Tratto dal libro “Ascolta la Parola”
Il termine trinità non è di origine biblica. Ma si è ritenuto che questa parola fosse la migliore possibile per far riferimento al Dio unico, che ha rivelato se stesso nelle Scritture quale Padre, Figlio e Spirito Santo.
Questo concetto suggerisce l’idea che all’interno dell’essenza unica della divinità, dobbiamo distinguere tre persone che non sono tre parti, o tre espressioni di Dio, bensì tre persone distinte e coeterne. Alcuni avranno la tendenza a opporsi a questa dottrina in quanto non è espressamente enunciata nelle Scritture. Ma benché possa apparire a prima vista contraddittoria, occorre non rifiutarla in partenza, con il pretesto che non ha senso, perché senza di essa molte affermazioni bibliche perderebbero di significato.
Una rivelazione ancora velata
Il contributo essenziale dell’Antico Testamento alla dottrina della trinità è la sua insistenza sull’unicità di Dio. Dio non è uno tra i tanti (cfr. Esodo 20:2,3). Egli è il solo, l’unico: «Il SIGNORE, il nostro Dio, è l’unico SIGNORE» (Deuteronomio 6:4).
L’ebraico usa il termine echad per indicare sia il numero cardinale «primo» («primo giorno» Genesi 1:5) sia un’unità composita, invece per un’unità semplice utilizza yachid. Per esempio, per descrivere il matrimonio, la Bibbia dice: «Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne» (Genesi 2:24). L’espressione «una stessa carne» (lebasar echad) implica un’unità plurale: i due coniugi sono uniti pur rimanendo personalità distinte (cfr. per echad Genesi 11:6; Esdra 2:64; Isaia 42:8; per yachid Genesi 22:2,12,16; Geremia 6:26).
Tuttavia già nell’Antico Testamento noi troviamo un insegnamento implicitamente trinitario, come se Dio preparasse lentamente e progressivamente la via a una piena rivelazione della sua natura. La dottrina della trinità non è la sola in queste condizioni. Ci sono anche altre verità cristiane importanti, quali la morte sostitutiva di Cristo o il millennio. Nonostante si debba fare attenzione a non leggere il Nuovo nell’Antico Testamento, queste referenze sono
molto più numerose di quanto non sembri a prima vista.
Fin dai primi versetti della Bibbia, Dio e lo Spirito di Dio appaiono come distinti. Per cui si legge che, quando Dio creò i cieli e la terra, lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque (Genesi 1:1,2). Si fa allusione ripetutamente allo stesso Spirito di Dio in altri brani dell’Antico Testamento (Genesi 41:38; Esodo 31:3; 1 Samuele 10:10; Isaia 61:1). Lo Spirito di Dio, o lo Spirito del Signore, dà la vita (Giobbe 33:4). Ha ispirato Mosè e i profeti (Numeri 11:24; 2 Cronache 15:1), ha spinto persone all’azione (Giudici 13:25) e ha parlato per mezzo dei profeti (2 Samuele 23:2).
Consideriamo il testo di Isaia 48:16 in cui il Servo del Signore, il Messia promesso, dichiara: «Avvicinatevi a me, ascoltate questo: fin dal principio io non ho parlato in segreto; quando questi fatti avvenivano, io ero presente; ora, il Signore, Dio, mi manda con il suo Spirito».
Qui vengono menzionate tre persone. Il Messia promesso parla del Signore che lo ha mandato e dello Spirito per il quale è mandato. Si tratta di chiare allusioni – a dispetto di un contesto fortemente monoteista – all’unicità di Dio, al carattere distinto delle tre persone menzionate e alla complementarietà che esiste tra di loro.
Tutto questo si avvicina molto ad un’affermazione trinitaria. Lo stesso avviene per i frequenti riferimenti «all’angelo del Signore». Dio è presentato come un mediatore divino che appare sotto forma umana e parla faccia a faccia con personaggi dell’Antico Testamento. Per due volte aiuta e incoraggia Agar (Genesi 16:7-14; 21:17). A due riprese chiama dal cielo Abraamo (Genesi 22:11,15-19). È l’angelo del Signore che appare a Mosè nel pruno ardente e che identifica se stesso con il Signore (Esodo 3:2-6). Questo stesso angelo ha protetto Israele nel suo esodo dall’Egitto (Esodo 14:19,20; 13:21). Moltissime volte in queste narrazioni, l’angelo è chiamato: Signore, benché sia inviato di Dio (Esodo 23:20; 32:34). Si parla di lui come «del Signore e dell’angelo del Signore».
Tutto ciò suggerisce una volta di più una chiara anticipazione della rivelazione completa della trinità così come si trova nel Nuovo Testamento, come se questo insegnamento fosse stato accuratamente tenuto in serbo per essere rivelato a tempo debito.
Dilemma per gli apostoli
Tutto si chiarisce quando si arriva al Nuovo Testamento, dove sembra che l’incarnazione di Gesù, la crocifissione, la risurrezione, la venuta dello Spirito Santo alla Pentecoste – e il suo influsso nella chiesa – abbiano portato gli apostoli a chiedersi come rendere conto di questi avvenimenti pur mantenendo la fede in un Dio unico. Come può Dio essere uno e trino? È possibile conciliare sia l’unicità di Dio sia la divinità di Cristo? L’evento Cristo pone una domanda irrisolvibile.
Gli apostoli non pensavano minimamente di contestare la divinità del Padre e la sua personalità (1 Corinzi 1:3; 8:4,6; 15:24; Galati 1:1,3); Gesù stesso li aveva spesso esortati a sottomettersi al Padre che è nei cieli (Matteo 6:1; 7:11; 18:14; 23:9) e parlava di lui come Dio.
In Matteo 6:26 Gesù ricorda a chi lo ascolta che il nostro Padre celeste nutre gli uccelli del cielo e, al v. 30, che il nostro Dio riveste l’erba dei campi. Gesù conclude dicendo che non dobbiamo preoccuparci di quello che mangeremo, di quello che berremo e di che cosa ci vestiremo, «perché il vostro Padre celeste sa di che cosa avete bisogno» (vv. 31,32). È evidente che per Gesù, Dio e il «vostro Padre celeste » sono espressioni interscambiabili che descrivono una persona al di fuori di se stesso.
Per cui Gesù e il Padre sono due persone distinte. Questo fatto viene sottolineato in diversi brani nei quali il Signore parla del Padre come di suo Padre (Matteo 7:21; 10:32,33; 11:27; Luca 10:22; 22:29; Giovanni 5:17; 6:32) e si rivolge a lui dicendo semplicemente «Padre»
(cfr. Matteo 11:25,26; Marco 14:36; Luca 22:42; Giovanni 17:1,5,21,24).
Non solo il Padre è chiamato Dio, ma gli attributi che lo caratterizzano appartengono solo a lui. Egli è santo (cfr. Giovanni 17:11,25), sovrano (Matteo 6:10; 11:25; Luca 10:21), eterno (Giovanni 5:26; 6:57), onnipotente (Marco 14:36; Apocalisse 3:21), glorioso (Matteo 16:27; Efesini 1:17) e onnisciente (Matteo 6:8; Marco 13:32; Luca 12:30). Si deve adorare il Padre (Giovanni 4:23; Efesini 3:14). Chi è santo, onnipotente, eterno, glorioso, onnisciente e degno di essere adorato se non Dio stesso?
Non fu però facile per i primi cristiani di origine giudaica riconoscere la divinità di Cristo; tuttavia gli scritti del Nuovo Testamento confermano questa radicale inversione di marcia, attribuendogli tutti i titoli. Facendo eco alle rivendicazioni implicite di Gesù alla divinità (Giovanni 8:58; 17:5; Marco 2:1-12), i primi cristiani parlano di lui come Dio (Tito 2:13; Ebrei 1:8; Romani 9:5) e lo chiamano spesso Signore (Atti 11:16; 19:17; 22:10; Romani 1:4,7; 10:9; Filippesi 4:5), non esitando, all’occasione, a usare superlativi quali: «Il Signore di tutti» (Atti 10:36), «il Signore della gloria» (1 Corinzi 2:8), «Gesù nostro Signore» (1 Corinzi 9:1), «nostro Signore e Dio» (Apocalisse 4:11), «il Signore dei signori» (Apocalisse 17:14; 19:16).
Scritto all’incirca sessantacinque anni dopo la risurrezione del Signore, il vangelo di Giovanni inizia con la seguente affermazione: «La Parola era con Dio, e la Parola era Dio» (1:1). Anche qui, il Figlio è chiaramente distinto dal Padre. Tuttavia esiste tra di loro una stretta comunione, infatti la preposizione greca pros (con) non esprime solo una prossimità fisica, ma ancor più un’intimità di rapporto tra il Padre e il Figlio. Questo stesso punto di vista risalta in Filippesi 2:5-11, dove Paolo descrive Gesù prima della sua incarnazione come esistente «in forma di Dio» (v. 6).
In questo brano, l’apostolo utilizza un termine greco che indica la somma delle caratteristiche che fanno di una cosa ciò che è – cioè la «sostanza» – e non semplicemente la forma o l’apparenza esteriore. Il Cristo è celebrato come eterno (Matteo 28:20; 1 Giovanni 1:2), non creato, nato da nessuno (Giovanni 1:1; Apocalisse 22:13), santo (Ebrei 7:26; 1 Pietro 1:19; Apocalisse 3:17), immutabile (Ebrei 1:12;13:8), onnipresente (Matteo 28:20; 18:20). Dobbiamo stupircene? Come il Padre, egli è impegnato nelle opere divine della creazione (Giovanni 3:35; Colossesi 1:16), della provvidenza (Giovanni 3:35; Colossesi 1:17; Ebrei 1:3), del perdono dei peccati (Matteo 9:1-8); Colossesi 3:13) della risurrezione e del giudizio (Matteo 25:31-46; Giovanni 5:19-29; 2 Timoteo 4:1,8), della dissoluzione finale e del rinnovamento di ogni cosa (Filippesi 3:21; 2 Pietro 3:8- 13; Apocalisse 21:5).
Aggiungiamo che se il Padre è degno di adorazione, altrettanto lo è Gesù Cristo. «Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode», cantano gli esseri celesti (Apocalisse 5:12). Ed è proprio volontà del Padre «che tutti onorino il Figlio come onorano il Padre » (Giovanni 5:23). Gli angeli stessi, su richiesta del Padre, sono chiamati ad adorare Gesù (Ebrei 1:6). Nei brani menzionati – e in altri ancora – Gesù non è visto come un semidio, una parte di Dio o come uno simile a Dio ma, nel senso pieno del termine, come vero Dio.
Molto spesso gli autori biblici sottolineano l’unità essenziale e l’uguaglianza che esistono tra il Padre e il Figlio. Tuttavia, non ci autorizzano a concludere che Dio è a volte Padre e a volte Figlio. Sono tutte e due al tempo stesso uguali e chiaramente distinti.
La misteriosa terza persona
Che ne è dello Spirito Santo? È anch’essa una persona distinta dal Padre e dal Figlio? Senza dubbio il termine Spirito non suggerisce in modo così diretto la nozione di personalità come lo fanno le espressioni «Figlio di Dio» o «Dio Padre». Oltre a ciò, contrariamente al Figlio di Dio,
lo Spirito Santo non è venuto in mezzo a noi come un essere umano. Si può capire perché nel corso della storia, alcuni cristiani abbiano negato la personalità dello Spirito.
Tuttavia non possiamo non rimanere colpiti dall’insegnamento continuo del Nuovo Testamento sulla personalità dello Spirito. Spesso si è detto che questi brani non erano che semplici personificazioni dello Spirito e che di conseguenza non implicassero la nozione di personalità. Ma questo genere di spiegazione difficilmente si armonizza con le affermazioni bibliche. Si noti, per esempio, che lo Spirito Santo parla di se stesso in prima persona. Dice a Pietro, parlando dei servitori di Cornelio, «io li ho inviati» (Atti 10:20), e, alla chiesa di Antiochia, a proposito di Paolo e di Barnaba, «io li ho chiamati » (Atti 13:2). Chi, se non una persona, può dire «io»? D’altronde lo Spirito agisce come solo una persona può fare: parla (Atti 8:29), insegna (Luca 12:12), attesta (Atti 20:23), rivela (Luca 2:26), sonda (1 Corinzi 2:10,11), invia (Atti 13:2), guida, conduce e dirige (Atti 8:29; 11:12), annuncia le cose future (Giovanni 16:13) e testimonia (Romani 8:15,16).
Nell’originale il termine Spirito, pneuma, è grammaticalmente neutro. In greco, i pronomi che si riferiscono a un termine neutro sono normalmente anch’essi neutri (Giovanni 14:17,26; 15:26). Ma quando, a più riprese, si trovano i pronomi che si riferiscono a pneuma al maschile, si è obbligati a concludere che lo Spirito non è semplicemente la potenza di Dio o una personificazione di quest’ultimo, ma che gli apostoli hanno voluto sottolineare la personalità dello Spirito Santo. Ed è quanto è accaduto molte volte (cfr. Giovanni 14:26; 15:26; 16:13).
Anche in quest’ultimo caso viene descritto non solo come una persona, ma come una persona distinta dal Padre e dal Figlio (Giovanni 14:16,26; 15:26). Se lo Spirito Santo è una persona, è egli Dio? Sicuramente, almeno agli occhi degli autori del Nuovo Testamento. Non solo è onnisciente (1 Corinzi 2:10,11), ma le sue opere sono quelle di Dio stesso.
Dalle Scritture apprendiamo che è lo Spirito Santo a parlare ai nostri padri per bocca dei profeti (Atti 28:25), che rende testimonianza della verità che è in Cristo (Giovanni 15:26), che fortifica la fede (1 Corinzi 6:19), che convince il mondo del giudizio divino (Giovanni 16:8-11), che rigenera o dà nuova vita (Giovanni 3:8), che santifica (2 Tessalonicesi 2:13; 1 Pietro 1:2) e accorda alla chiesa i doni legati al ministero (1 Corinzi 12:4-11). È una persona divina.
Su un piano di uguaglianza
Senza la minima esitazione – perché così è stato rivelato – gli apostoli mettono lo Spirito Santo sullo stesso piano di uguaglianza del Padre e del Figlio. Non solo il Padre e il Figlio sono menzionati congiuntamente come degni di adorazione e d’onore (1 Corinzi 1:3; 2 Tessalonicesi 1:12; Efesini 5:5; 2 Pietro 1:1), ma altresì lo Spirito Santo è presentato con loro fin dall’origine, fonte stessa della grazia che Dio accorda. Nei primi scritti di Paolo come negli ultimi, le tre persone sono menzionate insieme come fonti di benedizioni e di salvezza (cfr. 1 Tessalonicesi 1:2-5; 2 Tessalonicesi 2:13,14; 1 Corinzi 12:4,5; Efesini 2:18; 3:2-6).
Questa unione e uguaglianza tra le tre persone della divinità, sono sottolineate nella maniera più esplicita da Paolo: «La grazia del Signore Gesù Cristo e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Corinzi 13:13). È anche il punto di vista di Gesù: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Matteo 28:19). L’importanza eccezionale di questa dichiarazione sta nel fatto che essa afferma in modo impressionante l’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito collegandoli strettamente con l’espressione «nel nome di» (al singolare) pur mettendo l’accento sul loro carattere specifico per mezzo della ripetizione dell’articolo definitivo davanti a ognuno di loro.
Conclusione
Dio è uno. Ci sono tre persone, ma un solo Dio. Anche se apparentemente contraddittoria, quest’affermazione è tuttavia in armonia con le Scritture, che mostrano poco interesse per le formulazioni puramente speculative sull’unicità di Dio. I numerosi sforzi che sono stati fatti per tentare di spiegare questo concetto hanno portato allo sviluppo delle teorie triteiste e modaliste di Dio (le triteiste negano l’unità dell’essenza divina, le modaliste negano la realtà di tre persone distinte in seno alla divinità). Tutte le obiezioni razionali e le speculazioni umane si confondono perché tentano di spiegare il Creatore in termini di creatura e l’unicità di Dio in termini di unità matematica.
Mentre i cristiani, basandosi sulla Bibbia, imparano a conoscere Dio così come egli stesso si è rivelato in essa. Non si stupiscono di fronte a un elemento che rimane un mistero, perché Dio è Dio e noi siamo solo esseri umani. Noi crediamo, in armonia con le Scritture che Dio è uno, ma anche che in lui e per l’eternità c’è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: un solo Dio in tre persone.
La divinità di Gesù, insegnata nel Nuovo Testamento e proclamata dalla chiesa primitiva, è stata oggetto di disputa teologica per alcuni secoli prima di raggiungere una parola finale con la confessione di fede di Nicea (nel 325): «Cristo è Unigenito Figlio di Dio [monogenès uiòs], nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre».
Nel 1530 La confessione augustana manifesta il completo accordo sul decreto del Concilio di Nicea: «… c’è un’unica essenza divina la quale è chiamata ed è Dio, eterno, incorporeo, indivisibile, d’immensa potenza, sapienza, bontà, creatore e conservatore di tutte le cose visibili e invisibili; e tuttavia che sono tre le Persone, della medesima essenza e potenza, e coeterne: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. E si usa il termine Persona con il significato con cui lo usarono, a questo proposito, i Padri della chiesa, per indicare non una parte o una qualità inerente a un altro essere, ma quel che esiste di per sé» (La confessione augustana del 1530, Claudiana, Torino, p. 115).