62 – Festa delle Capanne (o dei Tabernacoli): Succot

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Il 15 del mese di Tishri ricorre la festa delle Capanne (Succot) che si celebra in memoria delle Capanne abitate dagli ebrei durante i 40 anni della loro permanenza nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto.

Nel formulario di preghiere questa festa è chiamata zéman simhaténu, «il tempo della nostra gioia», in quanto la Toràh raccomanda di celebrarla e di festeggiarla con allegria. Durante i sette giorni della festa, è comandato di abitare nella Capanna (Sukkà), elemento fondamentale della festa, costruita all’aria aperta ad imitazione di quelle utilizzate dagli ebrei nel deserto. Il digiuno è bandito durante i giorni di costruzione e preparazione delle capanne (Succot).

Un’altra caratteristica di questa festa è il Lulav, composto da un lungo ramo di palma, insieme ad alcuni rami di mirto e di salice, accompagnati da un ramo di cedro. Il Lulav si tiene in mano durante le preghiere e il canto dell’Alleluia e degli Osanna.

Apocalisse 19: 1-10, “risuona interamente di questa gioia, che festeggia la distruzione del male e anticipa il momento in cui i redenti abiteranno con Dio. Sicuri della caduta di Babilonia, ci si prepara, ora, a entrare in Gerusalemme. La prostituta è morta, viva la sposa! Il cielo esplode cinque volte per le grida della folla: «Alleluia!» (19:1,3,4,5,6).

L’espressione ebraica, alleluia, risale ai canti dei Salmi che s’intitolano proprio a partire da questa esclamazione di lode: tehilim.

Alleluia significa «lodate (hallelu Yah)» (abbreviazione del nome di Dio, YHWH, SIGNORE). Il senso di questa lode è suggerito dalle parole che le sono associate:

«Cantare», «comporre una melodia» (Sal 146:2; 149:3).

«Dire, raccontare, proclamare» (Sal 22:23).

«Ringraziare», «rendere grazie» (Sal 35:18; 44:9; 109:30).

«Glorificare» (Sal 22:24).

«Benedire» (Sal 115:17; 145:2).

«Gioire» (Ger 3:7).

La parola alleluiah era una risposta dei fedeli, alternata ai canti dei solisti. La sintassi stessa della parola alleluiah presuppone questo genere di liturgia. È un imperativo al plurale che incita la moltitudine a lodare Dio. Viene cantato da tutti, da una «folla immensa» (19:1,6) identificato più tardi, con il numero dei 144.000 (Ap 7:4,9); dai ventiquattro anziani e le quattro creature viventi (19:4), rappresentanti la creazione intera. Infine, questo canto di lode uscirà, per voce di un anonimo, dallo stesso trono di Dio (19:5)”. J. Doukhan, Il grido del cielo, Ed. Adv. Impruneta (Fi) p.2206-207

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