“Ma voi non è così che avete imparato a conoscere Cristo. Se pure gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Ef 4: 20-24).
Nella comunità osserviamo con frequenza persone che si comportano sempre nello stesso modo, sebbene questo modo procuri loro sofferenza e frustrazione, come se seguissero un destino predeterminato. Accanto a persone che amano la vita, incuriosite da cose nuove e da cui si lasciano entusiasmare, ci capita di osservarne altre, in maggioranza, che sembrano girare in circolo, vivendo la comunità senza raggiungere mai ciò che desiderano. Sono persone disponibili, che da anni, probabilmente, continuano ad avere un ruolo importante nella comunità, ma sono spente, prive di energia, poco inclini ai cambiamenti.
Uomini e donne, portatrici di un copione descrittivo e di una specifica patologica: particolare attenzione al passato e a scelte di vita personali e religiose, che inibiscono ogni tentativo di riqualificazione della comunità alla luce della grazia di Dio: “Sono anni che faccio parte del gruppo dirigenziale, conosco bene la situazione e mi sono prodigato per la chiesa e pertanto chi meglio di me…”; “Abbiamo fatto sempre così, che motivo c’è per cambiare”; “Non capisco perché le cose devono cambiare, anche la comunità di… segue le medesime modalità”; “E’ trent’anni che frequento la chiesa e non capisco perché adesso bisogna cambiare…”, ecc…
Conseguentemente, in ogni incontro comunitario da decenni ci confrontiamo con la stessa liturgia, o servizi religiosi, con le medesime “litanie” e lamentazioni, le stesse espressioni, gli stessi slogan, ecc…
La ragione per cui non riusciamo a liberarci del “copione” sta nel fatto che in fondo ci siamo talmente affezionati che quasi abbiamo paura di tradirlo. E’ diventato in qualche modo la nostra sicurezza, dove è possibile muoversi senza correre il pericolo di sbagliare, di perdere la vita eterna. “Sii fedele fino alla morte” (Ap 2:10) è diventata “un’espressione copione”, ricca di particolari che ci permettono di rimanere ancorati al passato, ad una religiosità e formulazione dottrinale atemporali, povere di significato e soprattutto dell’incontro personale verso cui siamo chiamati ad essere fedeli, ovvero Cristo Gesù.
Piuttosto che essere legati alla persona di Cristo, tendiamo a reiterare obsoleti schemi liturgici che si richiamano a figure pioneristiche, perpetuando inconsapevolmente le loro memorie e inibendo, in questo modo, ogni gesto o anelito al risveglio e alla riforma. Forse non siamo poi così lontani dal mondo farisaico!
Io credo nella “Ecclesia semper reformanda est” (La Chiesa deve essere sempre sottoposta a riforma), ovvero «riorganizzazione, cambiamento delle idee, dei principi a cui s’ispirano le azioni, le abitudini e i comportamenti» (E. G. White 1SM, p. 128).