“Attente considerazioni su alcuni testi biblici, ritenuti, da ambienti religiosi, favorevoli all’osservanza della domenica”.
“Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da lui immacolati e irreprensibili nella pace; e considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture. Voi dunque, carissimi, sapendo già queste cose, state in guardia per non essere trascinati dall’errore degli scellerati e scadere così dalla vostra fermezza; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. A lui sia la gloria, ora e in eterno. Amen” (2 Pt 3:14-18).
Scrive, P. Giuseppe Piccinno, «La storia della domenica cristiana nel periodo che va dal «giorno della risurrezione di Cristo» fino a Costantino ci dice che la domenica non era giorno di riposo ufficiale. I cristiani lavoravano di domenica […] Durante questo tempo gli interventi dei Padri vogliono dimostrare solo la preminenza della domenica rispetto al sabato sulla base della Sacra Scrittura, anche se non si può far valere una inconfondibile prescrizione di Gesù o degli apostoli di festeggiare la domenica al posto del sabato […] Dalla legge di Costantino in poi, che dichiarò la domenica giorno di riposo ufficiale nell’Impero, si assiste nella Chiesa cristiana alla trasformazione della domenica in sabato cristiano, conservando, man mano sempre più, di esso tutto ciò che riguardava il suo senso legalista e negativo, tralasciando il suo contenuto teologico e spirituale. Per influsso della legislazione ufficiale sulla domenica, in epoca post-costantiniana, questa viene a sostituire il sabato, anzi è più opportuno dire che la domenica, erede del sabato, diventa «il sabato cristiano».[1]
P. Raniero Cantalamessa, sostiene che «Quando Giovanni scrive il suo Vangelo vede già nelle due apparizioni di Cristo agli apostoli “il primo giorno della settimana”, e poi di nuovo “otto giorni dopo”, il prototipo dell’assemblea liturgica dei cristiani»[2], ma «nell’insegnamento di Gesù non si trova nessun accenno al fatto che la domenica dovrà assumere la santità del sabato oppure sostituirlo».[3]
Il Nuovo Testamento non solo non offre alcun elemento per dire che i primi Cristiani trasgredissero il sabato, ma non attribuisce nessun significato al primo giorno della settimana. Si hanno pochi riferimenti, negli evangeli, attinenti alla domenica. Quattro hanno a che fare con le visite alla tomba di Gesù all’alba del giorno della sua risurrezione (Mt 28:1; Mc 16:2; Lc 24:1; Gv 20:1). Il contesto di uno di essi, Lc 24:1, suggerisce che le donne visitarono la tomba il primo giorno della settimana proprio perché tale giorno non era considerato sacro.
Giovanni 20:19-20,26 – descrive le apparizioni di Gesù ai suoi discepoli la sera del primo giorno della settimana, poche ore dopo la risurrezione.
Dal testo biblico si evince chiaramente che i discepoli erano riuniti non per motivo di culto, ma «a porte serrate, per paura dei giudei» e pertanto non troviamo cenno alcuno che possa far credere ad una celebrazione liturgica relativa alla risurrezione. Infatti, essi non credevano ancora alla risurrezione del loro Maestro. Al v. 26, otto giorni dopo, troviamo ancora l’indicazione del motivo dell’incontro: “a porte chiuse”, sempre per timore dei giudei e il testo non riporta formulazioni liturgiche. Il motivo per cui Gesù apparve fu per rassicurare i discepoli, la prima volta, e dare prova, della risurrezione a Tommaso, la seconda volta.
1 Corinzi 15:4-8 indica che le apparizioni avvennero a persone, in luoghi e tempi diversi: “…che fu sepolto e risuscitò a il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e poi ai dodici. In seguito apparve in una sola volta a più di cinquecento fratelli, la maggior parte dei quali è ancora in vita, mentre alcuni dormono già. Successivamente apparve a Giacomo e poi a tutti gli apostoli insieme. Infine, ultimo di tutti, apparve anche a me come all’aborto;…”.
Non è possibile dunque ricercare nella periodicità delle apparizioni conferma del cambiamento dal Sabato alla Domenica, perché i testi in se non lo permettono. Al contrario, Gesù durante i quaranta giorni successivi alla risurrezione, non ha rilasciato agli apostoli nessuna dichiarazione a proposito dell’osservanza del primo giorno della settimana in ricordo della sua risurrezione.
Inoltre, da un attento studio delle Sacre Scritture si evince piuttosto che la risurrezione in se stessa presupponga lavoro piuttosto che riposo, almeno per due ragioni. «Primo, perché non segna la conclusione della missione terrena di Cristo, che si concluse il venerdì pomeriggio quando il Salvatore disse: «È compiuto» (Gv 19:30), e poi si riposò durante il sabato nella tomba, ma è piuttosto l’inaugurazione del nuovo ministero di Cristo. Come il primo giorno della creazione così anche il primo giorno del muovo ministero presuppone lavoro più che riposo. Secondo, le stesse parole dette dal Signore risorto contengono ordini non nel senso di «appartatevi e celebrate la mia risurrezione», ma piuttosto «andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea (Mt 28: 10; cfr. Mc 16: 7). «Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli …» (Mt 28:19). «Va’ dai miei fratelli» (Gv 20:17). «Pastura le mie pecorelle» (Gv 21:17)».[4]
In genere la testimonianza di Atti 20:6-7 è assunta come definitiva per documentare che già nella Chiesa apostolica tra il primo giorno della settimana e la celebrazione della liturgia eucaristica[5]: «…salpammo da Filippi dopo i giorni degli Azzimi e li raggiungemmo in capo a cinque giorni a triade dove ci trattenemmo una settimana. Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, Paolo, dovendo partire il giorno seguente, parlava ai discepoli, e prolungò il discorso fino a mezzanotte».
Ma, diversi fatti ci impediscono di concludere che questo testo biblico descriva un servizio religioso tenuto il primo giorno della settimana come se fosse un fatto abitudinario.
Il primo è che Paolo progettava di partire “il giorno seguente”, dopo una settimana che era stato a Troas. Si trattava di un incontro d’addio in occasione della partenza di Paolo e non di un incontro settimanale abituale.
Il fatto che la «frazione del pane» abbia avuto luogo durante un discorso durato diverse ore, mentre alcuni credenti erano presi dal sonno, suggerisce l’idea che si tratta di una riunione a carattere sociale più che cultuale. In effetti non sitrova alcuna indicazione di una partecipazione cultuale comunitaria. «Poi risalì, spezzò il pane e prese cibo; e dopo aver ragionato lungamente sino all’alba, partì» (At 20:11). Paolo che era l’invitato d’onore parla, rompe il pane, mangia, e parla ancora fino alla partenza.
Il secondo è che l’incontro si realizzò, con ogni probabilità, durante la notte dopo il sabato come indica la traduzione della New English Bible. Può quindi trattarsi della continuazione della riunione sabbatica che Paolo e i suoi confratelli avevano avuto insieme.
Al riguardo scrive A. Vaucher: “Se, come pensa Bonnet, Luca aveva adottato la computazione romana, la riunione avrebbe avuto luogo nella notte dalla domenica al lunedì. Eccellenti commentatori (Conybeare e Howson, per esempio) credono piuttosto che il redattore degli Atti ha seguito l’uso giudaico e che, di conseguenza, la riunione ha avuto luogo nella notte dal sabato alla domenica. In qualsiasi caso occorre ricordare che i primi cristiani rompevano il pane tutti i giorni della settimana indifferentemente (At 2: 46) e che la riunione menzionata negli Atti è stata occasionale”.[6]“Luca, probabilmente, ha fissato questa data alla maniera giudaica: il primo giorno della settimana cominciò la sera, e nella notte che seguì il sabato, tra la notte del sabato e il mattino della domenica, ebbe luogo l’avvenimento che racconta”.[7]
Che luca abbia utilizzato il calendario giudaico è dimostrato nel suo evangelo quando riporta la sepoltura di Cristo (Lc 23:54), così anche negli atti degli apostoli. Egli precisa per esempio che Erode arresta Pietro «il giorno degli azzimi» e che Egli ha l’intenzione di «farlo comparire davanti al popolo dopo la festa della Pasqua» (At 12:3) Il rapporto che lui stesso fa nel lasciare i filippesi con Paolo sottolinea che ciò è avvenuto dopo l’ultimo giorno della festa degli azzimi (At 20:6; cf Lc 22:1-7). Egli non esista ad evidenziare spesso fino a che punto Paolo rispettava i costumi giudei (At 16:1-3; 18:18; 29:16; 21:24). Egli dice, per esempio, che Paolo «egli si affrettava per trovarsi a Gerusalemme, se gli fosse stato possibile, il giorno della Pentecoste» (At 20:16). Possiamo aggiungere le frequenti riunioni dell’apostolo Paolo con i giudei in giorno di Sabato (At 18:4; 17; 2; 16; 13; 15:21; 13:14-44). Ciò indica che Luca si serviva del calendario giudaico utilizzandolo frequentemente.
Ammettendo che Luca avesse adottato il calendario romano, ciò significa che i credenti si sono riuniti la domenica sera, e che «la frazione del pane», parte essenziale del culto domenicale, ha avuto luogo dopo mezzanotte, dunque il lunedì (At 20:7,11). Pertanto la celebrazione della «cena del Signore» non apporta nessun argomento a favore della domenica come giorno di riposo.
Il terzo e che il Nuovo Testamento non offre alcuna indicazione su un giorno preciso per celebrare la cena del Signore. At 2:42-46, per esempio, descrive che la frazione del pane avveniva tutti i giorni.
L’insieme di tutti i dati raccolti indicano che si tratta di una assemblea particolare e non di un abitudinario culto domenicale. Il modo migliore per capire il testo è che Luca precisa il giorno, non perché è domenica, ma perché Paolo «doveva partire» (At 20:7), a causa dell’incidente straordinario di Eutico e del miracolo ed infine, perché ciò fornisce particolari aggiuntivi dei viaggi di Paolo, dove Luca inserisce i fatti più salienti.
Infatti la sessione 20:5-21-18,è ricchissima di dettagli (sbarchi, imbarchi, tappe con indicazione dei giorni, incontri con comunità, ecc.), ci fa seguire Paolo da Filippi a triade (20:5s.), da Triade a Mileto (vv 13ss.), da Mileto a Tiro (21:1ss.), da Tiro a Gerusalemme (vv. 7-16.) per Tolemaide (v.7) e Cesarea, dove la comitiva è ospite del diacono Filippo (v. 8 s.).
“Fui rapito dallo Spirito nel giorno del Signore” – Apocalisse 1:10
Scrive P. Raniero Cantalamessa: «La designazione “primo giorno della settimana” viene ben presto sostituita da “giorno del Signore” (kuriaké, sottinteso hemera) (Ap 1:10). L’esatto equivalente latino è dies dominica; dominica, da aggettivo, passa ad essere ben presto sostantivo e si ha così la nostra attuale Domenica. Il legame della Domenica con la risurrezione di Cristo è insito nel nome stesso; è grazie alla risurrezione infatti che Cristo è stato costituito Dominus, Kurios, Signore (cfr. Rm 1:3; At 2:36).[8]
Ė vero che a un certo momento l’espressione “giorno del Signore” (in latino “domenica”) cominciò a essere riferita al primo giorno della settimana, ma niente può farci pensare che questo fosse il significato che aveva nell’Apocalisse.[9]
Scrive, J. Doukhan, “I cristiani, che leggono questo testo pensano istintivamente alla domenica. Dimenticano, però, che è un ebreo che scrive, nutrito delle Sacre Scritture ebraiche e ben radicato nella religione dei suoi padri.Oltre a ciò, l’espressione «giorno del Signore» riferito alla domenica s’incontra solo a partire dalla fine del Il secolo, ed anche li si presenta eccezionalmente, negli scritti dell’epoca, lasciando spazio a larghe controversie.É assai più ragionevole pensare che il giorno del Signore di cui parla Giovanni, si riferisca al sabato, chiamato, appunto, «giorno del Signore» (o giorno di Adonai) nelle Scritture ebraiche. D’altra parte, il ricorrere costante nell’Apocalisse, del numero 7 rende assolutamente verosimile il riferimento al sabato, settimo giorno, in apertura della profezia, come in una sorta di intonazione. Questa interpretazione si giustifica, infine, per il fatto che il sabato introduce il ciclo delle feste giudaiche che strutturano il libro intero dell’Apocalisse. Troviamo la lista nel Levitico al capitolo 23: «Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è sabato, giorno di completo riposo e di santa convocazione. Non farete in esso nessun lavoro, è un riposo consacrato al SIGNORE in tutti i luoghi dove abiterete» (v. 3). Secondo la tradizione biblica, il sabato è il primo giorno di festa con Dio, celebrata dall’uomo e dalla donna (cfr.Gn 2:1-3) è anche il solo giorno la cui istituzione risale prima della promulgazione della Legge sul Sinai (cfr.Es 16:23,29); è il solo giorno la cui osservanza non dipende né dalle stagioni né dagli astri, neppure, in definitiva, dalla storia umana. Dunque, è naturale che si cominci proprio da lì. Probabilmente, Giovanni si riferisce anche a un altro «giorno del Signore», allo yom Yahweh dei profeti biblici, che designa, nell’Antico Testamento, il giorno del giudizio di Dio e della sua venuta alla fine della storia umana (Sof 1:7, 2:2,3; 3:8; Mal 3:2; 4:1,5; Gioele 1:15; 2:1,2,11).Come nel Nuovo Testamento (1 Tess 5:2; 2 Tess 2:2; 1 Co 1:8; 5:5; 2 Co 1:14; Fil 1:6; 2:16) e nella letteratura giudaica (II Bar 48:47; 49:2; 55:6.) a lui contemporanea, l’espressione «giorno del Signore» si applica alla parusia del Cristo o alla venuta del Messia. Il contesto immediato conferma la nostra interpretazione. Anche senza tenere conto che l’associazione tra il sabato e il giorno escatologico della speranza è fortemente attestata sia nella Bibbia sia nella tradizione giudaica, comunque, il sabato è stato spesso compreso come il segno del gran giorno della liberazione e del regno di Dio che viene.[10]In altre parole, Giovanni ebbe la visione del giorno dell’Eterno (giorno del giudizio finale e della parusia), durante il giorno del sabato (altro giorno del Signore)”.[11]
Secondo Vollet, citato da Vaucher,[12] il passaggio in questione “indica bene che, al tempo degli apostoli, i cristiani davano a un giorno della settimana il nome di giorno del Signore; ma questa denominazione poteva applicarsi solo al sabato”. E, il pastore, Louis Victor Mellet scriveva nel 1843: “Il giorno del Signore o il giornodell’Eterno, indica qui il giorno del Sabato giudeo, che è stato per molto tempo, nella chiesa primitiva, un giorno di assemblea e di culto”.[13]
E. G. White scrive, «Ė nel giorno di sabato che il Signore della gloria apparve all’apostolo mentre era in esilio. Giovanni osservava fedelmente il sabato sull’isola di Patmos…»[14]
Paolo e il sabato
Molti sinceri credenti, credono che sia stato l’apostolo Paolo ad introdurre la domenica come giorno di riposo, e ciò in base ad alcune sue affermazioni che esamineremo.
A. 1 Corinzi 16:1-2 – “Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi, a casa, metta da parte quello che potrà secondo la prosperità concessagli, affinché, quando verrò, non ci siano più collette da fare”.
Come si può facilmente rilevare, non si tratta di un’offerta che viene richiesta durante un servizio religioso, come alcuni erroneamente pensano, ma di un invito rivolto al singolo membro di chiesa («ciascuno di voi»), di mettere da parte e «a casa sua», quindi privatamente e messa da parte fino alla venuta dell’apostolo. Nulla fa pensare ad un’offerta collettiva fatta durante il servizio liturgico.
Olshausen, nel suo commentario sul Nuovo Testamento, citato da Gerber[15] scrive: “Non si può assolutamente concludere da questo passo che la domenica si facessero delle collette nelle assemblee della chiesa, perché l’idea è che ciascuno metta da parte a casa sua il denaro in questione”.
Possiamo evidenziare quattro aspetti fondamentali: l’offerta doveva esser fatta periodicamente («il primo giorno di ogni settimana»), personalmente («ciascuno di voi»), in privato («a casa») e proporzionalmente («secondo la prosperità concessagli»). Alla stessa comunità e in un’altra occasione l’apostolo, Paolo ribadisce i medesimi insegnamenti con le seguenti parole: «Perciò ho ritenuto necessario esortare i fratelli a venire da voi prima di me e preparare la vostra già promessa offerta, affinché essa sia pronta come offerta di generosità e non d’avarizia»(2Corinzi 9: 5). Con queste parole Paolo desidera evitare l’imbarazzo di coloro che ricevevano l’offerta come anche quella dei donatori. Quest’ultimi dovevano essere pronti (2 Corinzi 9: 4).
Pertanto, il primo giorno della settimana per Paolo aveva un significato pratico e non teologico. Aspettare la fine della settimana o del mese per mettere da parte la propria offerta non è conforme al principio della generosità sistematica, poiché si rischia di trovarsi con le tasche vuote. Diversamente, se ogni primo giorno della settimana si mette da parte quello che si vuole donare, il rimanente sarà diviso in funzione delle proprie necessità. Paolo raccomanda ai credenti di stabilire l’offerta il primo giorno della settimana, giusto dopo il sabato, prima delle priorità personali, che il qualche modo avrebbero intaccato l’offerta per i poveri di Gerusalemme. Pertanto il testo propone un modo di fare efficace affinché i bisogni dei poveri e/o della comunità siano soddisfatti.
B. Galati 4:8-10 – “Voi osservate giorni e mesi e stagioni ed anni”.
Alcuni vedono al v. 10 un’allusione al quarto comandamento, il Sabato, affermando quindi che Paolo lo avrebbe annullato, assieme a tutte le prescrizione cultuali giudaiche.
Da premettere che l’errore essenziale dei credenti, nella lettera ai Galati, era quello di considerare la Legge come strumento di salvezza, mentre, nel pensiero di Dio, essa non ha il compito di comunicare la vita (2:16,21), ma di segnalare il peccato (Rm 7:7). Perciò la legge non si oppone alle promesse (3:21), perchè mediante la conoscenza del peccato, predispone l’uomo a ricevere la giustificazione come dono puramente gratuito (3:24).
Ora, essendo la comunità composta da credenti d’origine giudeo/pagana, Paolo non intende assimilare la condizione degli Ebrei dell’Antico Testamento a quello dei pagani: dice solo che la legge, anche se è perfetta e «santa, giusta e buona» (Rm 7:12) era – ed è – impotente, come tale, a giustificarli, alla pari delle osservanze religiose pagane, ma anche giudaiche (Pasqua, Pentecoste, la festa dell’espiazione) le quali sono state abrogate perché erano «ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose» (Ebr 10:1).
Rivolgendosi ai credenti d’origine pagana (v.8), egli dice che quando non conoscevano Dio camminavano secondo le pratiche politeiste; “ma ora,(v. 9) che avete conosciuto Dio”,meglio che sono “stati conosciuti da Dio”,come potevano vivere secondo l’insegnamento idolatra, rivolgendosi “di nuovo ai deboli e poveri elementi” del mondo? In altre parole ritornare ad essere schiavi degli elementi pagani, pensando di essere salvati mediante l’osservanza di giorni, mesi, stagioni ed anni (v.10), che nulla avevano a che fare con la legge di Dio, né con il sabato, ma con festività legate al mondo pagano[16].
Secondo Ugo Vanni “si allude a varie pratiche religiose, legate ad un calendario rituale”[17] che alcuni, cercavano di introdurre nella chiesa, allontanando i credenti dalla verità evangelica. In ogni modo, sia che si parli di prescrizioni del calendario giudaico o pagano, queste non hanno nulla a che fare con il sabato e con la salvezza.
C. Romani 14:5,6 – “L’uno stima un giorno più d’un altro: l’altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore, e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore, poiché rende grazie a Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e rende grazie a Dio”.
Quando Paolo scrive la sua lettera, si rivolge ad una comunità composta, oltre di credenti provenienti dal paganesimo (1:13; 11:11ss; 15:16), anche di giudeo-cristiani, che costituivano la minoranza.Dopo avere evidenziato i principi generali di vita Cristiana: umiltà e fedeltà nell’uso dei doni (12:3-8); carità verso tutti, anche verso i nemici (12:9-21); doveri verso le autorità civile (13:1-7); di nuovo la carità, quale compendio della Legge (13:8-10), quindi rivestirsi della armi della luce, in attesa del ritorno di Cristo (13:11-14), al capitolo 14 affronta un caso concreto, assai facile a verificarsi nella comunità di Roma, composta in massima parte da pagani convertiti. Ma anche da giudei.
Verosimilmente, Paolo affronta un problema che recava un grave turbamento alla chiesa di Roma proprio come il problema delle carni sacrificate agli idoli inquietava la comunità di Corinto (1 Cor 8:10). Nell’ambito della comunità un gruppo di fedeli, evidentemente una minoranza, rigettava il consumo della carne (perché, prima di essere venduta, veniva prima sacrificata agli idoli) e forse (14:21) anche del vino, ritenendoli impuri (14:14) e per motivi religiosi faceva distinzione fra i vari giorni della settimana destinati al digiuno.[18]
Costoro di coscienza «debole», si scandalizzavano nel vedere gli altri, dalla coscienza «forte», che non davano alcun peso a tali osservanze.[19] Comecomportarsi in tale situazione? Paolo da delle regole ispirate dalla carità: ognuno agisca secondo propria coscienza, astenendosi nella maniera più assoluta dal giudicare gli altri (14:1-13). Se poi talvolta sarà necessario, i forti rinunzino anche ai propri diritti per non scandalizzare i deboli (14:14-23), rischiando cosi di perdere qualche fratello per il quale Cristo o è morto (14:15). Da quanto evidenziato, si evince chiaramente che il brano in questione non ha nulla a che fare con l’osservanza del quarto comandamento.[20]
Paolo non vuole farci intendere che il sabato, in fondo, è un giorno uguale a qualsiasi altro e che l’osservanza di un giorno di riposo è facoltativo; oppure arrivare “alla conclusione di ritenere l’osservanza della domenica, come giorno divinamente istituito, ma tale risultato non è compatibile con la spiritualità cristiana così come la comprendeva Paolo. Il contesto non permette una tale conclusione… Il credente divenendo uomo spirituale, non sfugge alle sue condizioni dell’esistenza terrena; egli resta uomo, e dato che un giorno di riposo su sette è stato istituito al momento della creazione in favore dell’umanità, non si vede perché il fedele non dovrebbe usare questo riposo periodico…«Il sabato è stato fatto per l’uomo», questa parola di Gesù non finirà di applicarsi al credente fino a quando egli non smetterà di vivere…”.[21]
D. Colossesi 2:16,17 – “Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, a noviluni, a sabati, che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire; ma il corpo è di Cristo”.
Da una lettura superficiale del testo si può facilmente arrivare alla conclusione che possiamo mangiare e bere quel che vogliamo, che abbiamo la facoltà di festeggiare il Signore, secondo l’occorrenza, in qualsiasi giorni della settimana e che pertanto non esiste un giorno specifico per adorare il Signore. In altre parole, in Cristo, l’uomo ha acquisto una tale libertà al punto da proporre a Dio uno stile di vita, una religiosità ad immagine e somiglianza del terreno e non del divino.
Tale deduzione non è conforme all’insegnamento della Parola di Dio, dove il «così dice il Signore» (Es 4:22; 5:1; 1Sam 2:30; 2Sam 12:7;1Re 17:14; ecc.) è sovrano; né tanto meno al pensiero di Paolo, il quale nella medesima lettera ci invita a cercare «le cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio» e ad aspirare «alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra» (Col 3:1-2). «Sia fatta la tua volontà» è il riconoscimento che Gesù ha inserito nella preghiera modello (Mt 6:10).
L’epistola ai Colossesi è contrassegnata da un’aspra polemica caratterizzata dal sincretismo religioso. La natura dell’eresia si fonda sua due presupposti dottrinali: la tradizione degli uomini e gli elementi del cosmo (Cl 2:8), l’uno di natura pratica e di chiara provenienza giudaica, l’altro di indole speculativa e di autentico stampo ellenistico: pre-gnostico.
La «tradizione degli uomini» di origine giudaica, si richiama alla circoncisione (Col 3:11), al quale viene ad essa contrapposta la circoncisione di Cristo (2:11): il battesimo, che è un venire sepolti e risorgere con Cristo a nuova vita (Col 2:12). Si può ricondurre anche alle osservanze circa i cibi, le bevande, i noviluni (inizi del mese) e i sabati (Col 2:16), ovvero alla festività giudaiche (Lev. 23) che erano «ombra delle cose future»[22] (Col 2:17; cfr. Ebrei 10), in riferimento alla realtà – il corpo – che è Cristo.
Gli «elementi del cosmo» – indicazione pre-gnostica – sono associati al culto degli angeli (Col 2:18) e alle feste solenni pagane caratterizzate dai digiuni, cibi e bevande.
La fusione di queste due presupposte dottrine, costituivano una insidia per la fede cristiana, perché indicavano una via di salvezza diversa da quella indicata nell’evangelo.
Il trittico feste, noviluni e sabati (eorths, neomhnias, sabbatwn = eortès, neomenìas, sabbàton, qui tutti al genitivo plurale) non solo va visto in questo contesto, ma andrebbe tradotto meglio per quanto riguarda il terzo termine.
Hugedé, traduce Colossesi 2:16 come segue, “Di conseguenza, che nessuno vi giudichi sul fatto di mangiare o di bere, o a proposito di una festa annuale, o dei primi del mese, o dei giorni festivi della settimana”.[23]
I commentatori sottolineano che eortè indica le feste annuali. La parola ha un senso molto ampio, ma lo si impiega soprattutto per designare le feste solenni, siano esse pagane o giudee. Per quanto riguarda le neomenie, presso tutti i popoli dell’antichità, per i quali il calendario è lunare, esse sono le feste mensili che salutano la luna nuova. Suta sabbata (Tà sàbbata, nominativo plurale di Ton sabbàton, tradotto generalmente “i sabati”), se il singolare designa il giorno di riposo biblico (e talvolta anche al plurale), il plurale è piuttosto l’espressione consacrata per indicare la settimana. Anche nel Nuovo Testamento vi sono dei testi in cui il vocaboloriveste questo significato[24] “vediamo dunque che la parola, già di per sé, senza tener conto del contesto ellenistico in cui ci troviamo e che ci orienta in un’altra direzione, non ha che lontanissimi rapporti con il giorno di sabato, designato dal Decalogo come memoriale della creazione e dell’uscita dall’Egitto, osservato da Israele e dai primi cristiani, e generalmente indicato con la perifrasi h hmera tou sabbatou: il giorno del sabato,[25] oppure hmera twn sabbatwn,il giorno della settimana (per eccellenza).[26]
E. Peretto, cattolico, scrive: «La terminologia risente del vocabolario liturgico pagano e di quello rituale vetero-testamentario. «Cibi e bevande» (lett. in fatto di mangiare e bere) non sono in relazione con la distinzione giudaica tra elementi puri e impuri (cfr. Lv 11), ma con le pratiche dei digiuni sulla falsariga dell’ascetismo pagano. Ciò appare evidente nei vv. 21-23, che rispettivamente rimarcano alcune proibizioni e l’astensione da determinati cibi. L’ascesi e il digiuno predisponevano alle rivelazioni. I tempi sacri sono indicati coi termini «festa annuale», «novilunio», «settimane» (lett. sabati). Nonostante l’elenco abbia evidenti riscontri nell’Antico Testamento e segnali giorni particolarmente dedicati al servizio di Dio […], non è una citazione della legge mosaica. Il trittico sostanzialmente vuol dire che le pratiche del digiuno s’accompagnavano all’osservanza dei tempi sacri, il cui calendario era fissato per un anno, per un mese e per una settimana. Questa divisione sembra alludere alla credenza che la nascita e il destino dell’uomo sono fissati dagli elementi del mondo e sono interpretabili osservando il corso degli astri”. Ė probabile che «il Filosofo» consigliasse ai cristiani di cercare la salvezza per questa via.[27]
Riassumendo, Monsignor de Ségur dichiara: «E’ curioso ricordare che tale osservanza della domenica, che è l’unico culto del protestantesimo, non solo non si fonda sulla Bibbia, ma è in flagrante contraddizione con la stessa Bibbia che prescrive il riposo del Sabato. La Chiesa Cattolica, con l’autorità di Gesù Cristo, ha trasportato questo riposo alla domenica in ricordo della risurrezione di nostro Signore”.[28]
Pertanto, «La festività della domenica, come tutte le altre festività, fu sempre un comandamento umano e gli apostoli non ebbero mai alcuna intenzione di stabilire un comandamento divino in questo senso; lungi da loro e dalla prima chiesa apostolica ogni intento di trasferire la legge del Sabato alla Domenica».[29]
Infine, se Gesù avesse voluto, che il nuovo popolo di Dio, onorasse la sua resurrezione, nel primo giorno della settimana, rinunciando al sabato, settimo giorno, sicuramente egli non avrebbe esitato di annunciarlo agli Apostoli dopo la sua resurrezione, e quest’ultimi, lo avrebbero chiaramente trasmesso alla chiesa nascente. Nulla di tutto ciò. Colui che «è lo stesso ieri, oggi ed in eterno»(Eb 13:8), è datore di una legge santa, buona e giusta (Ro 7:12) e di un comandamento altrettanto santo, buono giusto, benedetto e messo da parte per uso sacro, che mai ha abrogato.
Il sabato è sia una dottrina che una esperienza, e anche questo fatto richiede un esame molto attento. Il sabato è in stretta relazione con ciò che commemora (creazione – redenzione – santificazione), pertanto apre nuove dimensioni della nostra esperienza personale con Dio, che altrimenti non ci sarebbe stato possibile vivere. Nell’osservanza di questo santo giorno, più che altrove, cogliamola correlazione tra fede e pratica (Giac 2). Pertanto una comprensione più profonda del significato del sabato può arricchire la nostra esperienza con il Signore e una appropriata celebrazione del sabato può aiutarci ad afferrarne più pienamente il suo significato.[30]
Bibliografia
- Norbert Hugedé, L’épitre aux Colossiens, ed, Labor ed Fides – Genève.
- Antonio Caracciolo, Quaderno il Messaggero, n° 3 -Commento alla lettera ai Colossesi 1998, ed. AdV, Impruneta (Fi).
- Vaucher, L’histoire du Salut, Ed. SdT, Dammarie les Lys 1951.
- Frédéric Godet, Commentaire sur l’epître aux Romains,ed. Labor ed Fides – Genève, 1968
- Giovanni Fantoni, Commento pastorale, Epistola ai Colossesi. Anno accademico 1999-2000 – Istituto Avventista di cultura biblica Villa Aurora (Fi).
- Elio Peretto, Lettere dalla prigionia, ed. Paoline, 1976.
- Jean Vuilleumier, Le jour du repos, à travers les âges, Ed. Les signes des temps, Dammarie-les-Lys, 1936
- Jacques Doukhan, Il grido del cielo, ed. AdV, 2001, Impruneta (Fi).
- Convegno ecumenico su “Il giorno del Risorto: vita per le Chiese e pace per il mondo” Bari, 26-29 Settembre 2004
- Introduzione alla Bibbia, V/1, II ed. Marietti
- Filippo Alma, note sull’epistola ai Galati, “Per la Pastorale e la catechesi”, Istituto Avventista di cultura biblica Villa Aurora (Fi).
- R. Rice, The Rein of God.
Note:
[1] Convegno ecumenico su “Il giorno del Risorto: vita per le Chiese e pace per il mondo” Bari, 26-29 Settembre 2004, relazione, di P. Giuseppe Piccino, Docente di Liturgia e Direttore di “Temi di predicazione”: «La celebrazione settimanale della Pasqua, punto di vista cattolico», p. 52, 54.
[2] Convegno ecumenico su “Il giorno del Risorto: vita per le Chiese e pace per il mondo” Bari, 26-29 Settembre 2004, relazione diP. Raniero Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia: “Il giorno del Signore: I discepoli gioirono al vedere il Signore”, p. 13.
[3] From sabbath to Lord’s day: a biblical, historical and theological investigation, Grand Rapids, Mich., 1982, p. 85. (D. A. Carson, studioso cristiano che non condivide la posizione avventista sul sabato).
[4] Samuele Bacchiocchi, Riposo divino per l’inquietudine umana, p. 211, ed. Adv, Impruneta (Fi) 1983.
[5] P. Giuseppe Piccino, op. cit. p. 54
[6] Alfred Vaucher, “L’histoire du salut”, Ed. S.D.T., Dammarie-les-Lys, 1951, p. 307.
[7] Abbate, Jacquier, Comments sur Actes des Apotres, Parigi 1026, p. 598.
[8] Op. cit.,p. 13
[9] Il Seventh-day Adventist Bible Commentary affronta questo argomento discutendo di Apocalisse 1:10: “Sebbene questa espressione [‘giorno del Signore’] si ritrovi frequentemente nei Padri della chiesa in relazione alla domenica, la prima volta che ciò accade con certezza è nell’ultima parte del secondo secolo nel vangelo apocrifo di Pietro. (9:12; ANF, vol. 9, p. 8), dove il giorno della risurrezione di Cristo è chiamato ‘giorno del Signore’. Poiché questo documento fu scritto almeno tre quarti di secolo dopo che Giovanni scrisse l’Apocalisse, non lo si può presentare come una prova che la frase ‘giorno del Signore’ si riferisse alla domenica ai giorni di Giovanni” (Washington, D.C.: Review and Herald Publishing Association, 1957, 7:735). Per una discussione dotta dell’espressione “giorno del Signore” nella letteratura cristiana antica, vedi Samuele Bacchiocchi, From Sabbath to Sunday: A Historical Investigation of the Rise of Sunday Observance in Early Christianity (Rome: The Pontificial Gregorian University Press, 1977); Fritz Guy, “‘The Lord’s Day’ in the Letter of Ignatius to the Magnesians”, Andrews University Seminary Studies 6 (1968):46-59; William H. Shea, “The Sabbath in the Epistle of Barnabas”, Andrews University Seminary Studies 4 (1966): 149-175.
[10] La Lettera agli Ebrei riflette questa identificazione del sabato con il giorno escatologico (Ebrei 3,4); nello stesso modo, la tradizione ebraica percepisce il sabato come il segno del giorno escatologico di Dio (Talmud di Babilonia, Sanhérin 98a; cfr.A. Heschel, Les batisseurs du temps, Paris, 1957, p. 176).
[11] Jacques Doukhan, Il grido del cielo, p. 27,28, ed. AdV, 2001, Impruneta (Fi).
[12] Cit. da A. Vaucher, L’histoire du Salut, Ed. SdT, Dammarie les Lys 1951, p. 308.
[13] Past. Louis Victor Mellet, cit. inAlain Georges Martin, Repos, “Les cahiers de révail”, Imprimerie Sant Paul, Issy-Moulineux, France 1970,p. 45. (Cit anche inJean Vuilleumier, Le jour du repos, à travers les âges, Ed. Les signes des temps, Dammarie-les-Lys, 1936, p. 193).
[14] E.G.White, Conquérants Pacifiques, Ed. S.D.T. Dammarie.les-Lys – France, p-518
[15] Charles Gerber, Dal Tempo all’eternità, ed. AdV. p. 304, Impruneta (Fi).
[16] Le allusioni al v. 10 possono essere applicate tanto al paganesimo che al giudaesimo, precisamente alle festività giudaiche e ai giorni destinati ai digiuni. Vedi nota 18.
[17] Ugo Vanni, Lettera ai Galati e ai Romani, Ed. Paoline, Roma 1976, p. 52.
[18] I pagani digiunavano per timore dei demoni, come misura efficace per prepararsi all’incontro con le divinità, in segno di lutto e per la buona riuscita nella magia. Inoltre, era richiesto in certi riti della fertilità. Ad Atene«nesteia» è il nome dato al giorno del digiuno, celebrato nella festa della fecondità delle donne, nel mese di ottobre. L’astinenza sessuale rendeva più ricettivi le forze divine della fecondità. L’Antico Testamento ci fa menzione che i Giudei avevano dei tempi fissi per i digiuni. Questi erano nei mesi 4° , 5°, 7° 10° del loro calendario come ricordo degli eventi nefasti legati all’esilio Babilonese. (Zc 7:3-5 ; 8:19). Ai tempi di Gesù questi digiuni erano ancora osservati, ma caricati di significato meritorio. La legge di Mosè prevedeva un solo giorno di digiuno (Lv 16:29-30) ma con il tempo molti altri se ne aggiunsero, questi mesi ne sono un esempio. Ma i Farisei come segno della loro pietà religiosa digiunavano due volte a settimana, il 2°, il nostro Lunedì, ed il 5°, il nostro Giovedì (Lc 18:12). Il digiuno aveva assunto un significato formale, esibizionista, un esercizio religioso (Mt. 6:16-18). Questa istituzione ebbe la sua importanza anche per i cristiani.
[19] Secondo l’apostolo Paolo, l’uomo forte o maturo, nel senso spirituale, è colui che mangia della carne che era stata prima sacrificata alla divinità, senza alcun timore, perché è consapevole della non esistenza degli idoli. Per lui anche se un alimento è stato offerto ad un idolo pagano, non cambia nulla, perché egli non ci crede. L’uomo debole è invece chi «mangia solo legumi». Potrebbe trattarsi di un gruppo di fedeli da poco convertiti che non hanno avevano ancora superato completamente il loro timore verso le antiche divinità, cheritenevano che mangiare della carne che era stata prima sacrificata agli idoli, significasse partecipare ad culto idolatra.
[20] Introduzione alla Bibbia, V/1, II ed. Marietti, Settimio Cipriani, cap. VIII, Epistola ai Romani.
[21] Frédéric Godet, Commentare sur l’epître aux Romains, p. 512, ed. Labor ed Fides – Geneve, 1968
[22] Sebbene il modo di esprimersi di Paolo faccia pensare che egli includa tutto ciò che ha menzionato prima nella nozione di ombra, tuttavia si impone una distinzione se si legge con attenzione il v. 16. Infatti, è inammissibile che Paolo potesse riconoscere valore tipologico rispetto all’evento redentivo a siffatte pratiche di chiara impronta pagana quali erano i digiuni e le astinenze. Parimente non si vede come si possa collegare tipologicamente con l’evento della redenzione un comandamento del Decalogo, quello che prescrive la santificazione del giorno del Signore. Mentre è trasparente il valore messianico-escatologico delle feste annuali ebraiche: la Pasqua (tipo della morte redentiva del Figlio di Dio), la Pentecoste (tipo del dono dello Spirito alla chiesa dopo l’ascensione del Risorto), il Kippur (prefigurazione del giudizio finale) e le Capanne (preannuncio dell’adunamento di Cristo coi suoi santi nel giorno della resurrezione). A. CaraccioloCommento dell’epistola ai Colossesi, quaderno del Messaggero n° 3, ed Adv, Impruneta (Fi) 1998, p. 20,21.
[23] Norbert Hugedé, L’épître aux Colossiens, Ed. Labor et Fides, – Genève, 1968, p.142. Sul significato del trittico terminologico, alla pagina 144 e 144, indica una quantità di autorevoli fonti antiche e moderne. Fra le altre, sul tà sàbbata, riveste notevole importanza tecnica.
[24] Tà sàbbata = settimana: Matt. 28:1; Marco 16:2; Luca 24:1; Giov. 20:1,19; Luca 20:7.
[25] Nehemia 10:31; 13:17,22; Giovanni Fantoni, Commento pastorale, Epistola ai Colossesi. Anno accademico 1999-2000 – Istituto Avventista di cultura biblica Villa Aurora (Fi).
[26] Es. 20:8; Deut. 5:12; Num. 28:9.
[27] Elio Peretto, Lettere dalla Prigionia, ed. Paoline, 1976,p. 151, 152.Anche i protestanti H. Colzemann e Lohse, riportati da Caracciolo sono dello stesso parere.
[28] Causerei sur le Protestantisme d’aujourd’hui, 1903, p. 207, cit. da C. Gérber, o.c. p. 308.
[29] The History of the Christian Religion and Church, del Dr. A. Neander, p. 186.
[30] R. Rice, The Rein of God , cap XIV, “The doctrine of Sabbath”.