Il 10 di Tishri ricorre la solennità di Kippur, destinato al digiuno, alla preghiera e al sincero ritorno a Dio. Quale giorno di espiazione, esso è dedicato alla riparazione delle colpe e alla riconciliazione con l’Eterno. Detto anche “Sabato dei Sabati“, il Kippur ha la stessa importanza del Sabato, ed in esso è proibito anche il più piccolo lavoro.
In questo giorno sacro, i templi di tutto il mondo rimangono aperti per l’intera giornata, affinché tutti possano partecipare alla preghiera comune. Si recitano cinque preghiere, al termine delle quali si suona lo Shofar.
Il rituale annuale del Kippur si svolgeva principalmente nel luogo santissimo ed era celebrato dal sommo sacerdote, nel giorno dell’espiazione o il grande giorno del perdono (Kippur). Questa solennità, che ricorreva al principio dell’autunno, era da ogni pio israelita vissuta nel digiuno e nell’umiliazione, perché in quel giorno il Signore giudicava il suo popolo.
Gli ebrei celebrano ancora oggi lo «Yom Kippur» o giorno dell’espiazione col digiuno, e sogliono augurarsi l’un l’altro: «Possa il tuo nome essere scritto nel cielo».
Nell’antico santuario d’Israele la parte centrale del rituale consisteva nell’aspersione del sangue di un capro nel luogo santissimo e nell’invio di un capro vivo nel deserto.
I due capri erano offerti dal popolo e mediante la sorte (Levitico 16: 8) ed erano destinati l’uno all’Eterno e l’altro ad Azazel. (Azazel nella tradizione giudaica era il nome di un demone del deserto). Il capro, in sorte all’Eterno, era immolato nel cortile dal sommo sacerdote dopo che questi aveva confessato i peccati del popolo, imponendo le mani sulla testa dell’animale. Parte del suo sangue era da lui asperso sul coperchio dell’arca o propiziatorio nel luogo santissimo. Con questo rito il sommo sacerdote compiva la purificazione del santuario, nel senso che rimuoveva i peccati del popolo ivi trasferiti mediante i sacrifici espiatori quotidiani.
Sempre in forma simbolica, detti peccati erano portati via sulla propria persona dal sommo sacerdote il quale, tornato nel cortile, li deponeva a sua volta sul capro destinato ad Azazel posando le sue mani sul capo dell’animale. Questo capro, unica eccezione in tutto il rituale israelitico, non veniva immolato, ma era condotto e abbandonato nel deserto da un uomo appositamente designato per questo compito. Col capro, il popolo vedeva allontanarsi i suoi peccati. Dopo quattro giorni, e per sette giorni di seguito, il popolo celebrava la festa più gioiosa dell’anno, la festa delle capanne”.- AA. VV., Siamo pieni di speranza, I.A.D.E., ed. ADV, 1992, pp. 97,98.
Tutto questo rituale prefigurava l’opera di purificazione del santuario celeste. Ellen G. White descrive la purificazione del santuario celeste nei termini seguenti: “Come anticamente i peccati del popolo erano posti per fede sull’offerta per il peccato e, attraverso il suo sangue trasferiti, simbolicamente, nel santuario terreno, così nel nuovo patto i peccati del penitente sono posti per fede su Cristo e trasferiti, di fatto, nel santuario celeste. E come la purificazione tipica del terreno era accompagnata dal rimozione dei peccati dai quali era stato contaminato, così l’attuale purificazione del santuario celeste deve essere accompagnata dalla rimozione, o cancellazione, dei peccati che vi sono ricordati. Ma prima che questo possa essere fatto, deve esserci un esame dei libri del ricordo per determinare chi, attraverso il pentimento e la fede in Cristo, è destinato a godere i benefici della sua espiazione. La purificazione del santuario implica perciò un’opera di investigazione, un’opera di giudizio” (Il gran conflitto, tr. direttamente dal testo inglese, pp. 421,22. Ed. it. 1977, p. 309).