47 – Bisogna sempre dire la verità?

bugia

«Ci sono due specie di bugie», spiega la fatina dai capelli turchini a Pinocchio, «quelle che hanno le gambe corte e quelle che hanno il naso lungo. E le tue, per l’appunto, sono quelle che hanno il naso lungo». Nelle Avventure di Pinocchio, Collodi è affascinato dalla metamorfosi della marionetta di legno in un «ragazzo perbene», in un «bel fanciullo coi capelli castani e gli occhi celesti»; è attraverso la menzogna che il burattino vorrebbe diventare un bambino in carne e ossa. Può la bugia offrire forza per vivere?

Tutti riconoscono che dire menzogne sia un fatto riprovevole; mentire intenzionalmente a se stessi e agli altri è riconosciuto generalmente come un atto non lecito che getta un’ombra cupa sull’esistenza altrui e, nei casi di falsa testimonianza, perfino la condanna. Eppure a tutti è capitato di «simulare», di «mascherarsi» dietro verità nascoste o bugie tacite! Ma è sempre possibile dire la verità? Oppure accade spesso che il gioco tra verità e menzogna diventa ambiguo e incerto?
Maria Bettetini, professore di storia della filosofia medievale all’università Ca’ Foscari di Venezia, autrice di una Breve storia della bugia, da Ulisse a Pinocchio (R. Cortina, Milano, 2001) ritiene che l’inganno appartenga alla logica dell’essere vivente; perfino gli animali mentono quando, nella lotta per la vita, invece di attaccare, si nascondono. Proprio il fatto di nascondersi diventa il modello della menzogna; è interessante notare che, presso i greci, la verità è «non nascondimento» (aletheia).

I bugiardi vanno scoperti

Dagli Stati Uniti giunge la notizia di una nuova «macchina della verità», molto più sofisticata che permetterà di scovare più facilmente i bugiardi. Le ricerche di Paul Ekman, professore di psichiatria all’Università di San Francisco, California il quale ha studiato in un primo momento il comportamento non verbale e poi le espressioni del viso e della fisiologia delle emozioni, hanno contribuito a rendere la «macchina della verità» ancora più attendibile. Nel suo libro Telling lies, (Dire menzogne), W.W. Norton editor, New York, 1997, ha dimostrato che è possibile scoprire il comportamento ingannevole dei bugiardi ascoltando e osservando il «linguaggio» del corpo, l’intonazione della voce e le espressioni facciali, perché le bugie possono, anche se in modo impercettibile, alterare la voce e un sorriso sincero permette di contrarre i muscoli del viso in modo diverso.
Marian Stewart Bartlett, giovane ricercatrice presso l’Institute for Neural Computation dell’Università di California, è andata ancora oltre, dedicandosi all’analisi di immagini facciali dall’apprendimento non controllato (face image analysis by unsupervised learning). In contrasto con l’approccio tradizionale, il suo metodo permette di determinare in anticipo certe reazioni utilizzando il calcolo algoritmico. La ricercatrice sta ultimando un software per scomporre l’immagine in piccolissime parti che, studiandole a una a una, sarà possibile scoprire i muscoli attivati. Secondo gli esperti la potenza di calcolo dei nuovi microprocessori e il perfezionamento del programma potranno raggiungere un’attendibilità del 99 per cento.
Perché un simile accanimento per scovare i bugiardi? Gli inquirenti sono preoccupati per l’aumento della delinquenza e sperano di poter scoraggiarla tramite una macchina della verità più attendibile, un supporto indispensabile secondo loro nella lotta alla criminalità.

La menzogna come difesa

La menzogna però non riguarda solo la giustizia. Una società complessa come la nostra impone in un certo senso dei «travestimenti», piccole «balle» che quotidianamente siamo costretti a recitare. La menzogna diventa uno stratagemma per sopravvivere o un vizio, una barriera che l’individuo costruisce per trovare un equilibrio tra l’ideale e la realtà, tra l’individuo e gli altri. «Che si tratti di meritarne la stima», dice il filosofo francese Vladimir Jankélévitch, «o di allontanarne la concorrenza, che sia la risorsa della mia vanità piuttosto che l’ostacolo ai miei interessi, l’altro, soltanto mediante la pressione del nostro entrare in rapporto, induce in me la tentazione di fare dei maneggi» (La menzogna e il malinteso, R. Cortina ed. Milano, 2000).
Ci possono essere menzogne socialmente accettate, come quelle relative alla nostra «immagine», ma ce ne sono che possono pregiudicare le relazioni interpersonali: il «millantato credito» e il «raggiro» sono configurati come reati socialmente dannosi e moralmente inaccettabili.
Ci sono poi le menzogne serie, crudeli e spietate. «Non si mente mai» dice Jankélévitch, «senza volerlo». La manipolazione della verità porta alla cecità più completa. La maschera dietro la quale l’individuo si nasconde finisce per incollarsi alla persona: egli si convince della sua bugia al punto da considerarla verità. In questo modo dalla normalità si passa al delirio, stato mentale in cui il mondo viene percepito come falso. Il «delirio persecutorio» di un individuo deriva dall’idea che tutto il mondo gli è ostile.
Nel rapporto tra le persone, la menzogna e il malinteso seguono un percorso parallelo, esiste una logica affinità tra questi due comportamenti. La menzogna conduce al malinteso e questo, per essere riparato, «necessita di un’audace menzogna o di una dolce e imbarazzante dissimulazione».
David Nyberg, autore di Varnished Truth, (university of Chicago press, 2001) mostra quanto sia complicato, sul piano speculativo e clinico dire sempre la verità: una vita senza autoinganno sarebbe intollerabile come sarebbe invivibile un mondo in cui tutti dicono la verità in modo indiscriminato. È quasi impossibile dire tutto quello che passa per la nostra mente se si vuole mantenere una certa cortesia sociale; alcuni addirittura ritengono che una piccola dose di inganno ci aiuti ad affrontare meglio lo stress, l’incertezza e l’insicurezza. Tutto non si può dire, allora. Ci sono dei segreti che ogni persona custodisce per sé e chiede che la sua intimità sia rispettata.

La verità a volte è un dilemma

Durante l’occupazione nazista, la signora Hasel, una cristiana sincera, nascose in casa un ragazzo di dodici anni di nome Fritz che non aveva fatto nulla di male ma era un ebreo. Un ufficiale della Gestapo bussò alla sua porta e in modo diretto disse: «Signora Hasel, nasconde Fritz in casa sua?». Come rispondere? La verità poteva significare la morte del giovane. Poteva ingannare le guardie?

L’importanza dei segreti

Secondo il medico svizzero Paul Tournier «il diritto al segreto è una prerogativa fondamentale della persona» (Le secret p. 30). Ci sono alcune categorie di persone che sono tenute al «segreto professionale», medici, sacerdoti, pastori, avvocati, psicologi ecc. Rispettare il segreto, fosse anche quello del proprio figlio, implica il rispetto per tutta la persona. Fare intrusione nella sua intimità significa violare un segreto e quindi la sua persona. Ogni tentativo di carpire, con la forza o con l’astuzia, il segreto dell’altro, arreca un marchio di disonore, ogni divulgazione di un segreto, per interesse o per viltà, affonda le sue radici nel totalitarismo.
Francesca rientra a casa dalla scuola, è la prima volta che va a scuola da sola, la mamma ha ritenuto che fosse grande abbastanza. Ma al rientro la mamma la tempesta di domande: «È andato tutto bene?», «eri da sola o con le tue amiche?», «sei andata dal lato destro della strada o da quello sinistro?». Tutte queste domande mettono Francesca a disagio e si chiede per quale ragione la mamma si mostra così apprensiva mentre la considera abbastanza grande per andare a scuola da sola. «Dal marciapiede destro» risponde. Invece aveva utilizzato il marciapiede sinistro. Ha detto una menzogna? Francesca ha percepito quel fiume di domande come una indiscrezione. La bambina che cresce deve a poco a poco diventare autonoma, affrancarsi dalla figura dei genitori e avere una sua individualità propria. Per questo motivo P. Tournier dice che il segreto è una «prerogativa fondamentale della persona»
Tuttavia se ogni persona ha diritto di non raccontare un’esperienza, un desiderio, un’aspirazione che la riguarda, scegliere di rivelare i propri segreti, in un clima di fiducia, di amicizia e rispetto, può diventare un evento fecondo e interessante. Quando una persona si sente compresa, non giudicata, apre i cassetti della mente dove custodisce, come perle preziose, la parte di sé più intima. Questa apertura negata ad alcuni, ma riservata all’amico, all’amica, al coniuge costituisce il fondamento per il raggiungimento di quell’equilibrio psicofisico che permette di vivere nella più completa onestà e autenticità.
Questa è stata l’idea provocatoria dello psicologo Brad Blanton presentata nel suo libro Radical Honesty, how to transform you life by telling the Truth (Perfetta onestà, come trasformare la tua vita dicendo la verità). Si tratta di una guida rivoluzionaria per fare della verità il mezzo per ridurre l’ansietà e lo stress, per vincere lo scoraggiamento, per incoraggiare una relazione più coinvolgente e intima. L’onestà e la verità sono alla base di ogni rapporto, negli affari, in politica e tra gli individui.
«La verità vi farà liberi» perché la menzogna è collegata al malinteso, alla manipolazione, in fondo alla violenza. Agostino di Ippona nel suo trattato Contro la menzogna arriva a questa conclusione: «Quanto alla menzogna dunque, o la si evita comportandoci rettamente, o la si confessa e ci si pente».

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