarista, secondo cui la volontà (di potenza) dell’uomo impone al reale la sua legge e quindi la sua verità (relativa – qui – nel senso di soggettiva, anche se ciascuno potrà poi cercare di far prevalere la sua verità sulle altre).
- Il relativismo fideista, dove – in modo simmetrico e opposto a quanto avviene nel relativismo razionalista – la variabile indipendente è una fede religiosa (o magica), ed è vero soltanto quanto si relaziona gnoseologicamente in modo diretto con la fede. Naturalmente, il relativismo fideista – che parte da una sfiducia radicale nella possibilità della ragione umana di conoscere il reale – non deve essere confuso con un’autentica prospettiva di fede.
Per illustrare ulteriormente le differenze fra queste forme diverse di relativismo possiamo servirci di un esempio molto semplice.
1. Per il relativismo razionalista la proposizione «il fondo del foglio che sto leggendo è bianco» è provvisoriamente vera, sulla base del consenso delle scienze che studiano i colori e dell’opinione generale, che è possibile accettare tramite un processo di rivelazione e di mediazione; è tuttavia necessario che questa verità relativa rimanga aperta alla possibilità di essere rimessa in discussione da nuove analisi e da nuove mediazioni, per cui sarebbe temerario darla per accertata e sicura.
2. Per relativismo volontarista il foglio che sto leggendo è bianco nel mio mondo, perché così ho deciso; il mio vicino di casa potrebbe invece decidere che il foglio in realtà è rosso, e non avrei nessuna buona ragione per sindacare il suo modo di costruire la verità nel suo mondo, che è diverso dal mio.
3. Per il testimone di Geova, il cui accostamento al reale è un tipico esempio di relativismo fideista, il foglio di carta che ha davanti è bianco finché la Torre di Guardia non afferma il contrario; se per caso la Torre di Guardia sostenesse qualche cosa di diverso, al testimone di Geova non rimarrebbe che adeguarsi perché per definizione non esistono verità che non possono essere modificate da una nuova luce trasmessa dal Corpo direttivo, ivi comprese le verità che il Corpo direttivo ha rivelato in altre epoche storiche.
Tipico del relativismo fideista è il comportamento dei Farisei, denunciato da Gesù in Marco 7, in quanto avevano stabilito che colui che dava – «Korban», era esentato dal prendere cura dei genitori, venendo meno al quinto comandamento.
I tre diversi relativismi escludono a priori Dio ed ogni valore assoluto, con essi si assolutizza la «ragione scientifica», «la volontà soggettiva» e «l’annullamento della persona (volontà e/o l’individualità), messa al servizio di altri, senza alcuna forma critica», conseguentemente la Parola di Dio perde ogni autorità in materia dottrinale, morale e storica.
L’esercizio del libero arbitrio, della libertà di scelta e d’incontro, l’uso proprio della volontà in risposta all’invito alla condivisione del patto salvifico, sono innegabilmente esiliate. Le fondamenta dell’incontro contrassegnate dalla libera scelta e da una risposta d’amore sono disattese. Pertanto, la risposta al Dio d’amore non risulta atto di fiducia: «Seguono l’Agnello dovunque vada» (Apoc. 14:4) e d’amore: «Oh, quanto amo la tua legge! É la mia meditazione di tutto il giorno» (Sal. 119:97), ma un atto dovuto dettato dalla ragione, dal contesto culturale o da una qualsiasi forma di compensazione.
“Dio …si rivolge sia alla mente sia alla coscienza dell’uomo senza forzare la volontà, e non accetta omaggio che non sia spontaneo, sincero e espresso intelligentemente. Una sottomissione forzata impedirebbe uno sviluppo reale della mente e del carattere” (Passi verso Gesù, pag. 40).
«Ed ora, Israele, che chiede da l’Eterno, il tuo Dio, se non che tema l’Eterno, il tuo Dio, che tu cammini in tutte le sue vie, che tu l’ami… con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua» (Deut. 10:12).
«Tu vieni a me, Signore, e io Ti attendo come Uno che si ama tanto, a cui si deve tutto e che è tutta la nostra gioia». Si! «Io t’amo, o Eterno, mia forza» (Salmo 18:1). «Io amo l’Eterno perché ha udito la mia voce» (Salmo 116:1).