«La triade dell’esistenza umana: la sofferenza, la colpa e la morte sono aperti alla speranza, e quindi possono essere trasformati in una conquista, in un’autentica prestazione umana, a patto che si assuma nei loro confronti un atteggiamento e un’impostazione giusti». (1)
L’uomo è un essere che spera o che vive di speranza. Senza speranza non si può condurre una vita normale, degna dell’uomo. E. Fromm fa notare che «quando la speranza è scomparsa, la vita è finita, effettivamente o in potenza. La speranza è un elemento intrinseco della struttura della vita, della dinamica dello spirito umano». (2)
Le sue origini risiedono nel primo incontro del neonato con figure materne che infondono fiducia, le quali al suo bisogno di essere accettato e di entrare in rapporto con un ambiente caldo e tranquillizzante, gli forniscono cibo piacevole da ingerire e facile da digerire, gli offrono tutto il necessario nella misura giusta e al momento giusto. E, pertanto, «la speranza è la convinzione permanente della realizzabilità dei desideri ferventi, nonostante le forze oscure e violente che segnano l’inizio dell’esistenza. La speranza è la base ontogenetica della fede ed è nutrita dalla fede degli adulti che riempie di sé gli atteggiamenti di cura verso i bambini». (3)
«La speranza è un essere pronti in ogni momento a ciò che nasce, a ciò che ancora non è; è un’attività intensa, ma non ancora spesa. Ad essa si ricollega la fede come convinzione della possibilità non ancora dimostrata di ciò che ancora non è, come certezza dell’incerto». (4)
La fede, scrive l’apostolo Paolo, « è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono » (Ebrei 11:1). In altre parole, la fede è l’assoluta certezza che si sviluppa nel credente e che lo induce a considerare come già realizzate fatti e azioni che non si sono ancora avverati, nei confronti dei quali non si ha il minimo dubbio sulla loro realizzazione.
La fede va oltre l’evidenza dei fatti. Il credente accetta quello che Dio afferma benché la mente umana non lo capisca e benché tutto il mondo lo neghi. Ciò non significa che la fede sia cieca. È piuttosto una chiara visione spirituale della vita. Quando Abramo fu chiamato da Dio, senza vacillare, senza porre alcuna domanda, per fede ubbidì ed uscì senza sapere dove andava. Aveva piena fiducia in Dio. Per lui, gli esseri umani potevano fallire, ma Dio no. La sua non fu una fede cieca, ma una fede sensata, giudiziosa, basata nell’esperienza della presenza di Dio nella sua vita.
In occasione dell’ultima cena, Gesù parlò a lungo, come se i gesti che aveva compiuto (5) in silenzio avessero aperto la porta alla parola. Dopo aver mostrato loro la sua visione dell’umiltà, della condivisione, dell’amore e del perdono, lascerà loro in eredità una serie di principi essenziali di vita. Delle chiavi della felicità. Le chiavi che permettono l’accesso al suo Regno.
Prima di tutto parlò loro di serenità, di fiducia e di speranza.
” Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! (…) Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti ” (Gv 14:1,27).
Come doveva essere bello per quei discepoli, ansiosi, preoccupati da tante minacce che planavano su di essi, vedere il loro maestro così calmo e sereno! Una pace che non nascondeva la realtà. Egli annunciò loro che il mondo avrebbe avuto dell’odio per loro come per lui. Che sarebbero stati perseguitati, come lui. Avrebbero attraversato la tristezza… Ma proseguì immediatamente dicendo che un giorno questa tristezza verrà mutata in gioia! E disse loro con una sincerità commovente: ” Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo ” (Gv 16:33). Gesù non cercava di velare gli occhi dei suoi discepoli sulla realtà. Desiderava che fossero coscienti. Aprì loro la speranza… ma senza illusioni. Sarebbe stato difficile! Essere discepoli di un crocifisso significa anche portare un poco la sua croce!
Sapete, quando nel mare c’è uno scoglio, i flutti si scagliano con forza su di esso. Ci sono degli schizzi… Ma il discepolo può tuttavia affrontare serenamente tutto questo, perché la sua visione lo porta al di là di quelle realtà. Può già contemplare il trionfo di Gesù.
Questo mi fa pensare ad un vecchio racconto indiano che ricorda una terribile battaglia. Un temibile guerriero seminava la morte intorno a sé, come la falce che ghermisce tutto quello che si trova sul suo percorso. All’improvviso, un uomo si gettò su di lui e gli tagliò la testa. Questa cadde al suolo! Ma il temibile guerriero, senza la testa, continuò imperturbabile a combattere con accanimento!
Vi ricordo… è una storiella!
Allora una donna coraggiosa si avvicinò all’uomo inferocito e gridò: “Ma tu non hai la testa, dunque sei morto!” E sapete, nell’istante in cui pronunciò queste parole, il guerriero crollò e morì immediatamente!
Che razza di storia… non è vero? Ma è interessante! Il male e la morte che ci circondano sono mendaci! Fanno credere che avranno l’ultima parola. Eppure Gesù ha vinto la morte. (6) Il grido di quella donna, è il grido della fede. Grazie a Gesù, la morte ha perso la testa e, accada quel che accada, non ci faremo cadere le braccia, perché noi crediamo in un’altra realtà. ” Fatevi coraggio, io ho vinto il mondo! ” (Gv 16:33), diceva Gesù ai suoi discepoli.
Ecco la più bella eredità che Gesù ci lascia: la sua pace!
Di seguito Gesù fece una straordinaria promessa : ” Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei forse detto che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi ” (Gv 14:2,3). E poco dopo ritornò ancora su questa certezza di un’altra vita che inizierà in occasione della sua nuova venuta. ” Avete udito che vi ho detto: Io me ne vado, e torno da voi. ” (Gv 14:28). Si, se Gesù parla di pace, di fiducia e di speranza, è perché ci tiene a lasciarci questa certezza.
Gesù continuò a lasciar loro le chiavi della felicità… Sapendo che avrebbero affrontato delle prove dolorose e che per l’insediamento del suo Regno sarebbe occorso del tempo, molto tempo, Gesù promise ancora una volta che non sarebbero stati soli. ” E io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi. (…) In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi ” (Gv 14:16-18,20). Ecco la nostra eredità: la presenza, in noi, di Gesù Cristo vivente per mezzo dello Spirito Santo! Che mistero… Un altro ancora. Ma che straordinaria eredità! Mai più soli malgrado tutto quello che ci potrà accadere!
Scriveva Emil Brunner: “La più grande tragedia dell’uomo è la disperazione, cioè la situazione di chi non ha più speranze. Si è nella disperazione quando manca la certezza del “Dio che viene”. Ci si rassegna allora al mondo così com’è e al proprio sconfortante destino. Certo, si seguita a sperare, ma solo in un graduale miglioramento che la civiltà e il progresso apporteranno. Si pensa che “il fondo è buono”, che vi sono “grandi risorse nell’umanità”, e così via. Ma ciò equivale a non aver niente in cui sperare. Se dobbiamo dipendere dalle nostre sole risorse, dalle forze insite nel nostro mondo, allora siamo davvero perduti. Non vi può essere sviluppo di forze umane capaci di liberarci dalla tragedia del peccato, della morte. Se davvero c’è da contare solo sulle nostre forze e su quelle del mondo, non abbiamo altra prospettiva che il totale fallimento”. (7)
«Dinanzi ai problemi drammatici che angosciano la società post moderna, a volte anche i cristiani restano disorientati o sprofondano nel pessimismo. Questo avviene perché troppi fra loro hanno dimenticato che la storia, al di là delle sue contraddizioni, non è “allo sbando”, ma sfocerà in una rivoluzione operata da Dio stesso.
Si tratta di una promessa del Signore, ribadita tante volte negli scritti neotestamentari: “Io tornerò”. Anche se, per la coscienza moderna, tutto ciò può sembrare una facile deresponsabilizzazione, il Signore ci invita a guardare al futuro con speranza e ottimismo, pur non dimenticando i nostri fratelli che oggi soffrono. Il messaggio della Bibbia è che il destino del mondo non è lasciato in balia del caso e delle passioni umane; esso ci dice che il Signor Gesù tornerà materialmente e visibilmente per giudicare ogni uomo, per offrire la vita eterna ai credenti e per far cessare il peccato, la sofferenza, l’ingiustizia e la morte. Quest ‘attesa era parte integrante della fede della chiesa primitiva. Era la ” beata speranza ” di cui parla l’apostolo Paolo (cfr. Tito 2:13) (V. Fantoni e R. Vacca).
I credenti della prima generazione non avevano alcun dubbio che Gesù sarebbe tornato e che la storia era in marcia verso il suo punto cruciale. Nella tradizione della chiesa primitiva era anche chiarissimo che non ci si può chiamare credenti senza credere che Gesù verrà ancora. L’evangelo stesso sarebbe incompleto se fosse privo sia della prima che della seconda venuta di Cristo.
La credenza che Cristo sarebbe venuto di nuovo modellò le vite, i valori, le scelte dei primi credenti e così dovrebbe essere per noi. L’apostolo scrisse: «(Tale realtà) ci insegna a rinunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e salvatore, Cristo Gesù » (Tito 2:12-13).
Nel messaggio ispirato da Dio e nell’antica tradizione cristiana, il problema non è se Gesù tornerà, ma piuttosto come prepararsi e come vivere con un sentimento limpido di certezza, d’urgenza e di premura.
Il simbolismo del «l adro nella notte », usato per descrivere la seconda venuta del nostro Signore (1Tessalonicesi 5:2-4; 2Pietro 3:10; Matteo 24:42-44), ci dice che, associati all’avvento, ci saranno degli elementi di sorpresa per tutti e in qualunque tempo esso avverrà. Nella parabola delle dieci vergini che aspettano l’arrivo dello sposo (Matteo 25), Gesù insegnò qualcosa sia riguardo alla subitaneità della sua venuta che dello stato d’animo che deve caratterizzare coloro che vivono nell’attesa di quell’evento. Ci viene detto di stare svegli, di stare all’erta e di vivere delle vite equilibrate e sobrie (1Pietro 4:7; 5:8; 2Pietro 3:17).
Avviandoci alla conclusione di questa lezione, «l’insegnamento biblico sul ritorno di Gesù non è un elemento secondario della fede cristiana. Senza di esso, i discepoli, turbati dall’annuncio della morte del Maestro, sarebbero rimasti delusi. II loro cammino con Cristo li avrebbe portati solo sul Golgota. Se Gesù non ritornasse, il sacrificio di Cristo sarebbe stato il pegno affettuoso di un sogno mancato. II Vangelo si trasformerebbe nell’annuncio di una salvezza parziale, capace forse di trasformare il cuore dell’uomo, ma lasciando chiusa, davanti a lui, la porta della speranza in un mondo migliore. « …se Cristo non è risuscitato » diceva l’apostolo Paolo « vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati » (1Cor 15:17). E poi continua: « Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini. Ma ora Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono… Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno nel suo proprio ordine: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta » (vv. 19-23).
Per i primi cristiani la speranza era collegata all’attesa della parusia – cioè del ritorno – del Signore. Questo dà l’idea di come non si potesse parlare di speranza di salvezza al di fuori della speranza nel secondo avvento del Cristo. La croce di Cristo rappresenta il culmine dell’amore di Dio. Ma senza la risurrezione essa sarebbe segno di un amore impotente, che commuove ma non salva. Senza il ritorno di Cristo, la croce diventa segno di un amore dimentico. Però così non è: com’è vero che Cristo è risorto dimostrando che l’amore di Dio è potente, così egli ritornerà mostrando che Dio ha la volontà di portare veramente a compimento il progetto del suo amore. Alcuni « …diranno: Dov’è la promessa della sua venuta?… Ma voi, diletti, non dimenticate quest’unica cosa, che per il Signore, un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno. Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa… ma egli è paziente verso voi, non volendo che alcuni periscano, ma che tutti giungano a ravvedersi » (2Pt 3:4,8,9). (8)
Gesù ritorna! Sei pronto ad incontrarlo?
Dall’albero della vita è sempre sbocciato un nuovo fiore; per l’uomo questo esprime il bisogno di andare oltre lo stato presente. Ciò è inscritto nei nostri geni, nella nostra mente e nel nostro cuore… nessuna morte è mai definitiva, perché Dio ha « messo nel cuore dell’uomo il pensiero dell’eternità » (Ecclesiaste 3:11).
Note:
(1) V. E. Frankl, Alla ricerca di un significato della vita, Milano 1980, p. 121; E. Lukas, Dare un senso alla vita, Assisi, 1983, p. 14,15
(2) Cit. Da Roberto Zavalloni, in Psicologia della speranza, p. 153
(3) E. H. Erikson, ibidem, p. 157
(4) Zavalloni, ibidem, pag. 16
(5) La lavanda dei piedi – Giovanni 13
(6) Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose la sua mano destra su di me, dicendo: «Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e del soggiorno dei morti» (Ap 1:17-18).
(7) Emil Brunner, La nostra fede, ed. Battista, 1965, Roma, p. 155,156