Perché sempre di domenica?
Una festa per staccarsi dal sabato biblico
La Pasqua, insieme alla Pentecoste che le è cronologicamente collegata, è l’unica tra le grandi feste del mondo cristiano a non cadere sempre nella stessa data ma nello stesso giorno della settimana: la domenica. Si tratta certamente di un fatto molto singolare perché tutti gli anniversari, sia personali che storici, vengono celebrati non in base al giorno della settimana in cui qualcosa è avvenuto, ma in base alla data. Come mai questa peculiarità?
Come la festa sia entrata nell’ambito della chiesa cristiana può solo essere motivo di ipotesi. Gli ebrei, secondo il comandamento biblico (Lv 23:5), la celebravano il 14 di Nisan, un mese oscillante tra il nostro marzo e il nostro aprile. È probabile che i cristiani di origine giudaica abbiano continuato a osservarla e che da essi l’osservanza sia passata anche ai cristiani non ebrei. Tuttavia, nel 154 o secondo altri nel 157, abbiamo testimonianza che a Roma e nelle chiese a essa più strettamente collegate, si era già cominciato a celebrare la Pasqua nella domenica successiva alla festa ebraica. Infatti, in tale anno, il vescovo di Smirne Policarpo si recò a Roma per sostenere, di fronte ad Aniceto, vescovo della capitale, le ragioni delle chiese dell’Asia Minore nel voler continuare a celebrare la Pasqua secondo il calendario biblico e il costume ebraico. La discussione si concluse senza un nulla di fatto e ognuno rimase con la sua idea anche se i due si lasciarono in uno spirito di grande fraternità.
Le cose cambiarono però verso la fine dello stesso secolo quando il vescovo di Roma Vittore, cominciando a incarnare quello che sarebbe poi diventato il potere papale, scomunicò le chiese dell’Asia che continuavano a seguire il rito quartodecimano (in riferimento al 14 di Nisan). (1) Anche se il vescovo di Efeso Policrate resistette sulla base della pratica della sua chiesa e per il fatto che «è meglio ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini», (2) e anche se alcuni come Ireneo di Lione, pur essendo a favore della domenica, protestarono per l’abuso di autorità da parte del vescovo di Roma, altri si adeguarono. A poco a poco l’osservanza domenicale della Pasqua diventò generalizzata. Il Concilio di Nicea, nel 325, fissò in modo definitivo la Pasqua sempre nella prima domenica che segue la prima luna piena dopo l’equinozio di primavera. La decisione fu motivata da un forte spirito antiebraico, dalla volontà di «non avere nulla in comune», nella celebrazione della Pasqua cristiana, «con la folla detestabile dei giudei» che avevano ucciso Cristo. (3) In questo modo la celebrazione della Pasqua fu totalmente staccata dalla celebrazione ebraica e la si allontanò anche dal significato che aveva nella Bibbia, legandola soprattutto alla resurrezione più che alla passione di Cristo come avveniva agli inizi.
Di pari passo con l’affermazione della Pasqua domenicale al posto della quartodecimana, andò l’affermazione della domenica al posto del sabato biblico. I due fatti appaiono strettamente legati.
Anche se la realtà è stata molto più complessa, il motivo ufficiale per giustificare l’abbandono del sabato a favore della domenica fu il fatto che Gesù era risorto il primo giorno della settimana. Se la Pasqua fosse stata celebrata ogni anno in giorni diversi, il significato della domenica ai fini del ricordo della resurrezione sarebbe ben presto scomparso. Al contrario, legare la Pasqua alla risurrezione e celebrarla sempre di domenica non poteva che avvalorare la legittimità della celebrazione settimanale della domenica.
Non è certamente casuale il fatto che l’osservanza domenicale della Pasqua nacque e si impose per l’autorità di quella stessa chiesa romana (e quelle che da essa più strettamente dipendevano) in cui nacque e da cui si diffuse l’osservanza della domenica. E non è certamente un caso che proprio le chiese dell’Asia in cui la Pasqua continuò più a lungo a essere celebrata secondo il calendario biblico, furono quelle in cui più a lungo si continuò a osservare il sabato settimanale. Una testimonianza del fatto che ancora verso la fine del IV secolo esistevano in Asia osservatori del sabato è data dal canone 29 del sinodo di Laodicea (c. 364) che ammonisce i cristiani a «non giudaizzare astenendosi dal lavoro il sabato». Sozomeno ci dice che alla sua stessa epoca (c. 400-447) «La gente di Costantinopoli, e quasi ogni dove, si riunisce di sabato, come anche nel primo giorno della settimana, abitudine che non si ha né a Roma né ad Alessandria». (4)
Costantino può ben rappresentare questo processo di affermazione della domenica attraverso la Pasqua. Egli fu la prima autorità politica cristiana a emanare una legge per l’osservanza della domenica, ancora definita come «venerabile giorno del sole». Fu lui stesso, secondo lo storico cristiano Eusebio, a scrivere una lettera per comunicare (imporre) ai cristiani l’osservanza domenicale della Pasqua. (5)
Il problema della data della Pasqua è solo parte della questione. Noi avventisti non siamo abituati a osservare la Pasqua sia perché riteniamo le feste annuali dell’Antico Testamento come parte della legge cerimoniale che trova il suo adempimento in Cristo, e quindi non più normative per i cristiani; sia perché onoriamo il significato della Pasqua attraverso la celebrazione della Cena del Signore. Probabilmente, però, come molti di noi aderiscono alla festività del Natale anche se non ha fondamento biblico e senza considerarlo normativo, allo stesso modo potremmo non avere difficoltà insormontabili ad aderire, in qualche modo, a una celebrazione annuale che voglia onorare la crocifissione e la risurrezione di Gesù. Ciò che crediamo renda impossibile questo processo in rapporto all’attuale Pasqua cristiana è il fatto che mentre il 25 dicembre, pur se nato in ambiente pagano, non contraddice alcuna normativa biblica e può anche dare una testimonianza positiva a favore della fede cristiana, la Pasqua celebrata di domenica nasce dalla volontà di staccarsi dal sabato biblico e continua ad avere ancora oggi questo senso.
Note:
(1) A. Omodeo , Saggi sul Cristianesimo antico , Edizioni Scientifiche, Napoli, 1958, pp. 490,491.
(2) Policrate , Lettera a Vittore , vescovo di Roma, cit. in Eusebio, Storia ecclesiastica , V. 24. 2-8.
(3)«Lettera di Costantino alle chiese riguardo il Concilio di Nicea», cit. in Eusebio , The Life of Constantine, libro. iii, capp. 18, 19, trad. in NPNF , 2 a , Vol. I, pp. 524, 525.
(4) Eusebio , Storia ecclesiatsica, 7.19.
(5) «Lettera di Costantino …», op. cit .
Antigiudaismo e Roma
«Innanzitutto è apparsa cosa indegna che nella celebrazione di questa santissima festa [di Pasqua] noi dobbiamo seguire la pratica dei giudei [celebrandola il 14 di Nisan) che hanno empiamente profanato le loro mani con un peccato enorme e sono perciò meritatamente afflitti da una cecità dell’anima… Non dobbiamo dunque avere nulla a che fare con la massa detestabile dei giudei, perché abbiamo ricevuto dal Signore una via diversa… Benamati fratelli, adottiamo di un sol cuore questo indirizzo [la celebrazione della risurrezione sempre di domenica], e asteniamoci da ogni partecipazione alle loro meschinità…
Perciò, visto che era necessario correggere questa questione, in modo da non avere niente a che spartire con la nazione di patricidi che uccisero il loro Signore e visto che la soluzione offerta è in armonia con l’osservanza di tutte le chiese nelle parti occidentali, meridionali e settentrionali del mondo, e anche in alcune chiese orientali: per queste ragioni, in questa attuale circostanza, tutti unanimemente pensano che la soluzione sia degna di essere adottata. Ed io stesso assumo che questa decisione riceva l’approvazione delle vostre Sagacità, nella speranza che le vostre Saggezze ammetteranno con gioia tale pratica – che è seguita sia nella città di Roma e in Africa, attraverso l’Italia, in Egitto, Spagna, Gallia, Britannia, Libia e in tutta la Grecia… – con totale unità di intendimento» ( Lettera di Costantino sul rispetto delle decisioni del Concilio di Nicea sulla controversia pasquale) .