in Palestina nel I° secolo d.C.
di Past. Castro Vincenzo
Erode il Grande
Erode, chiamato “il Grande”, fu re della Palestina dall’anno 40 al 4 a .C. D’origine Idumea, e pertanto di stirpe non propriamente giudaica, era figlio di Antipatro, ministro durante il regno di Ircano II. Erode nacque probabilmente nell’anno 74 a .C. ed a venticinque anni suo padre gli affidò il governo della Galilea. Egli condusse una campagna di pacificazione del paese, cercando di estirpare i focolai del nazionalismo antiromano. Il Sinedrio chiamò a rapporto Erode per rendersi conto del suo violento comportamento, però questi, valendosi dell’appoggio che gli offriva il governatore romano della Siria, riuscì a fuggire. Occupò allora l’incarico di governatore della Celesiria. Nell’anno 43 a .C. moriva il padre Antipatro, avvelenato da un certo Malco che a sua volta fu fatto uccidere da Erode il Grande. Da allora occupò il posto del padre nel compito di governo e di tutela dell’impotente re Ircano. Erode cercò di entrare nelle grazie di Marco Antonio; per questo non esitò a trasferirsi nell’Asia Minore, per un colloquio personale con Antonio, che alla fine gli concesse il titolo di tretarca della Giudea, insieme al fratello Fasael.
Di fronte all’ambizione di Erode e all’indolenza di Ircano si levò un nemico di entrambi, Antigono, figlio di Aristobilo, un vecchio pretendente al trono d’Israele. Durante quel periodo, la politica romana nell’Oriente subiva una seria crisi. Gli anticesariani superstiti si erano alleati con i Parti, che al massimo splendore del loro potere militare misero in fuga le legioni romane; anche Antigono si alleò con i Parti che invasero la Palestina , concedendogli il titolo di “re dei giudei”. Frattanto Erode, che era riuscito a fuggire, si diresse a Roma e lì strinse un patto con i padroni dell’impero, i triumvirati Antonia e Ottaviano, che gli concessero il titolo di re e lo investirono d’ogni potere per regolare definitivamente la questione Palestina. Nonostante le difficoltà che incontrò in modo particolare tra i nazionalisti giudei i quali non desiderano un re di origine straniera, ma grazie alla collaborazione delle legione romane riuscì ad assediare e ad impadronirsi di Gerusalemme. Per consolidare la sua posizione tra i Giudei s’imparentò con la famiglia degli Asmonei, sposando la bella Mariamme , nipote del vecchio Ircano.
La passione dominante del nuovo re era la frenesia del potere, cui univa un sospetto feroce contro tutto ciò che potesse fargli ombra e contro ogni persona destasse il più lieve sospetto; a ciò univa una crudeltà di cui si sono conosciuti pochi altri esempi, nella storia, basta pensare alla strage degli innocenti nell’anno in cui nacque Gesù. Erode viveva con il complesso di occupare un posto che non gli appartenesse e questo costò molto caro a tutti coloro che stavano vicino al re, ad uno ad uno, furono sue vittime. Le prime vittime furono un grande numero di Giudei che parteggiavano per il regime di Antigono. La seconda vittima fu suo cognato Aristobulo per paura che quest’ultimo potesse aspirare al trono. Erode fu costretto, suo malgrado di eleggere sommo sacerdote Aristobulo, giacché il sacerdote in carica non aveva il carisma e che Ircano che fece tornare dall’esilio babilonese era nell’impossibilità fisica per disimpegnare tale compito.
I Giudei furono contenti di tale nomina e vedevano di buon occhio il giovane Aristobulo, ponendo in lui le loro speranze, ciò infastidì Erode fino al punto di farlo uccidere. Alessandra, la suocera, cercò di intrecciare dei rapporti con Cleopatra per eliminare il genero, ma non vi riuscì. Con la scusa di una gelosia infondata fece uccidere lo zio e cognato Giuseppe, che aveva nominato reggente in sua assenza. In un secondo momento fece uccidere la suocera e la moglie Mariamme con la stessa motivazione che fece uccidere lo zio. Nel momento più tranquillo del suo regno si dedicò all’attività edilizia. Erode cercò di modernizzare le città del suo regno, ma una delle costruzioni più importanti di questa fase di prosperità è stata la riedificazione del Tempio di Gerusalemme, opera veramente imponente che superava in bellezza ed in splendore la primitiva costruzione di Salomone. Il nuovo Tempio fu inaugurato nell’anno 10 a .C. Verso quel periodo incominciarono di nuovo le preoccupazioni familiari. I due figli d’Erode e Mariamme, Alessandro e Aristobulo educati a Roma, avevano amicizia personale dell’imperatore, incominciarono a rendersi conto del modo tiranno di agire del padre e che non lo condividevano. La cosa giunse alle orecchie d’Erode nel 7 a .C. riuscì ad eliminare anche loro. Poco tempo dopo ordinò la strage degli innocenti di Betlemme (Matteo 2:16).
Antipatro, il nuovo principe erede al trono, aveva iniziato a cospirare contro suo padre che lo fece incarcerare. Erode, anziano ed infermo, impartì degli ordini i quali portarono alla morte anche il figlio Antipatro. Erode morì probabilmente il 13 marzo dell’anno 4 a .c., dopo un tentativo di suicidio.
Un giorno il re riceve una notizia inaspettata, dei magi d’Oriente, chiedono informazioni circa la nascita del nuovo re. Erode venuto a conoscenza di questo, fece chiamare i capi sacerdoti e gli scribi, circa la nascita di Cristo. Costoro consultando le Sacre Scritture gli dissero che in Betlemme di Giuda doveva nascere il Cristo profetato dai profeti. Erode sconvolto da questa notizia, fece chiamare i magi di nascosto e li invitò a ritornare da lui quando avrebbero trovato il bambino perché desiderava rendergli omaggio. Ecco come Matteo descrive quest’episodio: ” Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode. Dei magi d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo”. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere. Essi gli dissero: “In Betlemme di Giudea; poiché così è stato scritto per mezzo del profeta: e tu, Betlemme, terra di Giudea; non sei per nulla la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele”. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s’informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparsa; e, mandandoli a Betlemme, dissero loro: “Andate e chiedete informazioni precise sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, affinché anch’io vada ad adorarlo”.
Essi dunque, udito il re, partirono; e la stella, che avevano visto in Oriente, andava davanti a loro finché, giunta al luogo dov’era il bambino, vi si fermò sopra. I magi quando videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre; prostrarsi, lo adorarono; e, aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra. Poi, avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per un’altra via. Dopo che furono partiti, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e restaci finché io non te lo dico; perché Erode sta per cercare il bambino per farlo morire”. Egli dunque si alzò, prese di notte il bambino e sua madre, e si ritirò in Egitto. Là rimase fino alla morte d’Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta: fuori d’Egitto chiamai mio figlio”. (Matteo 2:1-15)
Conoscendo più da vicino il modo di regnare e di agire da parte d’Erode il Grande non stupisce il suo ordine nell’eliminare Gesù, “futuro re”, fece uccidere diversi bambini, poiché l’unica cosa che contava per lui era il potere. “Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò moltissimo, e mandò ad uccidere tutti i maschi che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio dall’età di due anni in giù, secondo il tempo del quale si era esattamente informato dai magi” (Matteo 2:16-18). Erode aveva avuto il privilegio di vedere il Salvatore del mondo, ma accecato dalla paura di perdere il potere, decise di non vederlo, ma di eliminarlo. Per lui l’unica cosa che contava era il regno a costo di eliminare anche le persone più care e lo fece facendo uccidere la donna che amava, Mariamme. Alla fine tentò il suicidio, ma non vi riuscì. Quanti uomini anche oggi accecati dal denaro, dall’orgoglio, dal potere, hanno la possibilità di conoscere il Signore e rimandano quest’incontro o non ne vogliono sapere.
Erode Antipa
Il tetrarca Erode Antipa era figlio d’Erode il Grande e di una delle sue spose, la samaritana Malthake. Ereditò da suo padre il governo della Galilea e della Perea. Augusto confermò Erode Antipa nel suo titolo di tetrarca, concedendogli una totale indipendenza da suo fratello e rivale Archelao, che aveva l titolo di etnarca della giudea, della Samaria e dell’Idumea. Alla morte d’Augusto, Erode Antipa godette della familiarità del nuovo imperatore Tiberio, facendo la spia a carico dei magistrati romani d’Oriente. Sposò una figlia d’Areta, re dei Nabatei. Chi portò alla deriva Erode Antipa fu una donna, la famosa Erodiade. Verso la fine dell’anno 27 Antipa fece un viaggio a Roma, probabilmente per motivi di lavoro, qui fu ospitato da suo fratello, per parte di padre soltanto, che da Giuseppe Flavio è chiamato Erode, mentre è chiamato Filippo in Marco 6:17; quest’Erode Filippo, che conduceva una vita piuttosto privata a Roma, aveva sposato Erodiade, figlia d’Aristobulo, quest’ultimo era figlio d’Erode il Grande, di conseguenza era anche sua nipote. Erodiade era una donna ambiziosissima, e non riusciva a rassegnarsi a quella vita privata a fianco di suo marito Erode Filippo; l’arrivo dell’ospite Antipa confermò un precedente progetto, perché l’autorevole fiduciario di Tiberio si era già mostrato molto tenero per la donna.
Gli ostacoli per una stabile unione erano molti e gravi: in primo luogo l’ospite non era un giovanotto, doveva essere sulla cinquantina, inoltre aveva per legittima moglie la figlia del re Areta IV re degli arabi Nabatei; eppoi la dona era sposata, bene o male secondo la legge giudaica, con suo zio, e nessun’interpretazione cavillosa le avrebbe permesso di passare ad un altro zio, vivente ancora il primo marito. Ma la passione da parte di lui e l’ambizione da parte di lei superarono tutti gli ostacoli: si promisero che egli ritornato nei suoi territori avrebbe ripudiato sua moglie, e che ella avrebbe abbandonato il vecchio marito a Roma per raggiungerlo. La legittima moglie d’Antipa ebbe notizia in Palestina di quanto si era confermato a Roma; perciò, per evitare l’umiliazione di un ripudio, si fece inviare da suo marito con un pretesto nella fortezza di Macheronte, situata sui confini tra il territorio di suo marito e quello di suo padre, e da lì fuggì presso il padre. Rimosso quest’ostacolo, Erodiade venne da Roma presso Antipa portando con se la figlia che aveva avuto da suo marito, certa Salome, che aveva imparato a ballare molto bene a Roma.
Giovanni il Battista rimproverò apertamente il re del suo comportamento scandaloso:
“Poiché Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva fatto incatenare in prigione a motivo d’Erodiade, moglie di Filippo suo fratello, che egli, Erode, aveva sposato. Giovanni, infatti, gli diceva: “Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello!” (Marco 6:17,18). Erode Antipa, irritato dinanzi alla verità., lo fece arrestare. Dato il carattere superficiale, la sua superstizione e il rispetto che il Battista aveva presso il popolo, la figura del Battista gli incuteva un certo rispetto. Erode lo fece arrestare e Giovanni rimase in carcere circa dieci mesi. Erodiade faceva pressione presso Erode Antipa per fare uccidere il Battista, ma Erode non era dello stesso parere.
Durante una festa data in onore del compleanno d’Erode Antipa, Salome, la figlia d’Erodiade, suscitò l’ammirazione dei commensali con le sue danze ed Erode, in un momento d’entusiasmo, promise di dare alla ragazza tutto quanto gli avesse chiesto, anche se si fosse trattato della metà del suo regno. Salome consultò sua madre la quale le propose di chiedere la testa del Battista e così avvenne. “La figlia della stessa Erodiade entrò e ballò, e piacque ad Erode e ai commensali. Il re disse alla ragazza: “Chiedetemi quello che vuoi e te lo darò” E le giurò: “Ti darò quel che mi chiederai; fino alla metà del mio regno”. Costei, uscita, domandò a sua madre: “Che chiederò?”. La madre disse: “La testa di Giovanni il battista”. Il re ne fu molto attristato; ma, a causa dei giuramenti fatti e dei commensali, non volle dirle di no; e mandò subito una guardia con l’ordine di portargli la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò nella prigione e portò la testa su un piatto; la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.” (Marco 6:22-28). Quando più tardi il tetrarca seppe che un nuovo profeta, Gesù di Nazaret, predicava e compiva miracoli nelle regioni sotto la sua giurisdizione, pensò che si trattasse di Giovanni risuscitato dai morti. Per questo volle allontanarlo, per non trovarsi di nuovo di fronte al problema della propria coscienza.
Allora alcuni Farisei si avvicinarono a Gesù e gli affermarono che Erode Antipa voleva farlo prigioniero; però il Maestro, dopo aver chiamato il tetrarca con l’epiteto di “volpe”, non temendo la minaccia della morte, continuò a predicare, perché non era ancora giunta l’ora della sua passione.. Nonostante tutto questo Antipa nutriva in sé il desiderio di vedere Gesù e di contemplare i suoi miracoli. Egli fu felice quando Pilato gli inviò Gesù perché decidesse sulla accuse di colpevolezza che gli venivano imputate. Fu uno stratagemma abile del procuratore romano, perché, sebbene il prigioniero potesse essere giudicato da lui, essendo stato fermato nelle terre sotto la sua giurisdizione, tuttavia trattandosi di un galileo e di una questione piuttosto religiosa, il più competente nel giudizio poteva essere Erode, tetrarca della Galilea e giudeo, almeno d’adozione. In realtà le cose non sono andate così: Erode non diede nessuna soluzione, ma quest’episodio fece normalizzare i rapporti tra Erode e Pilato che fino a quel momento non erano idilliaci.
Nonostante le insistenti domande, Erode non ricevette nessuna risposta da Gesù. Per questo, probabilmente, contrariato nella sua superbia, fece vestire di una veste splendida Gesù e dopo averlo schernito ed insultato, lo rimandò a Pilato. Ecco come descrive Luca questo avvenimento: “Quando Pilato udì questo, domandò se quell’uomo fosse galileo. Saputo che egli era della giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode, che si trovava anch’egli a Gerusalemme in quei giorni. Quando vide Gesù, Erode se ne rallegrò molto, perché da lungo tempo desiderava vederlo, avendo sentito parlare di lui; e sperava di vedergli fare qualche miracolo. Gli rivolse molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. Or i capi dei sacerdoti e gli scribi stavano là, accusandolo con veemenza. Erode, con i suoi soldati, dopo aver vilipeso e schernito, lo vestì di un manto splendido, e lo rimandò da Pilato. In quel giorno, Erode e Pilato divennero amici; prima infatti erano stati nemici” (Luca 23:6-12).
La cosa sconvolgente in questo personaggio è nel vedere un uomo che ha rovinato la vita di suo fratello, l’esistenza di tante famiglie mettendoli in cattiva luce attraverso tutta una catena di spie a Roma agli occhi dell’imperatore, sfidando le legge giudei, facendo uccidere Giovanni il Battista che riteneva innocente, nonostante ciò Dio gli diede la possibilità di ravvedersi tramite il Battista e tramite Gesù stesso, se lo avesse voluto, ma per amore del potere e dell’orgoglio, preferì fare decapitare Giovanni e deridere Gesù. A distanza di alcuni anni, nel 36, una contestazione di frontiere tra Erode e il re Areta, ex suocero, il quale non aspettava altro che l’occasione per vendicarsi della figlia, portò alla guerra tra i due monarchi. Erode supplicò Tiberio di inviargli delle truppe per aiutarlo in questo conflitto. L’imperatore ordinò al legato di Siria, Vitellio, di muovere contro Areta e di mandare a Roma il re Areta imprigionato o la sua testa. Ma Areta non era Giovanni, né Vitellio era disposto a far la parte di Salome. Vitellio, che aveva vecchi rancori contro Antipa per le sue delazioni a Roma, si mosse a malincuore cercando tutti i pretesti possibili per mandare la spedizione per le lunghe. Quando giunse con l’esercito a Gerusalemme gli giunse la notizia della morte di Tiberio, così la spedizione finì lì, ritorno a Damasco, Areta non fu disturbato e la sconfitta di Erode Antipa rimase invendicata.
Morto Tiberio, Erode Antipa si trovò senza il suo migliore appoggio; il nuovo imperatore poi, Caligola, era in stretti rapporti di amicizia con Erode Agrippa, fratello di Erodiade e nemico dichiarato di Erode Antipa. Erode Agrippa accusò dinanzi all’imperatore Erode Antipa di essere in relazione con i Parti e di fornire loro le armi. Antipa non fu in grado discolparsi dalle accuse del nipote e così fu relegato nelle Gallie, a Lione, accompagnato dalla moglie, vi morì dopo poco tempo. Così si concluse la vita di un altro personaggio dell’impero romano che aveva avuto la possibilità di conoscere il Signore e di cambiare definitivamente il corso della sua vita, ma Iddio ha creato l’uomo libero di fare le sue scelte nonostante le possibilità che da ad ognuno, in un modo o in un altro, di conoscerlo,
Erode Agrippa I
Erode Agrippa I fu re della Palestina dal 37 al 44 d.C. Egli nacque il 10 a .C.
Erode era figlio di Aristobulo, uno dei figli di Erode il Grande e di Mariamme l’asmonea. Egli venne educato a Roma dove entrò in relazione con la personalità più in vista di quella società. Erode sperperò tutti i suoi averi sino al punto di dover abbandonare la capitale dell’impero e tornò in Palestina, da suo zio il tetrarca Erode Antipa, il quale gli accordò un impiego nell’amministrazione governativa. Tuttavia continuò a coltivare le sue amicizie con l’alta società romana, specialmente con la famiglia imperiale.
Durante una riunione si permise di augurare al giovane Caligola di salire sul trono imperiale. Tiberio venuto a conoscenza di ciò lo fece arrestare, ma alla sua morte Caligola lo fece liberare dalla prigione, sostituendo le catene di ferro con una catena tutta d’oro di eguale peso, lo nominò re e gli concesse i territori appartenenti allo zio defunto Filippo (Batanea, Iturea, Traconitide) e che formavano una vasta regione situata a Nord-est del mare di Galilea, che dalla morte del tetrarca, Filippo, era stata annessa alla provincia romana di Siria.
A questi territori venne aggiunta la vecchia tetrarchia di Lisania a nord-ovest di Damasco. Si era nell’anno 37 d.C.
Da allora, ed una parte importante l’esercitò senza dubbio il cattivo genio di Erodiade, sorella di Agrippa, incominciarono i sospetti tra Agrippa ed Antipa, che terminarono con la destituzione del secondo e la cessione dei suoi territori (Galilea e Perea) al nuovo re Erode Agrippa I.
Un altro fatto servì a rassodare ancora più le buone relazioni che esistevano già tra la corte imperiale di Roma e il re. Agrippa si trovava a Roma quando il tribuno della guardia pretoriana, Cassio Cherea, assassinò l’imperatore in un criptoportico del palazzo.
Agrippa appoggiò i pretoriani, il cui candidato era Claudio, zio della vittima, agendo su lui perché accettasse l’impero ed influendo sul Senato titubante perché lo riconoscesse. Com’era da prevedere, Claudio ricompensò l’interesse del suo amico e benefattore Erode Agrippa, concedendogli il possesso di tutte le terre della Palestina e sopprimendo il procuratorato romano di Giudea.
Il sogno di Agrippa si era realizzato. Così il regno di Erode il Grande era ricostruito nella persona di questo suo nipote, Erode Agrippa I.
Erode per accattivarsi la simpatia dei giudei, in modo particolare quella della corte dei farisei trasferì la sua residenza ufficiale a Gerusalemme e protese con straordinaria meticolosità tutto ciò che si riferiva al culto del tempio ed alle vecchie tradizioni giudaiche.
Agrippa inoltre diede il via alla prima persecuzione su larga scala contro i cristiani facendo uccidere Giacomo e facendo arrestare in un secondo momento Pietro.
Ecco come Luca ci riporta questo avvenimento nel libro degli Atti degli apostoli: “In quel periodo, il re Erode cominciò a maltrattare alcuni della chiesa; e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, continuò e fece arrestare anche Pietro. Erano i giorni degli azzimi. Dopo averlo fatto arrestare, lo mise in prigione, affidandolo alla custodia di quattro picchetti di quattro soldati ciascuno; perché voleva farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro dunque era custodito nella prigione; ma fervide preghiere a Dio erano fatti per lui dalla chiesa. Nella notte che precedeva il giorno in cui Erode voleva farlo comparire, Pietro stava dormendo in mezzo a due so dati, legato con due catene; e le sentinelle davanti alla porta custodivano il carcere. Ed ecco, un angelo del Signore sopraggiunse e una luce risplendette nella cella. L’angelo, battendo il fianco a Pietro, lo svegliò, dicendo: “Alzati, presto!”. E le catene le caddero dalle mani. L’angelo disse: “Vestiti, e metteti i sandali”. E Pietro fece così. Poi gli disse ancora: “Mettiti il mantello e seguimi”. Ed egli, uscito, lo seguiva, non sapendo che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva infatti di avere una visione. Com’ebbero oltrepassata la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro che immette in città, la quale si aprì da sé davanti a loro; uscirono e si inoltrarono per una strada, e, all’improvviso, l’angelo si allontanò da lui. Pietro rientrato in sé, disse: ” Ora so di sicuro che il signore ha mandato il suo angelo e mi ha liberato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei”. Pietro dunque, consapevole della situazione, andò a casa di Maria, madre di Giovanni detto anche detto Marco, dove molti fratelli erano riuniti in preghiera. Dopo aver bussato alla porta d’ingresso, una serva di nome Rode si avvicinò per sentire chi era e, riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse dentro ad annunziare che Pietro stava davanti alla porta. Quelli le dissero: “Tu sei pazza!”. Ma ella insisteva che la cosa stava così. Ed essi dicevano: “E’ il suo angelo”. Pietro intanto continuava a bussare e, quand’ebbero aperto, lo videro e rimasero stupiti. Ma egli, con la mano, fece loro cenno di tacere e raccontò in che modo il Signore lo aveva fatto uscire dal carcere. Poi disse: “Fate sapere queste cose a Giacomo e ai fratelli”. Quindi uscì e se ne andò in un’altro luogo. Fattosi giorno, i soldati furono molto agitati, perché non sapevano che cosa fosse avvenuto di Pietro. Erode lo fece cercare e, ma non avendolo trovato, processò le guardie, e comandò che fossero condotte al supplizio. Poi scese dalla Giudea e soggiornò a Cesarea. Erode era fortemente irritato contro i Tiri e i Sidoni; ma essi di comune accordo si presentarono da lui; e, guadagnato il favore di Blasto, ciambellano del re, chiesero pace, perché il loro paese riceveva i viveri dal paese del re. Nel giorno fissato, Erode indosso l’abito regale e sedutosi sul trono, tenne loro un pubblico discorso. E il popolo acclamava: “Voce di un dio e non di un uomo!”. In quell’istante un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato la gloria a Dio; e, roso dai vermi, mori. Intanto la Parola di Dio progrediva e si diffondeva sempre di più. Barnaba e Saulo, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme, prendendo con loro Giovanni detto anche Marco.” (Atti 12).
Agrippa cercò di stare dalla parte del più forte o meglio dalla parte nella quale poteva trarne benefici. Egli ebbe modo di conoscere Giacomo, Pietro, credenti che avevano avuto il privilegio di conoscere il Signore personalmente, probabilmente, da giovane aveva sentito parlare di Gesù, ma la cosa non gli interessava più di tanto; quello che gli interessava era l’adulazione. L’applauso della gente, dei suoi sudditi, l’adorazione della folla. A Cesarea durante un incontro, con alcuni rappresentanti dei Tiri e dei Sidoni, il re li arringava pubblicamente e come risposta da parte della folla fu quella di essere acclamato come dio: “Voce di un dio e non di un uomo” (Atti 12:22). In quell’istante ebbe delle fitte addominali, incominciò a sudare, un dolore terribile invase la sua persona, incominciò a impallidire,; come in un filmato passò davanti ai suoi occhi la sua vita: L’arresto di Pietro, l’uccisione di Giacomo, la persecuzione di tante persone innocenti, le ingiustizie commesse per raggiungere i suoi scopi, l’invito a ravvedersi, il rifiuto del Salvatore, ma egli aveva scelto le ricchezze del mondo. Il Signore gli aveva dato in qualche modo la possibilità di cambiare vita, ma egli scelse l’ingiustizia alla giustizia, essere adorato piuttosto che adorare, essere osannato piuttosto che osannare, ma benpresto si rese conto che anche le cose più care della vita passano presto.
“Un angelo dell’eterno lo percosse…e morì, roso dai vermi” (V. 23).
Probabilmente lo stesso angelo che liberò Pietro intervenne nella persona di Agrippa, ahime con un risultato diverso, nel primo caso per salvare, nel secondo caso per eseguire la giustizia divina.
La storia ci dice che nel 44 d.C. mentre si trovava nella città di Cesarea per preparare alcune feste in onore dell’imperatore Claudio fu colpito da un attacco di appendicite che lo portò alla morte. Così si concluse la vita di un uomo che nonostante le sue cattiverie aveva avuto la possibilità di scegliere la salvezza.
Erode Agrippa II.
Erode Agrippa II regnò su alcuni territori della Palestina, dall’anno 50 al 100 dopo Cristo. Marco Giulio Agrippa era figlio di Agrippa I e per la sua età immatura, diciassette anni, non poté succedere al trono del padre. Alla morte dello zio Erode di Calcide, fratello di Agrippa I e re del piccolo regno di Calcide nel Libano, gli successe nel governo di questa regione con il titolo di re. Ereditò pure dallo zio i diritti di sovrintendenza sul tempio di Gerusalemme.
Nel 53 ottenne da Roma una vantaggiosa permuta di territorio; gli vennero concesse, in luogo della Calcide, le tetrarchie molto più ampie di Filippo e di Lisania, a cui vennero aggiunte poco più tardi alcune terre limitrofe della Galilea e della Perea.
Terminò definitivamente la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, iniziati da suo bisnonno Erode il Grande più di ottant’anni prima. Quando scoppiò la guerra contro Roma, Agrippa cercò all’inizio di fare opera di pacificazione, però, dopo aver notato che la maggioranza dei Giudei non gradiva questo tipo di intermediari, si pose apertamente a fianco di Roma. Ciò gli procurò, dopo la vittoria, grandi ricompense da parte dei romani: nuove concessioni di territori e l’elevazione alla dignità di pretore.
Nella vita di Agrippa II ci sono due episodi di carattere privato, ma che ebbero una certa importanza.
Il primo fu determinato dalla relazione con la fascinosa Berenice. Questa donna, una specie di seconda Cleopatra, era stata la sposa di Erode di Calcide, zio di Agrippa II, i cui territori, alla sua morte, avevano costituito i primi possedimenti del nipote. Era però anche sorella dello stesso Agrippa II. Ciò non impedì che i due intrecciassero una relazione incestuosa con grande scandalo non solo dei Giudei, ma anche di tutto l’impero. Si aggiunga che Berenice, dopo la morte del primo marito, era passata a nuove nozze con il re di Cilicia, Polemone, che aveva poi abbandonato. Non finirono però qui le tresche amorose di questa donna, dotata di fascino e di bellezza straordinari. Durante la guerra giudaica riuscì a conquistarsi le grazie di Tito. Le sue relazioni con il romano continueranno nella stessa Roma, nonostante la presenza del fratello Agrippa.
Il secondo episodio, passato alla storia, fu la conversazione tra Agrippa e L’apostolo Paolo. Mentre Paolo era prigioniero nella città di Cesarea, Agrippa e Berenice vi si recarono per salutare il procuratore romano Porcio Festo. Questi parlò loro del prigioniero e della propria perplessità dinanzi ad un caso tanto difficoltoso come quello di redigere una lettera informativa per Roma sui supposti delitti di un processato, che già si era appellato giuridicamente a Roma e i cui delitti erano piuttosto di carattere religioso e filosofico.
Agrippa manifestò il desiderio di parlare con paolo ed allora venne preparata un’udienza, in cui Paolo avrebbe dovuto manifestare ampiamente i suoi punti di vista sul processo, dato che Agrippa, giudeo di adozione e sovrintendente del tempio, era più preparato di Festo per giudicare sulle accuse lanciate contro l’apostolo.
Gli Atti degli Apostoli ci parlano dell’arrivo di Agrippa e di Berenice nella sala, ci descrivono parimenti il momento in cui Paolo prese la parola. Poi ci presentano una relazione del discorso o piuttosto un suo riassunto. Ecco quando Luca ha scritto: “Dopo diversi giorni il re Agrippa e Berenice arrivarono a Cesarea, per salutare Festo. E poiché si trattennero là per molti giorni, Festo raccontò al re il caso di Paolo, dicendo: “Vi è un uomo che è stato lasciato in carcere da Felice, contro il quale, quando mi recai a Gerusalemme, i capi dei sacerdoti e gli anziani dei Giudei sporsero denuncia, chiedendomi di condannarlo. Risposi loro che non è abitudine dei Romani consegnare un accusato, prima che abbia avuto gli accusatori di fronte e gli sia stato dato modo di difendersi dall’accusa. Quando dunque furono venuti qua, senza indugio, il giorno seguente, sedetti in tribunale e ordinai che quell’uomo mi fosse condotto davanti.
I suoi accusatori si presentarono, ma non gli imputavano nessuna delle cattive azioni che io supponevo. Essi avevano contro di lui certe questioni intorno alla propria religione e intorno a un certo Gesù, morto, che Paolo affermava essere vivo. E io, non conoscendo la procedura per questi casi, gli chiesi se voleva andare a Gerusalemme, e là essere giudicato intorno a queste cose. Ma siccome Paolo aveva interposto appello per essere rimesso al giudizio dell’imperatore, ordinai che fosse custodito, finché non l’avessi inviato a Cesare”. Agrippa disse a Festo: “Vorrei anch’io ascoltare quest’uomo”. Ed egli rispose: “Domani lo ascolterai”. Il giorno seguente, dunque, Agrippa e Berenice giunsero con gran pompa, ed entrarono nella sala di udienza con i tribuni e con i notabili della città; e, per ordine di Festo, fu condotto Paolo. Allora Festo disse: “Re Agrippa, e voi tutti che siete qui presenti con noi, voi vedete quest’uomo, a proposito del quale una folla di Giudei si è rivolta a me, in Gerusalemme e qui, gridando che non deve più restare in vita. Io però non ho trovato che avesse fatto qualcosa meritevole di morte, e poiché egli stesso si è appellato all’imperatore, ho deciso di mandarglielo. Siccome non ho nulla di certo da scrivere all’imperatore, l’ho condotto qui davanti a voi, e principalmente davanti a te, o re, Agrippa, affinché, dopo questo esame, io abbia qualcosa da scrivere. Perché non mi sembra ragionevole mandare un prigioniero, senza render note le accuse che vengono mosse contro di lui.
Agrippa disse a paolo: “Ti è concesso di parlare a tua difesa”. Allora Paolo, stesa la mano, disse a sua difesa: “Re Agrippa, io mi ritengo felice di potermi oggi discolpare davanti a te di tutte le cose delle quali sono accusato dai Giudei, soprattutto perché tu hai conoscenza di tutti i riti e di tutte le questioni che ci sono tra i Giudei; perciò ti prego di ascoltarmi pazientemente. Quale sia stata la mia vita fin dalla mia gioventù, che ho trascorso a Gerusalemme in mezzo al mio popolo, è noto a tutti i Giudei, perché mi hanno conosciuto fin da allora, e sano, se pure vogliono renderne testimonianza, che, secondo la più rigida setta della nostra religione, sono vissuto da fariseo. E ora sono chiamato in giudizio per la speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri; della quale promessa le nostre dodici tribù, che servono con fervore Dio notte e giorno, sperano di vedere il compimento. Per questa speranza, o re, sono accusato dai giudei! Perché mai si giudica da voi cosa incredibile che Dio risusciti i morti? Quanto a me, in verità pensai di dover lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno. Questo infatti feci a Gerusalemme; e avendone ricevuta l’autorizzazione dai capi dei sacerdoti, io rinchiusi nelle prigioni molti santi; e, quand’erano messi a morte, io davo il mio voto.
E spesso, in tutte le sinagoghe, punendoli, li costringevo a bestemmiare, e, infuriato oltremodo contro di loro, li perseguitavo fin nelle città straniere. Mentre mi dedicavo a queste cose e andavo a damasco con l’autorità e l’incarico da parte dei capi dei sacerdoti, a mezzogiorno vidi per strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, la quale sfolgorò intorno a me e ai miei compagni di viaggio. Tutti noi cademmo a terra, e io udii una voce che mi disse in lingua ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo”. Io dissi: “Chi sei, Signore?”. E il Signore rispose: “Io sono Gesù, che tu perseguiti. Ma alzati, e stai in piedi perché per questo ti sono apparso: per farti ministro e testimone delle cose che hai viste, e di quelle per le quali ti apparirò ancora, liberandoti da questo popolo e dalle nazioni, alle quali io ti mando per aprire loro gli occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a dio, e ricevano, per la fede in me, il perdono dei peccati e la loro parte di eredità tra i santificati”.
Perciò, o re Agrippa, io non sono stato disubbidiente alla visione celeste; ma, prima a quelli di Damasco, poi a Gerusalemme e per tutto il paese della Giudea e fra le nazioni ho predicato che si ravvedano e si convertano a Dio, facendo opere degne del ravvedimento. Per questo i Giudei, dopo avermi preso nel tempio, tentavano di uccidermi. Ma per l’aiuto che viene da dio, sono durato fino a questo giorno, rendendo testimonianza a piccoli e a grandi, senza dir nulla al di fuori di quello che i profeti e Mosè hanno detto che doveva avvenire, cioè: che il cristo avrebbe sofferto, e che egli, il primo a risuscitare dai morti, avrebbe annunziato la luce al popolo e alle nazioni”. Mentr’egli diceva queste cose in sua difesa, Festo disse ad alta voce: “Paolo, tu vaneggi; la molta dottrina ti mette fuori senno”. Ma Paolo disse: “Non vaneggio, eccellentissimo Festo; ma pronunzio parole di verità, e di buon senno. Il re. Al quale parlo con franchezza, conosce queste cose; perché sono persuaso che nessuno di esse gli è nascosta; poiché esse non sono accadute in segreto. O Re Agrippa, credi tu nei profeti? Io so che ci credi”. Agrippa disse a Paolo: “Con così poco vorresti persuadermi ad agire da cristiano?”. E Paolo: “Piacesse a Dio che con poco o con molto, non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventaste tali, quale sono io, all’infuori di queste catene”. Allora il re si alzò, e con lui il governatore, Berenice, e quanti sedevano con loro; e, ritiratisi in disparte, parlavano gli uni gli altri, dicendo: “Quest’uomo non fa nulla che meriti la morte o la prigione”. Agrippa disse a Festo: “Quest’uomo poteva esser liberato, se non si fosse appellato a cesare” (Atti 25:13-27;26:1-32).
Il Re Agrippa Ha avuto anche lui la possibilità di conoscere l’evangelo, nonostante una vita vissuta nell’immoralità, il Signore gli ha dato la possibilità della salvezza. Probabilmente si aspettava qualcosa di grandioso, dei miracoli da parte di paolo, tanto che disse: “Con così poco vorresti persuadermi ad agire da Cristiano?”. Secondo la versione del Luzzi viene detto: “Per poco non mi persuadi a diventare cristiano” (V.28). Non sono i discorsi che persuadono l’uomo ad avvicinarsi al Signore, ma il desiderio di conoscerlo e l’umiltà di farlo agire nella nostra vita. Agrippa sapeva che per lui ci voleva ben altro, aveva tanti scheletri nell’armadio, a partire della relazione incestuosa con sua moglie, ma non conosceva la potenza dello Spirito Santo il quale è capace di dare una nuova direzione alla nostra vita. Una volta tanto seppe giudicare rettamente: “Quest’uomo non fa nulla che meriti la morte o la prigione”, ma è meglio mandarlo a Roma, visto che si è appellato al giudizio dell’imperatore. Credo che se avesse proposto la libertà dietro ritiro del suo appello all’imperatore, Paolo lo avrebbe accettato, ma ancora una volta si è cercato di salvare il quieto vivere con la classe religiosa di quel tempo. Anche Agrippa preferì la sua vita disordinata all’invito dell’evangelo, il potere alla giustizia, la pomposità all’impopolarità.
Porcio Festo
Porcio Festo, procuratore della Giudea e successore di Felice, appartenente alla famiglia porcia, come Catone. Venne nominato da Nerone nell’anno 60 governatore e governò la Palestina per due anni. Giuseppe Flavio ce lo presenta come un funzionario integro, tuttavia, sia per la breve durata del suo governo e sia per le pessime condizioni della Palestina, tormentata a quel tempo dall’anarchia a causa dei Sicari, non poté dare grandi prove della sua abilità.
Nelle questioni insorte fra i Giudei ed i Greci di Cesarea durante il mandato del suo predecessore Felice, intervenne con rescritto imperiale a favore di questi ultimi. Ma ciò esacerbò tanto i Giudei che, secondo Giuseppe Flavio, fu causa di una rivolta e principio della guerra generale contro Roma. Egli continuò la guerra contro i Sicari. Un esaltato impostore riuscì a sollevare il popolo promettendogli la liberazione dal giogo romano. Egli venne attaccato dalle truppe di Festo ed ucciso assieme a molti rivoltosi; ma neppure in tal modo riuscì ad ottenere una pace stabile. Intervenne anche nella questione sorta tra Agrippa II ed i sacerdoti del Tempio. Agrippa aveva fatto innalzare a est della torre Antonia un’alta veranda che gli desse la possibilità di assistere ai sacrifici del Tempio, ed i sacerdoti fecero innalzare un muro che impedisse ad Agrippa la vista dei sacrifici. La cosa fu deferita a Nerone, e per ordine di costui il muro rimase. Gli Atti degli Apostoli raccontano di Festo, dopo appena tre giorni del suo arrivo a Cesarea, sua sede ufficiale, si recò a Gerusalemme dove i sacerdoti, volendo approfittare del nuovo procuratore, gli chiesero di rimandare a Gerusalemme Paolo, che si trovava in carcere a Cesarea, con l’intenzione di farlo morire durante il viaggio. Festo rispose che se volevano potevano recarsi a Cesarea cosa che avvenne. Nel tribunale di Cesarea i sacerdoti accusarono ancora una volta Paolo, ma di fronte alla sua difesa non riuscirono a dimostrare la fondatezza delle loro accuse. Allora Festo, volendo ingrazzziarsi i Giudei come Felice, chiese a paolo, che era cittadino romano, se fosse voluto andare a Gerusalemme per esservi giudicato alla sua presenza. Ma Paolo, stanco di tanta attesa inutile e del servilismo dei procuratori si appellò a Cesare. Ecco quanto ci dicono gli Atti degli Apostoli:
” Festo, dunque, giunse nella sua provincia, e tre giorni dopo salì da Cesarea a Gerusalemme. I capi dei sacerdoti e i notabili dei Giudei gli presentarono le loro accuse contro Paolo; e con intenzioni ostili, lo pregavano, chiedendo come un favore, che lo facesse venire a Gerusalemme. Essi intanto avrebbero preparato una imboscata per ucciderlo durante il viaggio. Ma Festo rispose che Paolo era custodito a Cesarea, e che egli stesso doveva partir presto. “Quelli dunque che hanno autorità tra di voi” disse egli “scendano con me e, se vi è in quest’uomo qualche colpa, lo accusino” Rimasto tra di loro non più di otto o dieci giorni, Festo discese a Cesarea; e il giorno dopo, sedendo in tribunale, ordinò che Paolo gli fosse condotto davanti. Quand’egli giunse, i Giudei che erano scesi da Gerusalemme lo circondarono, portando contro di lui numerose e gravi accuse, che non potevano provare; mentre paolo diceva a sua difesa: “Io non ho peccato né contro la legge dei Giudei, né contro il tempio, né contro Cesare”. Ma Festo, volendo far cosa grata ai Giudei, disse a paolo: “Vuoi salire a Gerusalemme ed essere giudicato in mia presenza intorno a queste cose?”. Ma Paolo rispose: “IO sto qui davanti al tribunale di Cesare, dove debbo essere giudicato; non ho fatto nessun torto ai Giudei, come anche tu sai molto bene. Se dunque sono colpevole e ho commesso qualcosa da meritare la morte, non rifiuto da morire; ma se nelle cose delle quali costoro mi accusano non c’è nulla di vero, nessuno mi può consegnare nelle loro mani. Io mi appello a Cesare”. Allora Festo, dopo aver conferito con il Consiglio, rispose: “Tu ti sei appellato a Cesare; a Cesare andrai”. (Atti 25:1-12)
Festo, come tutti i governati romani, cercò di accattivarsi la simpatia dei giudei, infatti voleva inviare Paolo davanti al tribunale di Gerusalemme. Ma paolo conoscendo la politica dei rappresentati di Roma e sapendo in anticipo che a Gerusalemme non sarebbe stato giudicato con giustizia, si appellò a Cesare; questo diede modo a Festo di risolvere il caso, visto che per lui Paolo era innocente, con molta diplomazia, inviando Paolo a Roma come aveva chiesto, e nello stesso tempo non rompeva i rapporti con i rappresentanti giudei. Ancora una volta gli interessi personali presero il primo posto a discapito della vita di un innocente. Così Paolo fu inviato a Roma. Festo ebbe modo di ascoltare uno dei più validi testimoni della fede cristiana, un testimone che aveva avuto modo in diverse circostanze di avere avuto un incontro con Gesù in modo straordinario, ma tutto questo non bastò. Dio ha voluto dare anche a lui la possibilità di conoscerlo, ma il “dio” denaro, il “dio” potere fu scelto al posto del Salvatore, della giustizia. Di fronte ad una scelta che poteva essere radicale nel cambiamento della sua vita, Festo, come il faraone e tanti altri indurì il suo cuore.
Ponzio Pilato
Pilato, procuratore romano della Giudea ricoprì la carica dall’anno 26 al 36 d.C. Quando il tetrarca Archelao fu deposto da Augusto dal suo ufficio, su richiesta degli stessi giudei, si nominarono dei “procuratori” affinché amministrassero l’antica tetrarchia, che comprendeva le regioni della Giudea, della Samaria e dell’Idumea. Il compito del procuratore era quello di mantenere l’ordine nel paese e nel sollecitare e nel vigilare sulla riscossione delle imposte. Per questo aveva alcuni battaglioni di soldati, generalmente alloggiati a Cesarea e a Gerusalemme. Tuttavia il procuratore dipendeva in qualche modo dalla provincia romana di Siria, giacché era sorvegliato e spalleggiato dal “legato” della provincia siriana. Nonostante i giudei godessero di una certa autonomia e avessero dei tribunali propri (il sinedrio), il procuratore rappresentava la suprema autorità imperiale sul popolo, riservandosi in esclusiva il diritto alla pena di morte. Ponzio Pilato fu il quinto procuratore della Giudea.
Egli sostituì dall’incarico Valerio Grato. Fin dal primo momento, il procuratore si distinse per il suo disprezzo e odio verso i Giudei. Nonostante che i suoi predecessori, per riguardo alle leggi giudaiche, avessero permesso che le truppe alloggiate a Gerusalemme non portassero sui loro vessilli l’effigie imperiale, Pilato comandò di introdurre nella città, di notte, le insegne imperiali; questo fatto però, suscitò il giorno dopo l’indignazione generale. Una delegazione dei farisei giunse a Cesarea per chiedere spiegazione al procuratore che ritirasse l’ordine, considerato a Gerusalemme una profanazione religiosa. Pilato dopo una certa resistenza, certe alla istanza dei giudei. Il secondo attrito del procuratore con il popolo avvenne a causa di alcune importanti opere idrauliche. Pilato cercò di utilizzare il denaro del tempio per pagare le spese. Ciò indignò i giudei più rigorosi. Il terzo incidente fu, probabilmente, l’uccisione nel Tempio di alcuni galilei, mentre offrivano sacrifici: “In quello stesso tempo vennero alcuni a riferirgli il fatto dei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con i loro sacrifici” (Luca 13:1). Poi dovette affrontare il processo di Gesù. Fin dal primo momento Pilato si schierò contro i sinedriti, in diverse occasioni cercò di liberare Gesù, ma incontro una resistenza non indifferente da parte dei rappresentanti del sinedrio, tanto che lo accusarono di non essere “amico di Cesare”: “Se liberi quest’uomo, non sei amico di Cesare. Chiunque si fa re, si oppone a Cesare” (Giovanni 19:12).
Per questo venuto a conoscenza che Gesù era della giurisdizione di Erode Antipa lo inviò da lui, ma non ottenne quello che lui si aspettava, quest’ultimo inviò Gesù da Pilato senza aver preso una decisione. Pilato allora pensò di salvare Gesù, grazie ad una tradizione la quale dava la possibilità nella pasqua di liberare un prigioniero, così contrappose Gesù a un volgare bandito e omicida, Barabba. Ma la folla chiese la liberazione di Barabba. Allora cercò di giocare la carta dell’emozione: fece flagellare Gesù con la speranza di toccare l’animo del popolo, ma anche questo fallì. Allora fece portare una bacinella per lavarsi le mani, come segno della propria innocenza. Così Gesù fu messo in croce facendo scrivere sopra la croce la motivazione della condanna: “Gesù Nazareno, re dei Giudei”. Ecco come gli evangeli descrivono questo processo:
“Poi da Caiafa, condussero Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua. Pilato dunque andò verso di loro e domandò: “Quale accusa portate contro quest’uomo?”. “Essi gli risposero: “Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani”. Pilato quindi disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”. I Giudei gli dissero: “A noi non è lecito far morire nessuno”. (Giovanni 18:28-31).
“Poi tutta l’assemblea si alzò e lo condussero da Pilato. E cominciarono ad accusarlo, dicendo: “Abbiamo trovato quest’uomo che sovvertiva la nostra nazione, istigava a non pagare i tributi a Cesare e diceva di essere lui il Cristo re”. (Luca 23:1,2).
“Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: ” Sei tu il re dei Giudei?”. Gesù gli rispose: “Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?”. Gesù rispose: “Il mio regno non è di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui”. Allora Pilato gli disse: “Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Pilato gli disse: “Che cos’è la verità” (Giovanni 18:33-38).
“Pilato disse ai capi sacerdoti e alla folla: “Non trovo nessuna colpa in quest’uomo”. Ma essi insistevano, dicendo: “Egli sobilla il popolo insegnando per tutta la Giudea ; ha cominciato dalla Galilea ed è giunto fin qui”. Quando Pilato udì questo, domandò se quell’uomo fosse Galileo. Saputo che egli era della giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode, che si trovava anch’egli a Gerusalemme in quei giorni. Quando vide Gesù, Erode se ne rallegrò molto, perché da lungo tempo desiderava vederlo, avendo sentito parlare di lui; e sperava di vedergli fare qualche miracolo. Gli rivolse molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. Or i capi dei sacerdoti e gli scribi stavano là, accusandolo con veemenza. Erode, con i suoi soldati, dopo averlo vilipeso e schernito, lo vestì di un manto splendido, e lo rimandò da Pilato. In quel giorno, Erode e Pilato divennero amici; prima infatti erano stati nemici. Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, i magistrati e il popolo, disse loro: “Avete fatto comparire davanti a me quest’uomo come sovversivo; ed ecco, dopo averlo esaminato in presenza vostra, non ho trovato in lui nessuna delle colpe di cui l’accusate; e neppure Erode, poiché egli l’ha rimandato da noi; ecco egli non ha fatto nulla che sia degno di morte. Perciò, dopo averlo castigato lo libererò” (Luca 23:4-16).
“Ogni festa di Pasqua il governatore era solito liberare un carcerato, quello che la folla voleva. Avevano allora un noto carcerato, di nome Barabba. Essendo dunque radunati, Pilato domandò loro: “Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù detto Cristo?” Perché egli sapeva che glielo avevano consegnato per invidia. Mentre egli sedeva in tribunale, la moglie gli mandò a dire: “Non aver nulla a che fare con quel giusto, perché oggi ho sofferto molto in sogno per causa sua”. Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. E il governatore si rivolse di nuovo a loro, dicendo: “Quale dei due volete che vi liberi?”. E quelli dissero: “Barabba”. E Pilato a loro: “Che farò dunque di Gesù detto Cristo?”. Tutti risposero: “Sia crocifisso”. Ma quelli sempre più gridavano: “Sia crocifisso!”. Pilato, vedendo che non otteneva nulla, ma che si sollevava un tumulto, prese dell’acqua e si lavò le mani in presenza della folla, dicendo: “Io sono innocente del sangue di questo giusto; pensateci voi”. E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. Allora egli liberò loro Barabba; e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.” (Matteo 27:15-25). Così Gesù fu crocifisso.
Ecco come Ricciotti presenta la fine del suo operato: “Nel 35 un falso profeta, che aveva acquistato gran nome in Samaria, promise ai suoi seguaci di mostrare gli arredi sacri dei tempi di Mosé che si credevano nascosti nel monte Garizim, vicino a Samaria. Ma, il giorno fissato, Pilato fece occupare dai soldati la sommità del monte: egli infatti voleva impedire l’assembramento, non tanto perché desse importanza alla vana promessa del falso profeta, quanto perché sapeva che i Samaritani erano stanchi delle oppressioni del procuratore e sospettava in essi propositi di rivolta. Formatosi ugualmente un numeroso assembramento, i soldati lo assalirono: molti Samaritani rimasero uccisi, molti furono fatti prigionieri, e i più insigni di costoro furono poi messi a morte da Pilato. Di questa irragionevole strage la comunità dei Samaritani presentò formale accusa contro Pilato preso Vitellio, ch’era legato di Siria e munito di pieni poteri in Oriente; l’accusa fu accolta con premura, perché i samaritani erano noti per la loro fedeltà a Roma, e Vitellio senz’altro destituì Pilato e l’inviò a Roma a rispondere del suo operato davanti all’imperatore. Era lo scorcio dell’anno 36” (G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, p. 37).
Secondo una tradizione Pilato fu esiliato e a distanza di qualche anno si suicidò.
Pilato descritto dagli storici uomo violento, tiranno, ingannatore, ebbe la fortuna di incontrare Gesù, il Salvatore di ogni essere umano e quindi anche il suo. Ma di fronte al prestigio, all’onore, preferì contribuire alla condanna di un innocente nonostante l’insistenza di sua moglie. E difficile comprendere cosa sia passata nella mente di quest’uomo specialmente quando venne a conoscenza che Gesù di Nazareth era risuscitato. Una cosa è certa Pilato ha avuto la più grande opportunità della sua vita ma la lasciata sfuggire di mano. Anche Pilato ha avuto la sua occasione di scegliere tra il Messia e il prestigio, tra la vita e la morte, tra la giustizia e l’ingiustizia. Ancora una volta vediamo che dio non ha riguardo alle persone anche lui volendolo poteva accettare la salvezza che Gesù gli ha proposto.
Cornelio
Cornelio probabilmente discendeva da qualcuno dei moltissimi liberti della stirpe Cornelia, che regolarmente avevano assunto il nome di chi li aveva affrancati. Il centurione era un ufficiale inferiore, comandante di una centuria, che ordinariamente non arrivava a cento soldati. Cornelio abitava a Cesarea, secondo alcuni era in missione a Cesarea; in questa città Cornelio era ben visto per la sua generosità e rispetto verso i giudei, tanto che viene chiamato “uomo pio” e “timorato di Dio”. Quest’ultimo appellativo dimostra ch’era un simpatizzante della religione ebraica e non un proselite che veniva circonciso. A differenza di altri capi romani i quali avevano avuto la possibilità di conoscere, alcuni di loro, Gesù o i suoi discepoli, Cornelio invece è lui che chiede di conoscere Dio, di trovare la strada che lo conducesse alla salvezza.
Un giorno verso l’ora nona avvenne quello che, probabilmente lui stesso non si aspettava. Ecco come Luca descrive l’esperienza di quest’uomo: “Vi era in Cesarea un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte detta “Italica”. Quest’uomo era pio e timorato di Dio con la sua famiglia, faceva molte elemosine al popolo e pregava Dio assiduamente. Egli vide chiaramente in visione, verso l’ora nona del giorno, un angelo di Dio che entrò da lui e gli disse: “Cornelio!”. Egli, guardandolo fisso e preso da spavento, rispose: “Che c’è, Signore?”. E l’angelo gli disse: “Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, come una ricordanza, davanti a Dio. E ora manda degli uomini a Ioppe, e fa venire un certo Simone, detto anche Pietro. Egli è ospite di un tal Simone, conciatore di pelli, la cui casa è vicino al mare”.
Appena l’angelo che gli parlava se ne fu andato, Cornelio chiamò due dei suoi domestici, e un pio soldato fra i suoi attendenti e, dopo aver raccontato loro ogni cosa, li mandò a Ioppe. Il giorno seguente, mentre quelli erano in viaggio e si avvicinavano alla città, Pietro salì sulla terrazza, verso l’ora sesta, per pregare. Ebbene però fame e desiderava prender cibo. Ma mentre glielo preparavano, fu rapito in estasi. Vide il cielo aperto, e scenderne un oggetto simile a una gran tovaglia, che, tenuta per i quattro angoli, veniva calata a terra. In essa c’era ogni sorta di quadrupedi, rettili della terra e uccelli del cielo. E una voce gli disse: “Alzati, Pietro; ammazza e mangia”. Ma Pietro rispose: “No assolutamente, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di impuro e di contaminato. E la voce parlò una seconda volta: “Le cose che Dio ha purificate, non farle tu impure”. Questo avvenne per tre volte; poi d’un tratto quell’oggetto fu ritirato in cielo. Mentre Pietro, dentro di sé, si domandava che cosa significasse la visione, ecco gli uomini mandate da Cornelio, i quali, avendo domandato della casa di Simone, si fermarono alla porta.
Avendo chiamato, si fermarono alla porta. Avendo chiamato, chiesero se Simone, detto anche Pietro, alloggiasse lì. Mentre Pietro stava ripensando alla visione, lo Spirito gli disse: “Ecco tre uomini che ti cercano. Alzati dunque, scendi, e va’ con loro, senza fartene scrupolo, perché li ho mandati io”. Pietro, sceso verso quegli uomini, disse loro: “Eccomi, sono io quello che cercate; qual’ è il motivo per cui siete qui?”. Essi risposero: “Il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio, del quale rende buona testimonianza tutto il popolo dei Giudei, è stato divinamente avvertito da un santo angelo, di farti chiamare in casa sua e di ascoltare quello che avrai da dirgli”. Pietro allora li fece entrare e li ospitò. Il giorno seguente andò con loro; e alcuni fratelli di Ioppe l’accompagnarono. L’indomani arrivarono a Cesarea. Cornelio, andandogli incontro, si inginocchiò davanti a lui. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: “Alzati, anch’io sono uomo!”. Conversando con lui, entrò e, trovate molte persone lì riunite, disse loro: “Voi sapete come non sia lecito a un giudeo di aver relazioni con uno straniero o di entrar in casa sua; ma Dio mi ha mostrato che nessun uomo deve essere ritenuto impuro o contaminato. Perciò, essendo stato chiamato, sono venuto senza fare obiezioni. Ora vi chiedo: qual è il motivo per cui mi avete mandato a chiamare?”. Cornelio disse: “Quattro giorni or sono stavo pregando, all’ora nona, in casa mia, quand’ecco un uomo mi si presentò davanti, in veste risplendente, e disse: “Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita, e le tue elemosine sono state ricordate davanti a Dio. Manda dunque qualcuno a Ioppe e fa’ venire Simone, detto anche Pietro; egli è ospite in casa di Simone, conciatore di pelli, in riva al mare”. Perciò, subito mandai a chiamarti, e tu hai fatto bene a venire; or dunque siamo tutti qui presenti davanti a Dio, per ascoltare tutto ciò che ti è stato comandato dal Signore”. Allora Pietro, cominciando a parlare, disse: “In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali; ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito. Questa è la parola ch’egli ha diretta ai figli d’Israele, portando il lieto messaggio di pace per mezzo di Gesù Cristo. Egli è il Signore di tutti. Voi sapete quello che è avvenuto in tutta la Giudea , incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; vale a dire, la storia di Gesù di Nazareth; come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza; e com’egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; essi lo uccisero, appendendolo a un legno. Ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e volle che egli si manifestasse non a tutto il popolo, ma ai testimoni prescelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha comandato di annunziare al popolo e di testimoniare che egli è colui che è stato da Dio costituito giudice dei vivi e dei morti. Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome”. Mentre Pietro parlava così, lo Spirito Santo scese su tutti quelli che ascoltavano la Parola. E tutti i credenti circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliarono che il dono dello Spirito Santo fosse dato anche agli stranieri, perché li udivano parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: “C’è forse qualcuno che possa negare l’acqua e impedire che siano battezzati questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi?”. E comandò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Allora essi lo pregarono di rimanere alcuni giorni con loro” (Atti 10:1:48).
La conversione di Cornelio dimostra che Dio non ha riguardo non tiene conto della nazionalità delle persone, ma ai cuori d’essi. Cornelio trovò in Cristo quello che cercava: un Dio personale, un Dio salvatore. La conversione di Cornelio diede iniziò alla predicazione e all’accettazione di uomini e donne provenienti dal mondo pagano.
Cornelio non si fermò di fronte ai pregiudizi, non si fermò di fronte ai sentito dire, ma cercò personalmente di conoscere il Messia che il popolo ebraico attendeva. Altri romani prima di lui avevano avuto il privilegio di incontrare Gesù e non l’hanno accettato, egli lo ha invocato, lo ha cercato e Gesù si è lasciato trovare. La storia si ripete: anche oggi tante persone hanno il privilegio di sentire parlare di Gesù fin da piccoli eppure chiudono il loro cuore dietro tanti perché e non l’accettano, mentre tanti altre desiderano conoscere Dio e prima o poi lo trovano e lo accettano.