«Io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento».
di E.G. White
Fu il Cristo stesso che dall’alto del monte Sinai, avvolto dalle fiamme e scosso dal rumore dei tuoni, proclamò la legge di Dio. La gloria dell’Eterno si manifestò sulla cima del monte come un fuoco divorante, la sua presenza scuoteva tutta la montagna e i figli d’Israele, prostrati a terra, assistettero intimoriti alla presentazione dei comandamenti della legge. Quale contrasto fra questa scena e quella sul monte delle beatitudini. Sotto un cielo estivo, in un silenzio turbato solo dal cinguettio degli uccelli, Gesù espose i principi del suo regno. Manifestando il suo amore apriva le loro menti a cogliere il profondo significato della legge del Sinai.
Dopo il lungo periodo di schiavitù in Egitto, il popolo d’Israele era insensibile e aveva bisogno di riconoscere la potenza e la maestà divina, ma Dio si rivelò comunque come un Dio d’amore.
«Il Signore è venuto dal Sinai, è spuntato per loro dal Seir, ha sparso la sua luce dal monte di Paran, è venuto dalle miriadi sante; dalla sua destra usciva il fuoco della legge per loro. Certo, il Signore ama i popoli; tutti i suoi santi sono nella tua mano. Essi si abbassano ai tuoi piedi e raccolgono le tue parole» (Deuteronomio 33:2,3).
Dio manifestò a Mosè la sua gloria con queste parole meravigliose che sono preziose anche per le generazioni successive: «… Il Signore! Il Signore! Il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato…» (Esodo 34:6,7).
La legge del Sinai era l’espressione dell’amore in quanto principio e rivelava alla terra la legge del cielo. Solo grazie alla potenza di un Mediatore gli uomini avrebbero potuto conformarsi ai suoi principi. Dio aveva rivelato l’obiettivo della legge quando aveva dichiarato a Israele: «Voi sarete degli uomini santi per me…» (22:31).
Ma Israele non comprese la natura spirituale della legge e troppo spesso la sua ubbidienza invece di essere l’espressione dei desideri del cuore, era frutto dell’osservanza di forme e cerimonie. Nel suo carattere, e tramite la sua opera, Gesù dimostrò la natura di Dio, cioè la santità, la misericordia e l’amore paterno. Egli sottolineò l’inutilità di un’ubbidienza puramente esteriore, ma i capi del popolo non compresero le sue parole. Essi pensavano che egli considerasse con troppa leggerezza gli obblighi espressi nella legge e quando indicò loro i principi che dovevano motivare l’ubbidienza richiesta da Dio, preoccupati solo dalle forme, lo accusarono di voler annullare la legge.
Le parole del Cristo, pronunciate con calma, manifestavano una fermezza e una potenza che colpiva la gente. Essi si aspettavano che parlasse delle tradizioni e delle prescrizioni dei rabbini, ma rimasero stupiti «perché egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Matteo 7:29).
I farisei si resero subito conto della grande differenza fra il loro metodo di insegnamento e quello del Cristo. Capirono che la maestà, la bellezza e la purezza della verità, con il suo profondo influsso, colpivano la mente di coloro che erano stati attratti dall’amore del Salvatore. I rabbini compresero che i suoi insegnamenti annullavano la loro dottrina. Sarebbe stato abbattuto quel muro che li separava dal popolo e che lusingava il loro orgoglio e la loro ambizione. Temendo che Gesù conquistasse il favore del popolo, se loro stessi non lo impedivano, gli diventarono ostili e sperarono di trovare l’occasione per accusarlo davanti al popolo e indurre il Sinedrio a condannarlo a morte.
Mentre Gesù era sul monte, delle spie del Sinedrio lo sorvegliavano attentamente; mentre egli presentava i principi della giustizia, alcuni insinuavano, incoraggiati dai farisei, che i suoi insegnamenti erano in contrasto con i comandamenti della legge di Dio proclamata al Sinai. In realtà il Salvatore non aveva detto nulla che fosse contrario ai principi e alle istruzione che lui stesso aveva dato a Mosè. Tutto i preziosi insegnamenti che questo grande condottiero aveva comunicato al suo popolo li aveva ricevuti dal Cristo. Mentre molti pensavano dentro di loro che egli si fosse espresso contro la legge, Gesù rivelo tramite queste parole indimenticabili il suo atteggiamento nei confronti dei principi della legge: «Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti…» (Matteo 5:17).
È il Creatore degli uomini, l’autore stesso della legge che dichiara di non avere nessuna intenzione di abolire i suoi comandamenti. Nella natura, dal più piccolo atomo fino ai pianeti che ruotano nell’universo, tutto ubbidisce a delle leggi. L’ordine e l’armonia dipendono da queste leggi. Esistono anche dei principi di giustizia che regolano la vita degli esseri intelligenti e il benessere del mondo dipende dalla loro applicazione. Queste leggi esistevano prima che la terra fosse creata. Anche gli angeli le rispettano e affinché regni l’armonia fra il cielo e la terra l’uomo deve ubbidire agli ordini divini. Nel giardino dell’Eden «quando le stelle del mattino cantavano tutte assieme e tutti i figli di Dio alzavano grida di gioia» (Giobbe 38:7) il Cristo aveva presentato ad Adamo i principi della sua legge. L’opera del Cristo non prevedeva l’annullamento della legge, al contrario mirava ad aiutare l’uomo perché potesse applicarla.
Il discepolo preferito, che ascoltò in quell’occasione le parole di Gesù, molto tempo dopo, ispirato dallo Spirito Santo, sottolineò il carattere eterno della legge e affermò: «Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge» (1 Giovanni 3:4). E aggiunse che la legge a cui si riferisce è «… un comandamento vecchio che avevate fin dal principio: il comandamento vecchio è la parola che avete udita» (2:7). Parla di una legge che esisteva alla creazione e poi venne ripetuta al Sinai.
Parlando della legge Gesù disse: «Io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento». Il verbo «compiere» è utilizzato con lo stesso significato delle parole dette da Gesù a Giovanni Battista: «… Poiché conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia» (Matteo 3:15). Significa che è bene conformarsi alle esigenze della legge, dimostrando un esempio di completa sottomissione alla volontà di Dio.
La sua missione consisteva nel «… rendere la sua legge grande e magnifica» (Isaia 42:21), cioè nell’indicarne la natura spirituale, presentarne la profondità e confermare l’obbligo dell’uomo nell’adempierne i precetti.
La natura divina del Cristo conferisce al suo carattere una bellezza che supera quella degli uomini più nobili e amabili rendendola, al confronto, solo un pallido riflesso. Di questa bellezza Salomone ispirato scrive: «… Si distingue fra diecimila… tutta la sua persona è un incanto» (Cantico dei Cantici 5:10,16). Davide contemplandola in una visione profetica afferma: «Tu sei bello, più bello di tutti i figli degli uomini…» (Salmo 45:2). Gesù, l’immagine perfetta del Padre, il fulcro della sua gloria, il Redentore che si sacrifica nella sua missione d’amore sulla terra, era la rappresentazione vivente delle caratteristiche della legge di Dio. Con la sua vita egli dimostrava che l’amore divino e i principi cristiani sono il fondamento di leggi eternamente giuste.
«È più facile che passino cieli e terra» disse Gesù «anziché cada un solo apice della legge» (Luca 16:17). Con la sua ubbidienza alla legge Gesù ne confermò il significato immutabile e dimostrò che mediante la sua grazia essa poteva essere osservata integralmente, da ogni discendente di Adamo. Sul monte dichiarò che neppure il più piccolo iota sarebbe scomparso dalla legge prima che tutto non fosse compiuto, cioè tutto ciò che riguarda l’umanità e il piano della salvezza.
Non insegna che la legge sia mai stata abrogata ma egli invita a rivolgere lo sguardo verso il punto più lontano dell’orizzonte umano e assicura che fino a quando questo obiettivo non sarà raggiunto la legge conserverà la propria autorità. Ecco perché nessuno può ritenere di essere investito della missione di abolire i precetti della legge. Fintanto che il cielo e la terra continueranno a esistere anche i principi divini saranno validi. La sua giustizia è «… come le montagne più alte» (Salmo 36:6). Essa continuerà a essere una fonte inesauribile di benedizioni che ristoreranno la terra.
Poi la perfezione e l’immutabilità della legge di Dio è impossibile agli uomini, la cui natura è intrisa di peccato, adempierla in modo perfetto. Ecco perché Gesù è diventato il nostro Salvatore. La sua missione consisteva nell’aiutare gli uomini a essere in armonia con i principi della legge, rendendoli partecipi della natura divina. Quando confessiamo i nostri peccati, e accettiamo il Cristo come nostro Salvatore, la legge viene esaltata. L’apostolo Paolo chiede: «Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge» (Romani 3:31).
La promessa del nuovo patto era: «… Metterò le mie leggi nei loro cuori e le scriverò nelle loro menti» (Ebrei 10:16).
Mentre il sistema simbolico che rappresentava il Cristo come l’Agnello di Dio che libera gli uomini dai loro peccati doveva cessare con la sua morte, i principi di giustizia, contenuti nel Decalogo sono immutabili come la sovranità stessa di Dio. Nessun comandamento è stato annullato, nessun iota o apice è stato cambiato. I principi resi noti all’uomo nell’Eden, continueranno a esistere immutati nel paradiso ritrovato. Quando l’Eden sarà nuovamente ristabilito sulla terra la legge d’amore di Dio sarà osservata da tutti gli esseri viventi. «Per sempre, Signore, la tua parola è stabile nei cieli» (Salmo 119:89). «Le opere delle sue mani sono verità e giustizia; tutti i suoi precetti sono fermi, stabili in eterno, fatti con verità e rettitudine» (111:7,8). «Da lungo tempo conosco le tue testimonianze che hai stabilite in Eterno» (119:152).
Conclusione
«Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli»
Non ci sarà posto per lui. Chi trasgredisce volontariamente uno dei comandamenti non ne osserva nessuno, né in spirito né in verità. «Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti» (Giacomo 2:10).
Non è la disubbidienza in sé che costituisce il peccato ma il fatto di essersi allontanati, anche solo parzialmente, dalla volontà di Dio. Questa scelta dimostra che il cuore è diviso, che l’animo umano è sopraffatto dal peccato. È un gesto che rinnega Dio e manifesta la ribellione contro le leggi del suo governo.
Se gli uomini si discostano deliberatamente dalla volontà di Dio, e scelgono la propria linea di condotta, si vengono a delineare una serie infinita di possibili regole e Dio perde il suo ruolo guida. I desideri umani avrebbero la priorità e la sacra e suprema volontà di Dio, cioè il suo piano d’amore nei confronti delle sue creature, verrebbe disprezzato.
Quando gli uomini vogliono seguire la propria via si oppongono a Dio. Per loro non ci sarà posto in cielo perché rifiutano i suoi principi. Trascurando la sua volontà si alleano a Satana, nemico di Dio e dell’uomo. L’uomo non vivrà per le sue parole ma per ogni parola pronunciata da Dio. Non possiamo trascurare nulla di ciò che ci ha rivelato, per quanto insignificante ci possa sembrare, e sentirci tranquilli. Tutti i comandamenti sono in vista della felicità immediata e futura dell’uomo. L’ubbidienza alla legge di Dio è come una diga che protegge l’uomo dal male. Chi in qualche punto infrange questa barriera, perde la protezione indispensabile per impedire al nemico di accedere e portarlo alla rovina.
Disprezzando anche un solo punto della volontà di Dio i nostri progenitori hanno permesso al male di devastare il mondo. Chiunque segue il loro esempio otterrà gli stessi risultati. L’amore di Dio ha ispirato ogni comandamento della sua legge e chi ne trasgredisce anche uno solo crea intorno a lui infelicità e rovina.