Leggendo gli evangeli troviamo alcune espressioni che possono indurci involontariamente a mettere in discussione la divinità di Cristo Gesù e con essa la trinità. Questo può accadere perché manchiamo della dovuta conoscenza relativa alle modalità espressive in cui Dio si rivela all’uomo nel suo contesto culturale e dal modo in cui gli autori biblici cercano di capire Dio e di raccontarlo a partire dalla loro esperienza di vita.
Caratteristica specifica del modo in cui Dio cerca di raggiungere l’uomo è l’antropomorfismo,[1] che nel contesto teologico religioso è l’attribuzione alla divinità di qualità umane, fisiche, intellettuali e morali. Ad esempio, nel cercare di aiutarci a capire il suo amore e il coinvolgimento emotivo di Dio nelle dinamiche umane, la sacra Scrittura, presenta Dio come Padre, Madre, Figlio, Fidanzato, un Innamorato, ecc.[2] Dio dunque «gioisce» (Sof 3:17), ha «disgusto» (Sl 95:10)[3], è «geloso» (Es 20:5)[4], «si pente» (Gn 6:6-7)[5], si «vendica» (1 Sam 24:13)[6], «odia o detesta» (Sl 5:5)[7] e manifesta la sua «ira» o la sua «collera» ( Es 34:6; Gb 9:13) [8], ecc.
È evidente che queste espressioni antropopatiche;[9] designano gli stati d’animo dell’uomo, della nostra realtà nel suo quotidiano, ma sono attribuiti a Dio per esprimere i suoi sentimenti e rendercelo accessibile, comprensibile, vicino. Nessuna di queste parole riflette esattamente la natura di Dio, ma soltanto un’idea di ciò che lo scrittore sacro voleva presentare. Ciò ci induce a evidenziare quanto sia indispensabile evitare di comprenderle nel senso letterale. Di fatto queste emozioni così forti come l’ira, l’odio, la gelosia, ecc. sono in netto contrasto con l’amore di Dio che si esprime in termini di misericordia, accoglienza, perdono, comprensione, ecc.
Questo modo di avvicinarsi all’uomo, a causa del peccato, dovrebbe renderci consapevoli che la rivelazione di Dio non solo è parziale, ma anche complessa a causa del contesto storico culturale in cui l’uomo vive. Quando Mosè chiese a Dio di vedere la sua gloria, Egli rispose che nessuno poteva vederlo come egli è e vivere. Di conseguenza Dio manifestò il suo volto misericordioso e non la sua gloriosa natura divina (Es 33:18-23). L’apostolo Paolo scriveva: «Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto» (1Co 13:12). Di fatto, Dio abita in una luce inaccessibile (1Tm 6:16) e pertanto nessuno l’ha mai visto se non colui che ce l’ha rivelato, ovvero Gesù Cristo, che è «l’immagine dell’invisibile Dio» (Gv 1:18; Col 1:15).
Gesù il “figlio ”
Il concetto di figlio da una parte indica la posizione intergenerazionale di un individuo all’interno di un sistema familiare, al quale è legato da vincoli di natura non solo biologica ma anche sociale e psicologica, in cui cresce e si struttura come persona, ovvero come essere relazionale. Dall’altra designa più genericamente origine, provenienza, con riferimento all’ambiente e alle condizioni sociali: è un figlio del popolo; o al carattere, all’ingegno, alle tendenze rappresentative di un’epoca: fu vero figlio del suo tempo, del suo secolo; in particolare, figlio d’arte, ecc. Nelle Scritture, riferito all’uomo, designa anche un tipo di relazione morale e spirituale: figlio del diavolo (Mt 13:38; Gv 8:44; 1 Gv 3:10), figli e figlie di Gerusalemme (Lc 23:28), figli del peccato (Ef 2:3), figli di Abramo (Gv 8:39), ecc.[10]
Le Scritture presentano Gesù come «figlio di Davide», «figlio dell’uomo» e «figlio di Dio».[11]
Figlio di Davide
Il titolo rivestiva ai tempi di Gesù un carattere nettamente messianico e sottolineava un aspetto particolare della figura del Messia: l’Unto dell’Eterno doveva discendere dalla famiglia di Davide (Mt 22:42; Gv 7:42).[12] Questa locuzione da una parte evidenzia più di qualsiasi altra espressione l’indissolubile legame che unisce il Salvatore alla storia d’Israele e alla profezia dell’antico Patto. In Gesù Cristo, in quanto discendente di Davide trova infatti piena realizzazione l’antica profezia fatta al re d’Israele (2Sam 7:12-16) e più volte rinnovata nella predicazione dei profeti.[13] Dall’altra, esprimeva bene la speranza della restaurazione d’Israele. Il titolo, sia per la folla sia per gli scribi, si prestava a una interpretazione terrestre e politico – nazionale del messianismo.
Figlio dell’uomo
Locuzione semitica (ebr. ben ādām/‘enōsh ādām; gr. Uiòs toû anthrόpou ), equivalente a «essere umano, uomo»,[14] ricorre numerose volte nei 4 Vangeli sulle labbra di Gesù o di chi ne riferisce le parole.[15] Riferita a Gesù da una parte evidenzia l’umanità di Gesù, in particolare modo la sua sofferenza. Infatti, è molto comune negli annunci della passione (Mc 8:31; 9:31; 10:33). Dall’altra, rivela l’aspetto messianico/escatologico di Gesù (Dan 7:13-18). Il figlio dell’uomo verrà in gloria (Mt 13:41; Lc 18:11; Gv 5:27; Mt 24:30, 37); e sederà sul trono (Mt 10:28), alla destra di Dio (Mt 26:64) e verrà nella gloria del Padre (Mt 16:27). «Dicendosi «figlio dell’uomo» Gesù rivelava e velava quindi il suo più intimo essere, superiore a quello del Messia tradizionale: attribuendosi il compito di giudice escatologico (Mc 8:3), poteri divini (Mc 2:10-28), una missione di salvezza (Mc 10:45), fondata sull’esigenza di una volontà celeste (Mc 8:31) già consegnata del resto nelle Scritture (Mc 9:12; 14:21), non si presentava più soltanto come il delegato celeste a preparare l’intervento soteriologico di Dio, ma addirittura come lo stesso suo artefice e realizzatore».[16]
Figlio di Dio
Il senso puramente religioso, spirituale e relazionale di questa locuzione è ben attestato nelle Scritture. In Esodo si legge: «Così dice il SIGNORE: Israele è mio figlio, il mio primogenito» (Es 4:22).[17] Ed è in tal senso che gli evangeli presentano Gesù come figlio di Dio,[18] in contrapposizione a Satana e ai demoni (Mt 4:3,6; 8:29) e in rapporto all’uomo alieno da Dio. Infatti, sin dalla sua nascita è annunciato come «il santo, figlio di Dio» (Lc 1:35), il prediletto del Padre[19]
L’evangelista Marco raccoglie tutta la sua testimonianza su Gesù sotto il titolo significativo: “Evangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1:1) indicando in modo particolare il rapporto di comunione con Dio, la sua elevata spiritualità e la sua opera di redenzione, che si espleta sin dall’inizio con una serie di guarigioni e/o attività salvifiche liberando l’uomo anche dal potere demoniaco, proclamando che «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino …». (Mc cap. 1 – 3). Particolare importante nei vangeli è il fatto che solo due categorie di persone si rivolgono a Gesù chiamandolo figlio di Dio: gli indemoniati e i discepoli. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia alla sua tomba, dopo la risurrezione, esclamarono «veramente, costui era Figlio di Dio».[20]
Questa dichiarazione/confessione da una parte rivela la sua divina superiorità che si manifesta nei confronti dei demoni (Lc 8: 26ss.); dall’altra evidenzia la sua umanità che è ben sottolineata nell’annuncio della sua nascita e nel battesimo (Lc 1:35; Mt 3:17).
L’apostolo Giovanni, dopo aver indicato, che la Parola, ovvero la seconda persona della divinità, «era con Dio, e la Parola era Dio», precisa che «la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità» (Gv 1: 1,14). Con parole diverse Paolo nella lettera agli ebrei fa presente che Gesù «non considerò l’essere uguale a Dio … ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini» (Filip 2.7). Nella lettera agli ebrei, si evidenzia che Gesù «doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa» e non solo «per essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote … e per compiere l’espiazione dei peccati del popolo», ma anche per «venire in aiuto di quelli che sono tentati» (Eb 2:17-18).
Scegliendo di essere uno come noi, figlio dell’umana esistenza, Gesù è anche nostro fratello e ineluttabilmente “figlio” come ciascuno di noi è figlio dei propri genitori. Ma Gesù, per via della sua nascita miracolosa (Lc 1:26ss) non poteva essere dichiarato a tutti gli effetti figlio di Giuseppe e di Maria [21] ma «figlio di Dio».
Pertanto, Gesù come uomo appartiene alla storia dell’umanità ed è figlio naturale di Dio;[22] noi lo siamo per adozione (Ro 8:15; Gv 1:12), conseguentemente Gesù chiama Dio “Padre”, invitandoci a rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre nostro” stabilendo da una parte una relazione fraterna con tutti coloro che scelgono di stare dalla parte di Dio: «poiché chiunque avrà fatto la volontà del Padre mio, che è nei cieli, mi è fratello e sorella e madre» (Mt 12:50). Dall’altra, proprio perché ha scelto di diventare simile a noi «suoi fratelli», con il suo esempio, ci invita a riflettere sul tipo di relazione che Dio desidera avere con ciascuno di noi suoi figli. Ciò significa che l’espressione «figlio di Dio» va letta alla luce dell’incarnazione; di un modello di relazione che Gesù ha avuto con il Padre intanto che uomo.[23]
Egli, s’è fatto uomo, uno come noi, con lo scopo di aiutarci ad avere un’immagine corretta di Dio e di comprendere il suo amore, insegnandoci a viverlo con affetto e senso di abbandono.[24] Purtroppo, nonostante gli anni di vita cristiana ed ecclesiale, di conoscenza teologica e dottrinale, siamo ancora increduli, disorientati e incapaci di accettare dolcemente e amichevolmente l’amore di Dio. La nostra griglia interpretativa di Dio e della sua Parola risente molto del tipo di rapporto avuto con i nostri genitori, dal vissuto personale, dalla cultura e dal modo in cui ci si avvicina alla parola di Dio.
Seguendo Gesù come nostro fratello, contemplando il modo in cui egli s’è relazionato con Dio, impariamo quanto sia importante per la nostra vita abbandonarci all’amore di Dio, di un Padre che non ci ha mai perso di vista, di un Padre che non vede l’ora di accoglierci nel suo regno.
Gesù “unigenito” e “primogenito”
Alla luce di quanto espresso è saggio prendere in considerazione alcune espressioni che indubbiamente possono in qualche modo risultare fuorvianti o in contrasto con la divinità di Cristo
«L’apostolo Giovanni nel sottolineare ulteriormente l’unicità del rapporto di filiazione divina di Gesù in quanto uomo, lo designa come «l’Unigenito» (Gv 1:14,18; 3:16,18; 1Gv 4:9). «Unigenito» (gr monoghenès) riferito a Gesù non significa «unico generato», ma «unico nel suo genere». «Unigenito» con questo senso speciale nella Bibbia è usato anche in riferimento a una relazione umana di filialità. Per es. in Ebr 11:17 Isacco è detto l’unigenito di Abramo, mentre si sa che Abramo generò altri figli oltre ad Isacco (Gen 25:1,2). Isacco fu l’«unigenito» o l’«unico» di Abramo (Gen 22:12,16) in senso morale, in quanto figlio della promessa e continuatore della stirpe di Abramo (Gen 15:4; Ebr 11:17,18). Gesù pure è l’Unigenito di Dio in senso morale. Egli è l’Unico del suo genere, è Figlio di Dio in modo unico e ineguagliabile (Mt 11:27; Gv 1:18; 3:13). I Giudei capirono bene che egli si eguagliava a Dio dichiarandosi Figlio di Dio e per questo, non credendo alla sua divinità, tentarono di lapidarlo (Gv 5:17,18).
Il NT dà ancora risalto alla posizione unica di Gesù nell’Universo designandolo come «il primogenito» (Col 1:15; Ebr 1:6). Applicato a Cristo «primogenito» (gr. protótokos) non significa «il primo nato», ma «l’eminente», «l’eccelso». Il termine evoca le implicazioni socio‑giuridiche e morali dell’antico privilegio della primogenitura. II primogenito nella società antica occupava una posizione preminente rispetto ai fratelli essendo l’erede unico delle prerogative e dei poteri paterni. «Primogenito» con un significato allegorico nell’AT è applicato a Israele (Es 4:2; Ger 31:9) e individualmente a Davide (Sal 89:20,27). Nel NT è riferito ai cristiani (Ebr 11:23). Il valore morale di questo termine usato in senso traslato è evidente nel Sal 89:27: «II più eccelso». E’ in questo senso morale ed extratemporale che Gesù è chiamato «il Primogenito» nel NT. Egli è il Primo fra tutti nell’universo, l’Eccelso, Colui che detiene un potere e un’autorità senza eguali».[25]
In Col 1:18 e Apoc 1:5 il Cristo risorto e glorificato riceve il titolo di «Primogenito dei morti» (Gr protótokos ek tòn nekròn). In questi passi il Risorto è presentato come il Prototipo e il garante dei morti che torneranno in vita nell’ultimo giorno (1Cor 15:20), poiché Egli ha il dominio sulla morte (Apoc 1:18).
Primogeniti sono anche tutti coloro che hanno accettato la grazia di Dio (Eb 12: 23). Gesù, in senso spirituale, è dunque «il primogenito tra molti fratelli» (Ro 8: 29), che sono anch’essi una «assemblea di primogeniti».[26]
In Apoc 3:14 il Cristo glorificato si presenta alla sua Chiesa come «il Principio della creazione di Dio» (gr è arkè tes ktíseos tou Theou). Non si insinua che Egli sia il primo essere creato, ma si afferma, in armonia con l’insegnamento unanime del NT, che Egli è la Causa attiva della Creazione (Gv 1:2; 1Cor 8:6; Col 1:16; Ebr 1:2). [27]
Indubbiamente, noi non possiamo afferrare la natura di Dio in tanto che Padre, Figlio e Spirito Santo, nella sua essenzialità, ma grazie alla rivelazione, anche se parziale, possiamo cogliere l’amore di Dio e imparare a camminare con lui come figli di un Padre che è amore. Possiamo vivere Gesù come nostro fratello, seguendo il suo stile di vita; possiamo godere dello Spirito Santo per una serena realizzazione secondo i doni che egli desidera elargisci (1 Cor 12).
[1]Il termine deriva da due etimi greci, άνθρωπος (anthrōpos), “umano”, e μορφή (morphē), “forma”.
[2] Sal 103:13; Dt 32:18; Gn 49:25; Is 66:13; 49:15; Os 11:4; Sl 19:5; Is 54:5; Mt 1:21; 3;17; 16: 16; 17:5; ecc.
[3] Cfr. Lamentazioni 2:7
[4]Cfr. Es 34:14; Deut 4:24; 5:9; 6:15; Giosuè 24:19; Nah 1:2; 2 Co 11:2.
[5] Cfr. Es 32:14; Giudici 2:18; 1 Sam 15:11; Sl 106:45; 110:4; Ger 18:8; 26:13; 42:10; Gioele 2:14; Giona 4:2; Eb 7:21.
[6] Cfr. Ger 15:15; 46:10;Ap 6:10; 19:2.
[7] Cfr. Sl 11:5; 26:5; 45:7; Pr 6:16; Is 61:8; Ger 44:4; Am 5:21; Mal 2:16.
[8] Cfr. Num 14:18; 1 Cron 27:24; Neh 9:17; Giobbe 21:24; Sl 27:9; 77:9; 78:58; 86:15; 103:8; 106:32; 145:8; Zac 8:14; Ro 5:9; 12:9; 1Tes 1:10; Ap 6:16.
[9] antropopatìa s. f. [comp. di antropo- e -patia]. – Tendenza ad attribuire alla divinità passioni, ma anche ogni altra caratteristica psichica, propria dell’uomo; è un aspetto, quindi, dell’antropomorfismo (denominato anche antropomorfismo psichico). Dal greco: antropos–uomo e patos–sentimento), è un’espressione per mezzo della quale si esprime con i sentimenti umani quelli di Dio, come pentirsi, adirarsi, dimenticarsi (Gen 6:6; Es 32.10ss).
[10] In tutti questi casi, l’espressione «figlio di» stabilisce una relazione. Coloro che sono figli di Abramo, non sono necessariamente secondo la carne, o messi al mondo da Abramo, ma indica chi accetta una relazione di fede, che aderisce alla stessa fede di Abramo (Gal 3:7). Infatti, Abramo è il «padre dei credenti» e tutti coloro che hanno la sua fede sono figli di Abramo.
[11] Indubbiamente Gesù non può essere definito figlio di Davide nel senso intergenerazionale, ma in virtù della promessa messianica.
[12] Mt 1:1; 20: 30-31; 21:9, 15
[13] Am 9:11; Is 9:5-6; 11: 1-5; Ger 23:5-6; 30:9; 33: 15-17
[14] In Ezechiele ricorre circa 90 volte. Qui il profeta non è mai chiamato col suo nome, ma come una persona posta di fronte a Dio.
[15] 81 volte nei vangeli e 4 solo negli altri libri; delle quali una nell’uso evangelico (At 7:56), un’altra è una citazione di un salmo (Eb 2:6) e le altre si richiamano a Daniele 7:13 (Ap 1:13; 14:14).
[16] Moraldi Lyonnet, ”Introduzione alla Bibbia”, vol IV, Marietti Editore, p. 144.
[17] Cfr. Osea 2:1; 11:1,37; Ger 31:9. 20; Deut 14:1; 32:6; 2 Sam 7:14).
[18] Nel Nuovo Testamento, ricorre 31 volte nei sinottici, 23 in Giovanni, 42 nelle epistole; passi a cui dovrebbero aggiungersi altri nei quali Gesù chiama Dio suo Padre (Mt 10:32; 16:27; 18:10; 26:29) (Dizionario delle dottrine bibliche, a cura di Giovanni Miegge, Feltrinelli Editore, voce: Gesù).
[19] «Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3:17; 17:5).
[20] Mc 3:11; 5:7; Lc 4:41; 8:28; Mt 27:54.
[21] Giuseppe è padre putativo (dal latino puto, “credo”), cioè colui “che era creduto” suo padre (sulla scorta di Luca 3:23). Ricordiamo che secondo gli evangeli Gesù nato per opera dello Spirito Santo (Lc 1: 35)
[22] Nell’evangelo leggiamo: «ma mentre aveva queste cose nell’animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo» (Mt 1:20; cfr At 13:33; Eb 1:5; 5:5). Generato da un punto di vista umano, significa che Dio nella persona di Gesù Cristo, ha dato inizio ad una nuova genesi. Pertanto «generato» (gr. gegennêka» non ha nulla a che fare con la divinità di Cristo, ma evidenzia l’inaugurazione del regno di Dio che avrà il suo compimento alla fine dei tempi, ovvero quando Gesù tornerà.
[23] Gesù, seconda persona della divinità, non è una creatura angelica creata da Dio con un ruolo diverso e superiore rispetto agli altri angeli.
[24] In tal senso, emblematica è l’esperienza di Gesù sul lago di Tiberiade, dove Gesù dorme, mentre gli apostoli vivono l’angoscia della morte a causa delle tempesta. Scrive E. G. White, «Gesù era pienamente sereno quando fu svegliato durante la tempesta. Non c’era alcun segno di paura nelle sue parole e sul suo volto; il suo cuore ignorava la paura. Era tranquillo non perché fosse il Signore della terra, dei mari e del cielo, dominio a cui aveva rinunciato, ma perché confidava nel Padre, credeva nel suo amore e nella sua potenza». – E. G. White, La Speranza dell’uomo, p. 248, ed. AdV – Impruneta (Fi), 1998.
[25] A. Caracciolo, Dizionario delle dottrine bibliche, voce Gesù, ed. AdV. (Impruneta (Fi).
[26] Israele è chiamato il primogenito di Dio Esodo 4:22; Geremia 31:9;
[27] «Ugualmente vogliamo segnalare che la parola arkhê è utilizzata anche nel N.T. nel contesto di “principio”, “punto di partenza come causa” dunque in un senso attivo e non solamente nel senso passivo come di colui che ha avuto un punto di partenza, un inizio. L’apostolo Paolo in Cl 1:18 nomina Gesù arkhê prôtotokos ek tôn nekrôn – principio, primogenito dei morti, e in Ap 3:14 è ê arkhê tês ktiseôs tou theou – il principio della creazione di Dio. Troviamo che l’associazione delle parole arkhê – principio e prôtotokos – primogenito in Cl 1:18 è notevole perché prôtotokos spiega in quale senso deve essere interpretato arkhê. La parola prôtotokos, che traduce quasi sempre la parola ebraica «bākar», è formata dalle parole prôtos – primo e tekein – generare e indica colui che apre il seno materno, il primo nato. Ma questa parola è utilizzata anche con una forte connotazione religiosa e dunque è utilizzato come un titolo onorifico, indica il migliore o il più eccellente, colui che è stato scelto per un ruolo particolare, colui che partecipa al diritto di primogenitura. È per questo che nella LXX troviamo dei casi in cui la parola prôtotokos è data a delle persone che non erano per forza primogeniti nel senso cronologico. È il caso del re Davide nel Sl 89:27, è il caso di Efraim in Gr 31:9, e il caso del popolo d’Israele in Es 4:22 sapendo che Dio ha sempre avuto un popolo, Noè, Abrahamo. Nella legge levitica contenuta in Dt 21:16,17, Dio proibisce di fare diventare primogenito qualcuno che non era primo nato. Questo prova che c’è un rischio e che questa parola non indica per forza il primogenito, questo termine è riempito di un carattere giuridico-legale che indica una dignità, una preminenza». M. Gaudio, La Parole de Dieu, Collonges sous Salève 2000, p. 102, nota n. 334.