Un essere “in divenire”
Gesù aveva la facoltà di vedere l’individuo come una persona “in divenire”, senza legare il suo passato con quello di un altro.
Troppo spesso scopriamo nella nostra vita delle opere lasciate da parte come delle bozze di un dipinto che, le circostanze esteriori ed i dubbi interiori, hanno impedito di portare a compimento. Quante volte abbiamo visto degli uomini o delle donne scoprire, al momento del pensionamento, di avere dei doni che avevano ignorato durante tutto il corso della vita? Quanto tempo perduto!
Senza dubbio se noi potessimo vedere le persone come “potrebbero” essere, e non come ci appaiono, il mondo sarebbe migliore.
Prendiamo ancora una volta l’esempio di Gesù. Lui sapeva che il suo discepolo Pietro era fragile, nonostante la sua apparente sicurezza. Egli stava per passare attraverso una terribile crisi nel momento in cui avrebbe rinnegato pubblicamente il suo maestro. Gesù sapendo tutto questo e gli disse: “Quando sarai convertito, rafforza i tuoi fratelli”. (Lc 22: 32).
Gesù aveva la consapevolezza che una volta superata la prova, Pietro sarebbe diventato una vera forza spirituale per gli altri. Quindi credeva in lui e glielo esprimeva. Aveva saputo dargli una chance, vedeva, di là della crisi, un potenziale che riposava in lui. Attraverso la sua parola era stato capace di risvegliarlo.
Ricordiamoci dunque di vedere sempre il nostro interlocutore come un essere “in divenire”, ciò gli darà l’occasione di rivelare sempre di più il suo meglio. Rinchiudendo l’individuo nella sua apparenza egli diventerà la sua apparenza.
Io non giudico nessuno.
Nel vangelo di Giovanni 8: 3-11 si parla di una donna colta in flagrante mentre commetteva adulterio. Questa donna, forse portata a compiere quest’atto con l’inganno, fu poi trascinata davanti a Gesù dai suoi accusatori. È sorprendente come l’uomo si senta forte quando si confonde nella folla come possa diventare duro, cattivo, fiero ed ipocrita!
In più c’era l’occasione sognata per mettere Gesù alle strette. In effetti, le loro leggi religiose ordinavano di lapidare una donna adultera, ma le leggi romane glielo vietavano. L’interesse era dunque, sapere come Gesù avrebbe reagito in questa situazione. Egli non aveva altro che il desiderio di ridonarle la dignità, ma anche questa folla di giudicanti doveva ritrovare la propria dignità! Gesù sapeva che la persona che si permette di giudicare è terribilmente vulnerabile e se si esagera alla fine si cade.
Ecco allora che, con una padronanza della comunicazione, un semplice gesto e un silenzio vestito di qualche gesto ben scelto, Gesù diede l’occasione a questa donna, e a questi uomini, di ritrovare un po’ della loro umanità..
“ Gesù si abbassò e si mise a scrivere con il dito sulla terra “. Poi si alzò tranquillamente e si mise a parlare: “Chi tra voi è senza peccato scagli la prima pietra”, si abbassò di nuovo per scrivere sulla terra. Gesù non ferì nessuno con le parole. Si rifiutò di umiliare, ironizzare o di condannare. Dopo aver lanciato questa sfida personale agli accusatori si abbassò di nuovo guardando verso il basso come se l’avvenimento non gli concernesse. Probabilmente voleva lasciare quegli uomini liberi di agire secondo le loro decisioni. Tutti se n’andarono, la donna rimase senza giudici né accusatori e Gesù le disse: “Nemmeno io ti condanno”.
Il giorno in cui smetteremo di imprigionare l’altro nel nostro giudizio, sarà il giorno in cui la comunicazione potrà farci crescere. Non giudicare l’altro significa anche accordargli il diritto di sbagliare, il diritto di commettere degli errori, altrimenti lo portiamo in una situazione in cui egli non è più se stesso”.
Gesù sapeva che il modo migliore per trasformare qualcuno era per prima cosa quello di accettarlo, così com’è, senza cercare di cambiarlo. Egli non ha emesso alcun giudizio sulla prostituta. Non ha mostrato il suo bisogno di cambiare. Non le ha fatto la lezione, né sulla sua condotta né sulle sue credenze, le ha solamente detto di non peccare più, ma come invito alla liberazione, una liberazione che trasforma.
Troppo spesso incontriamo delle persone che ci respingono se noi non agiamo secondo ciò che a loro sembra buono, ci sentiamo accettati soltanto nella misura in cui rispondiamo alle attese altrui. Ma allora, senza la libertà di rifiuto, senza la libertà di sbagliare o meglio di fare ciò che è giusto ai nostri occhi, com’è possibile sentirci liberi di fare delle scelte e dunque di crescere? D’altra parte sarebbe interessante cercare di capire perché cerchiamo di persuadere l’altro! In tale ostinazione non c’è forse, qualche volta, una mancanza di fiducia in noi stessi? Forse allora, alla luce di ciò che è stato detto fin qui, sarebbe opportuno cercare prima di tutto di offrire all’altro l’occasione di apportare la sua
ricchezza prima d’imporgli la nostra. In tal modo la comunicazione sarebbe un movimento dinamico che non prenderebbe l’andamento di un senso unico.
“Per stabilire una comunicazione piena d’amore sono indispensabili due convinzioni: noi siamo doni che devono essere trasmessi e gli altri sono doni che ci vengono offerti.(…) Lo scambio di questi doni è la comunicazione”. (John Powell)