22 Studi
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1. Dieci volte felice
Le “dieci parole” del Sinai restano un punto di riferimento fondamentale con cui anche la morale laica deve fare i conti. Ogni cosa nell’universo risponde a delle leggi; la vita fisica stessa si regge su leggi immutabili. Ma il nostro vivere abbraccia anche valori non materiali: intelligenza, bellezza, volontà, etica, spiritualità. E anche questi valori hanno le loro leggi. Solo Dio, che ci ha creati, conosce le leggi che ci permettono di vivere in armonia con lui, con il suo progetto, con il prossimo, con la natura. La Bibbia afferma che il nostro malessere morale deriva proprio dalla volontà di sottrarci alle leggi che Dio ha donato e che sono espressione del suo carattere; fra di esse i dieci comandamenti sono i più importanti. La legge è dunque un dono divino e come tale va accolta. Grazie a essa comprendiamo noi stessi, i nostri ambiti, i nostri obblighi morali, vediamo i nostri limiti e le nostre colpe; la legge è uno specchio che ci propone continuamente l’esigenza del perdono divino. L’ubbidienza alla volontà di Dio è frutto della grazia e della “nuova nascita”. Chi si sente salvato dal Signore sa che il suo privilegio è quello di essergli fedele e che la sua felicità è legata all’armonia con i suoi precetti.
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2. La legge di Dio nel Nuovo Testamento
Pur avendo, con la sua morte, messo fine al regime legale dell’antica alleanza, Cristo ha proclamato con forza, mediante la vita e l’insegnamento, i principi eterni che sono alla base del decalogo. La sua missione era al tempo stesso quella di salvare l’umanità morendo per essa, e rivelare il carattere e la volontà del Padre suo: «Perché io non ho parlato di mio; ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato lui quello che devo dire e di cui devo parlare… Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me» (Giovanni 12:49,50). Piena conformità nel pensiero e nell’azione: ecco ciò che caratterizza i rapporti tra il Padre e il Figlio. Il Padre, come abbiamo visto, non cambia; la stessa cosa possiamo dire del Figlio: «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno» (Ebrei 13:8). Poteva egli fare altro che proclamare la santità, l’immutabilità, l’eternità della legge e uniformarvisi? In due dichiarazioni che non danno adito a equivoci, Cristo indica la perennità di questa legge che egli ha d’altra parte osservato in ogni circostanza.
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3. Il giorno del Signore
Tra i comandamenti del decalogo il giorno del Signore è uno dei più controversi, del quale attualmente è difficile comprendere la portata e l’applicazione: il sabato va sperimentato oltre che compreso. Possiamo domandarci: non è un atto formale l’interruzione delle normali attività umane? Quale vantaggio ne ha il Signore? La risposta è semplice: è l’uomo che ne può trarre il maggior beneficio. Nella storia dell’umanità il giorno festivo ha attenuato la schiavitù dell’uomo e gli ha ricordato che esiste un “padrone” nel cielo, superiore a qualunque padrone terreno, che è dalla parte dei poveri e degli oppressi. E anche oggi il giorno festivo settimanale assolve una funzione importante. La nostra attenzione viene infatti continuamente sollecitata per proporci consumi, per imporci un attivismo frenetico, per insegnarci a divertirci spendendo. Tra questi stimoli rischiamo di dimenticare noi stessi. Il sabato biblico serve al credente per riscoprire se stesso e il suo rapporto con il Creatore.
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4. La legge di Dio nell’esperienza della salvezza
«Sono sotto la legge o sotto la grazia?» è una domanda che può facilmente affacciarsi alla mente del cristiano. Può sembrare, infatti, che i due regimi si escludano a vicenda. Se egli non vuole riconoscere l’importanza della legge, si metterà sotto il regime della grazia senza la legge; se egli poi s’inganna sul senso della grazia, cercherà di ottenere la salvezza mediante le opere della legge. In entrambi i casi, manca la comprensione esatta della funzione che la legge e la grazia svolgono rispettivamente nella salvezza dell’uomo come ci è rivelata nelle Scritture. Non sarà dunque superfluo esaminare questo importante soggetto alla luce della Bibbia.
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5. Un’oasi d’eternità nel tempo
Il concetto di «riposo», nell’accezione ebraica di shabbat , rappresenta molto più di una semplice interruzione dell’attività lavorativa o la cessazione di una situazione di disagio; come del resto avviene per il concetto biblico di «pace» ( shalom ) che presuppone molto più che l’assenza di guerra, ma l’armonia e la pienezza. Il comandamento non si giustifica solo sul piano lavorativo. L’esigenza di un periodo di libertà ogni settimana, nel quale si lasciano le attività abituali per trovare la serenità interiore, valica molto l’ambito strettamente giuridico. La radice ebraica shbt , dalla quale deriva «riposare» e «sabato», esprime anche l’azione del «cessare», «prendere fiato» e di conseguenza, «prendere tempo» per ricevere le benedizioni del Signore. Il sabato rinnova le energie e permette che la vita continui più feconda. Durante lo shabbat , l’uomo lascia per un giorno la sua lotta per la sopravvivenza e per l’avere, per poter essere pienamente in Dio e ricevere le benedizioni. Amare il sabato è amare quello che abbiamo in comune con Dio. L’uomo senza il sabato sarebbe un uomo che ha conosciuto solo se stesso; sarebbe scambiare Dio per una cosa, sarebbe l’abisso che lo separa dall’universo; un uomo senza una finestra che dall’eternità si apra sul tempo.
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6. Adora Dio
Il secondo comandamento evidenzia il pericolo di confondere Dio con le immagini che ci facciamo di lui, o di dedicare a un oggetto quella devozione che solo deve essere tributata a un Essere. Tutte le cose di questo mondo possono trasformarsi in idoli. Il potere, il lusso, le apparenze, la ricchezza, la gloria, la fama, possono occupare facilmente il centro della nostra vita. Quando ciò succede, stiamo trasgredendo il secondo comandamento. A volte, ci troviamo di fronte a cose che ci seducono più delle proposte divine: la fantasia degli artisti, il magnetismo di certe personalità, le attrattive dei messaggi pubblicitari, o semplicemente certi deliri della nostra fantasia. Disorientati o affascinati, ci costa fatica il distinguere tra ciò che è sicuro e il probabile, l’immaginario dal reale, il vero dal falso. «Non ti farai immagini» significa che le rappresentazioni mentali che ci fabbrichiamo ed esaltiamo, possono convertirsi in idoli. Neppure le istanze religiose sono esenti da tale rischio. Quando il prestigio, l’organizzazione, la personalità o la gerarchia si interpongono tra l’essere umano e l’Essere supremo, stiamo costruendo una «immagine» che nasconde Dio, quindi incorriamo nel «delitto» dell’idolatria.
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7. Che cosa c’è dopo la morte?
A ragione Malherbe affermò: «La morte ha dei rigori che non somigliano a nessun altro rigore». É impossibile farla indietreggiare, sopprimerla. Essa è e rimane «la regina degli spaventi» (Gv 18:14), da tutti temuta e dinanzi alla quale tutti devono inchinarsi, e serba il suo segreto nonostante sia il fenomeno più corrente. É «il problema più terribile che mai abbia assillato gli uomini» (Richet). Una cosa è certa: la morte è la scadenza che nessuno può evitare. La morte, come il male, di cui è la più terribile conseguenza, è un’anomalia della natura, un’intrusa che si è introdotta a causa di un “incidente”, di un disordine che l’oppone in modo irresistibile al bisogno di vita, di gioia, di amore e di eternità che esiste in fondo ad ogni anima umana; una nota stonata nella grande armonia universale. Per i materialisti, la morte è la fine, è il punto terminale del destino umano. Per i tradizionalisti, invece, è un principio, poiché l’anima secondo loro si sottrae per andare o in paradiso a godere direttamente della perfetta beatitudine; o nel purgatorio dove, per un periodo più o meno lungo, espia i peccati che le impediscono di andare in paradiso; o all’inferno dove soffrirà in eterno. Nella Parola di Dio, la morte appare come l’opposto della vita: « Esso non morrà per l’iniquità di suo padre; di certo vivrà » (Ez 18:17). « Tu morrai e non vivrai più » (Is 38:1). « Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male » (Dt 30:15).
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8. La risurrezione
Il Nuovo Testamento mette in luce la verità della risurrezione dei morti e stabilisce uno stretto legame fra questa verità e la vita eterna. Quest’ultima espressione, che si ritrova quaranta volte, indica una vita diversa da quella attuale, che è invece temporanea, interrotta dalla morte. La vita eterna concessa al momento della risurrezione rappresenta il premio del fedele. «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quelli che egli mi ha dati, ma che li risusciti nell’ultimo giorno. Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Giovanni 6:39,40). « Non vi meravigliate di questo; perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio» (5:28,29).
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9. Innamorarsi di Dio
“Dio è amore” (1 Giovanni 4:8). Questa è la più breve ed anche la più intima dichiarazione che ci rivela l’essenza di Dio. La sua brevità non ne diminuisce l’enorme importanza e la sua semplicità non ne riduce l’immensa portata. Se qualcuno mi chiedesse di riassumere in una sola frase il contenuto della Bibbia, risponderei: «Dio è amore». Dal primo capitolo di Genesi fino all’ultima sezione dell’Apocalisse la Bibbia è un unico canto di lode. Il tema di questo canto dice: «Dio è amore». L’amore di Dio è il pensiero dominante di tutta la Bibbia in ognuno dei 66 libri che la compongono. Fu l’amore di Dio che andò in cerca dell’uomo, sul far della sera, per cercare di riprendere il dialogo interrotto (Genesi 3:9). Fu l’amore che spinse Dio a scacciare dal giardino dell’Eden Adamo ed Eva dopo che essi ebbero peccato, come è descritto del terzo capitolo di Genesi. Fu l’amore che spinse Dio a promettere un Redentore immediatamente dopo il peccato (Genesi 3:15). Fu l’amore di Dio che chiamò Abramo, Isacco e Giacobbe a servirlo. Essi furono una benedizione per i loro diretti discendenti e per tutta l’umanità. Fu l’amore di Dio che liberò gli Israeliti dalla schiavitù dell’Egitto. Nella storia del popolo d’Israele si coglie con forza l’amore di Dio. Fu un gesto d’amore che Dio inviò Gesù Cristo sulla terra, affinché Egli potesse morire per l’umanità oppressa dal peccato. Sarà ancora in un gesto d’amore che Dio manderà nuovamente Gesù Cristo su questa terra per il più grande avvenimento della storia dell’umanità.
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10. L’alternativa evangelica di fronte al disastro ecologico
Esistono varie concezioni di ciò che fu, e di ciò che è il Cristo. Da avventista del 7° giorno, il Cristo è ciò che l’Antico e il Nuovo Testamento dissero che sarebbe stato, fu ed è il Cristo. Il Cristo del Nuovo Testamento riteneva che l’Antico Testamento, nel profondo, fosse una testimonianza di lui e in vista di lui. Gesù Cristo stesso credeva così: «Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse son quelle che rendono testimonianza di me» (Gv 5:39). E così credevano gli apostoli: «Intorno a questa salvezza indagarono e fecero ricerche i profeti, che profetizzarono sulla grazia a voi destinata. Essi cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle» (1 Pt 1:10-11). Per cui, in questa riflessione, non faremo differenza tra il pensiero profetico teologico biblico dell’intera Bibbia sulla natura e il pensiero del Cristo. Cristo incontra la natura, equivale al pensiero teologico biblico circa la natura.
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11. Vivere nel perdono
Un vecchio contadino era in lite con un suo vicino da ben trent’anni a proposito della collocazione di un recinto. A causa di questa disputa nessuno dei due si decideva a riparare il recinto. Sul letto di morte, il vecchietto decise di mettere le cose a posto. Chiamò sua moglie e le disse: “Per favore, dì ad Abner che sto morendo e che desidero parlargli”. Non passò molto che la moglie tornò a casa con il vicino Abner. Il vecchio contadino, tutto tremante, disse: “Abner, tu ed io abbiamo litigato per quel recinto per quasi trent’anni. Ho detto diverse cose piuttosto dure sul tuo conto, e voglio dirti che sono terribilmente dispiaciuto. Desidero ristabilire l’amicizia con te prima che io muoia. Mi perdonerai?”. “Certo che sì – disse Abner, con le lacrime agli occhi – Penso che neanch’io abbia detto delle cose tanto belle su di te negli ultimi trent’anni. Sì, credo che sia ora di essere amici”. Dopo una solenne stretta di mano, l’uomo ammalato puntò il dito verso Abner e gli disse: “Stai attento però, Abner, se io dovessi guarire, dimentica ciò che ti ho detto! La ragione sul recinto è mia!” A volte i vicini sembrano avere difficoltà nel riparare un recinto, ma se la verità fosse risaputa certe famiglie avrebbero ancora più difficoltà. Offese, ingiustizie, sentimenti negativi e incomprensioni si sovrappongono per anni da tutti e due i lati del recinto. Più invecchiamo e più vorremmo riparare quel recinto, ma la cosa sembra diventare sempre più difficile da realizzare. Tuttavia, riparare il recinto vuol dire ristabilire i rapporti e questo è ciò che i genitori di figli problematici desiderano più di ogni altra cosa.
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12. La gestione Cristiana del tempo e il ritorno di Cristo
Il nostro, è il tempo della produzione multimediale, dei consumi, del fai date te e del ciò che vuoi. È il tempo per l’apertura e la chiusura giornaliera delle borse mondiali. È l’epoca per comunicare in tempo reale; tempo dei ritmi opprimenti della città, dello stress e della cura dallo stress. Il nostro è il tempo in cui vanno eliminati i tempi morti, non adeguati. Non c’è mai tempo da perdere o per perdere (ma si perde!), per stare con se stessi, con Gesù e per dare un significato sacro al tempo e alla vita. La Parola di Dio evidenzia che «per tutto v’è il suo tempo, v’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo…» (Ecclesiaste 3:1-8). Dio ti dice che c’è un tempo per tutto, ma specialmente…
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13. Sola Gratia
L’uomo, come segnala Kafka, si sente colpevole anche nel fondo della propria innocenza. Per liberarsi da questa inquietudine avrebbe bisogno di conoscere le intenzioni del giudice supremo. Solo allora saprebbe dove va e quale cammino seguire. Al contrario, ignorando una cosa tanto essenziale, passerà la sua vita fuggendo con il timore del giudizio, cercando con mille scuse e artifici religiosi e non solo, di trovare il modo di rimuovere l‘angoscia della colpa, sapendo che senza un giudizio non vi sarà mai tregua. Giudicato, assolto o condannato che fosse, sarebbe libero da questa tortura. La storia di tutti i perseguitati, degli sfiduciati, delle vittime di tutte le guerre,dei criminali in fuga e di tutti gli esseri umani, rivela la ricerca di giustizia e perdono e tutti esprimono con un grido d’aiuto, il bisogno della grazia.
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14. I quattro movimenti della fede
L’orologio della vita si carica una volta, e nessun uomo ha il potere di dire in che momento le mani si fermeranno, se ad un’ora mattutina o ad un’ora della sera. Questo è il solo tempo che possiedi. Allora vivi, ama, sorridi con entusiasmo. Non pensare a quello che è stato e non riporre la tua fiducia nel domani. Perché allora le mani potrebbero essere già ferme. Guardiamo alle cose che possiamo fare per avere più “momenti d’oro” fra di noi e con chi ci circonda ora. Non possiamo tirare indietro le lancette dell’orologio, ma possiamo trarre il massimo dal tempo che ci rimane! Pertanto, chiediamoci: come godersi la vita con entusiasmo traendo il massimo nello spazio di tempo che il Signore ci ha donato? Come svincolarsi da tutte le idee assurse su Dio e sulla vita, in particolar modo quella religiosa, che inibiscono la gioia di vivere e della salvezza?
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15. La grazia pedagogica
Nella lettera a Tito Paolo rileva che la grazia di Dio, nella vita del credente, ha una funzione pedagogica, didattica e/o formativa in vista nella beata speranza del ritorno di Cristo (Ti 2:11-13). Essa promuove in colui che è giustificato (Ti 3:4-7) uno stile di vita secondo i frutti dello Spirito che sono: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo» (Gal 5:22). Ciò significa che la grazia, manifestatasi in Gesù Cristo offre all’uomo nuove possibilità ed esigenze. Gli aspetti che contraddistinguono quest’opera meravigliosa della grazia sono tre: la fase destrutturante, subliminale e ristrutturante. La prima e l’ultima evidenziano due stili di vita contrapposti: il primo rivela una personalità impietosa, insensibile, distaccata, irreligiosa; l’ultima un carattere equilibrato, premuroso, gentile, riservato, spirituale. Quest’ultimo aspetto non ha nulla a che fare con la beatificazione tipica, nel mondo cattolico, degli eroi cristiani che sono in paradiso, ma con il presente: «in questo mondo». Non si tratta di una possibilità che la grazia promuove, ma di un presupposto per colui che l’ha accettata nella persona di Gesù Cristo. Paolo esplicita questo pensiero con le seguenti parole: «non son più io ma è Cristo che vive in me» (Gal 2:20). In altre parole, la vita del credente non è solo la risposta alla grazia di Dio, ma grazia vissuta: egli testimonia dell’epifania della grazia nella sua vita al mondo.
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16. Muta il mio dolore in danza
La cultura in cui viviamo tende ad espellere la sofferenza, a negarla, esorcizzarla (talismani, amuleti, droga, alcol, ecc.), a rimuoverla o addirittura a “ucciderla” (suicidio/omicidio). I fatti di cronaca d’inaudita violenza, come quelli di uomini e donne che pongono fine all’esistenza di un genitore, di un figlio o dell’ex fidanzata o moglie, sono l’espressione violenta di una società che non accetta più la sofferenza in qualsiasi modo si manifesti. Non ci si può permettere di essere tristi, infelici, annoiati, scontenti e quindi, se capita di esserlo, ci si rivolge ai tecnici della felicità, nella speranza che trovino la pillola giusta o la ricetta giusta, che facciano sparire quelle fastidiose emozioni che proviamo. L’attuale generazione non ha imparato o non le è stato insegnato ad affrontare la sofferenza. La sindrome del puer aeternus (eterno bambino), oggi così diffusa, è dovuta proprio all’incapacità di accettare la sofferenza. Non si cresce, si resta psicologicamente bambini perché invece di affrontare il dolore e la sofferenza – inevitabili in questa vita – si preferisce evitarli.
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17. La grazia: tra fondamentalismo e libertà
Florien Wineriter, capo di un Istituto Umanista a New York, in risposta al libro Defenders of God di Bruce B. Lawrence, parlando del fondamentalismo evangelico, afferma: “I fondamentalisti combattono contro nemici interni. Il loro grido di richiamo è ‘Commenta e comunica’. Il fondamentalismo storico è l’interpretazione letterale di tutte le affermazioni e di tutti i comportamenti contenuti nella Bibbia e la denuncia militante di tutte le affermazioni e di tutti i comportamenti non biblici”. Infine conclude dicendo: “Il successo del fondamentalismo annienterebbe i diritti di auto-espressione, di libertà di scelta, di uguaglianza, di giustizia e di ricerca della realizzazione individuale”. Un tale atteggiamento non solo viola il primo e il secondo articolo della dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, ma in primis è in netta opposizione alla grazia, al modo in cui Gesù si rapportava con le variegate sensibilità spirituali e nei confronti dei suoi nemici. Nell’evangelo di Marco troviamo un illuminante episodio che ci aiuta a capire il modo in cui Gesù rispettava l’altro che operava, nel suo nome, ai margini del cerchio apostolico: «Giovanni gli disse: «Maestro, noi abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome, [e che non ci segue;] e glielo abbiamo vietato perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo vietate, perché non c’è nessuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e subito dopo possa parlar male di me. Chi non è contro di noi, è per noi. Chiunque vi avrà dato da bere un bicchier d’acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa» (Mc 38-41).
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18. Il Cristo utilitario
Generalmente pensiamo che i falsi profeti o falsi cristiani sorgano dal di fuori del cristianesimo, ma è saggio ricordare che possono sorgere soprattutto all’interno della stessa comunità. Infatti, l’apostolo Paolo fa presente agli anziani della chiesa di Efeso che dopo la sua partenza si sarebbero introdotti dei lupi rapaci, i quali non avrebbero risparmiato il gregge; e aggiunge che «anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli» (At 20: 29-30). In altre parole, dobbiamo fare molta attenzione che il Cristo che professiamo di seguire sia davvero lo stesso Cristo di Dio o degli evangeli. C’è sempre il pericolo che forse stiamo seguendo un Cristo a nostra immagine, a misura d’uomo che non è il vero Cristo enunciato dagli apostoli, ma uno evocato dalla nostra fantasia utilitaristica o di convenienza.
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19. “Non indurci in tentazione”
La tentazione rivela il male che esiste, allo stato potenziale, in fondo all’animo. Ciò significa che la tentazione è lo specchio delle nostre inconsistenze, delle nostre fragilità e pertanto un’attività indicativa non solo per conoscerci meglio, ma soprattutto per migliorare la qualità della nostra vita e il nostro rapporto con Dio. Di fatto l’incitamento a peccare non deve essere considerato come una modalità necessariamente negativa tesa ad allontanarci da Dio per dare spazio ai nostri desideri, tale da determinare uno stato di prostrazione e di sconfitta, ma una funzionalità della vita che ci permette da una parte di confrontarci con noi stessi, con le nostre debolezze, dall’altra di valutarne le loro consistenze, quindi di superarle nella potenza del perdono, della grazia di Dio e con risolute decisioni.
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20. Malintesi quotidiani su Dio e sulla spiritualità
La storia dell’uomo e più di ogni altra cosa del cristianesimo, sin dalle origini, è contraddistinta da considerevoli equivoci riguardo a se stessi, al prossimo, a Dio e al vivere la religiosità. I malintesi fanno parte della vita e sono inevitabili. Ciò è dovuto a diversi fattori: la personale griglia interpretativa del vissuto in generale e in particolare dell’altro, l’incapacità di esprimersi adeguatamente, gli inevitabili elementi culturali e/o ambientali ed in infine le inadeguate aspettative che immancabilmente ci deludono. Gesù stesso più volte ha dovuto correggere le aspettative messianiche, degli apostoli, di sua madre e dei suoi fratelli. I discepoli sulla via di Emmaus, dopo la morte di Cristo, manifestarono la loro delusione nelle seguenti parole: «noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose» (Lc 24:21). Eppure, Gesù era risorto e loro lo sapevano perché erano stati avvisati da alcune donne (Lc 24:22). Solo dopo diverse apparizioni i discepoli compresero di essersi sbagliati e finalmente rinfrancati dalla delusione gioirono della presenza del risorto.
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21. La grazia e la chiesa
La gente vuole fatti. Non apprezziamo l’uso di superlativi nelle cortesi conversazioni che abbiamo in chiesa o alla Scuola del Sabato. Attribuiamo alle persone l’intelligenza, le doti che Dio ha effettivamente dato loro. Ma forse dovremmo usare parole come audace, terrificante e stupendo, perché gli evangelisti lo hanno fatto. Essi dovettero usare parole che esprimessero il culmine dell’eccellenza per descrivere le azioni incredibili compiute da Gesù. Se leggete i vangeli potrete avvertire il senso di riverente timore che essi avevano per Gesù. Le storie che Gesù trasmise agli autori dei vangeli rivelano che la grazia di Dio mette in azione il proprio amore. E trattandosi di grazia attiva, essa ha il potere di legarci a Cristo, di unirci al popolo di Dio, di arricchirci con i doni promessi e di potenziare la nostra testimonianza. La grazia e l’amore di Dio creano una comunione nella quale il cristiano può vivere e operare per costruire il regno dei cieli.
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22. Amare e sentirsi amati
La felicità non è avere o possedere, nella vita c’è una sola grande felicità: amare ed essere amati. Amare e sentirsi amati è l’essenza dell’esistenza e “nulla rende così amabili, come il sentirsi amati” (Oscar Wilde).
Più volte negli evangeli la voce di Dio fluisce nel cuore di Gesù trasmettendogli la gioia di sentirsi amato, fra le tante: «Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto»” (Mt 3: 17). Il termine “ἀγαπητός”, che la nuova riveduta traduce con “diletto” letteralmente si dovrebbe tradurre “ben amato”. “Ecco il mio ben amato figlio”. La nuova Diodati traduce “Amato figlio”, La Luis Segond: ”Celui-ci est mon Fils bien-aimé, en qui j’ai mis toute mon affection”. “Questo è il mio ben amato figlio, nel quale riverso tutto il mio affetto”.