24 – Il Canone Biblico

0501063La fede cristiana non è una filosofia ma una rivelazione. Non è cioè frutto di una saggezza umana, per quanto elevata, ma di un dialogo personale che Dio ha voluto stabilire con gli uomini attraverso i profeti e gli apostoli. Se non fosse così, tutta la nostra fede non avrebbe altro che un valore ipotetico. Sarebbe certamente un’ipotesi bellissima, ma rimarrebbe sempre e soltanto un’ipotesi. In questo caso il Cristianesimo non sarebbe neppure sorto o sarebbe stato qualcosa di totalmente diverso: difficilmente avremmo avuto la storia bellissima delle migliaia e migliaia di uomini e donne che per la loro fede hanno offerto la vita. Se hanno saputo fare questo è solo perché hanno creduto nel «Così dice il Signore», tanto caro ai profeti.

Si comprende dunque perché riteniamo tanto importante stabilire i confini precisi della Bibbia, il libro che raccoglie i messaggi profetici e apostolici: dobbiamo sapere con certezza ciò che reca il sigillo dell’autorità divina e ciò che invece deriva dalla speculazione umana. La questione è così importante che l’ultimo libro della Bibbia afferma: «Io lo dichiaro a ognuno che ode le parole della profezia di questo libro: se alcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe descritte in questo libro; e se alcuno toglie qualcosa dalle parole di questa profezia, Iddio gli torrà la sua parte dell’albero della vita e della città santa» (Apocalisse 22:18,19).

Il Cristianesimo attuale sta attraversando una fase di profonda crisi in rapporto al suo stesso fondamento: la Bibbia. Bisogna comprendere bene che non esiste fede cristiana senza la Bibbia la quale ha questa importanza proprio perché rappresenta il mezzo attraverso cui Dio ha parlato agli uomini. Oggi, molti cristiani stanno perdendo questa consapevolezza del valore divino delle Sacre Scritture. Il concetto di ispirazione risulta molto sfumato e la Bibbia viene vista soltanto come un importante documento storico che testimonia della fede del popolo d’Israele prima e della chiesa poi.

In questa prospettiva si va perdendo il valore di Bibbia come «canone» regola di fede, e si corre il rischio di una relativizzazione del valore della legge biblica e della speranza cristiana. In tale prospettiva tende anche a cadere la distinzione tra libri canonici, deuterocanonici e apocrifi: se la Bibbia è solo un documento della fede d’Israele e della chiesa, allora anche gli altri libri sono documenti di questa stessa fede.

Pertanto abbiamo bisogno di conoscere quali libri racchiudono un’autorità divina e quali invece sono solo il frutto di una iniziativa umana. Oggi, in modo particolare, la determinazione a rifiutare come parte della Bibbia i libri deuterocanonici si lega alla difesa della Bibbia come fondamento della fede cristiana.

Il Canone Biblico

La storia di come la Bibbia raggiunse la sua forma attuale è troppo lunga e complessa per essere narrata qui. Possiamo però esaminare alcune delle questioni più importanti, specialmente se limitiamo la nostra attenzione al canone cristiano.

La parola “canone” viene dalla parola sumerica per “canna”. Originalmente si riferiva a qualcosa fatto di canna o diritto come una canna. Ora viene usata per indicare un corpo autorevole di sacri scritti avente l’autorità suprema per un dato gruppo religioso. Il canone giudaico consta delle Scritture ebraiche. Il canone dell’Islam del Corano. Il canone cristiano contiene le Scritture ebraiche (Antico Testamento) e una raccolta aggiuntiva di documenti originariamente scritti in greco (Nuovo Testamento).

Al tempo di Cristo c’erano tre raccolte di documenti aventi autorità nella comunità giudaica: la “Legge”, i “Profeti” e gli “Scritti”. Gesù le accettava tutte e tre come divinamente autorevoli, come facevano i Farisei del suo tempo. (I Sadducei accettavano solo la Legge.) Queste Opere rappresentavano le Scritture originali della chiesa primitiva. Quando gli scrittori del Nuovo Testamento parlavano di “Scritture” era a questi documenti che pensavano (cf. Gv 5:38,39; Lc 24:27; At 18:24; 2 Tim 3:16).

La chiesa cristiana aggiunse gli scritti del Nuovo Testamento formando il canone attuale, attraverso un processo graduale che non fu completato prima del quarto secolo dopo Cristo. Diversi fattori spinsero la chiesa primitiva a formulare una lista aggiuntiva di libri ai quali attribuivano la più alta autorità religiosa.

Il fattore più importante fu la morte degli Apostoli. Questi occupavano una posizione estremamente significativa nella chiesa primitiva. Paolo ne parla come del fondamento della chiesa, insieme con i Profeti (Ef 2:20), e come del più importante tra i doni dello Spirito Santo (1 Cor 12:28). La ragione di ciò stava nella loro relazione eccezionale con Gesù. Gli Apostoli erano i testimoni del ministero di Gesù. Essi portavano la testimonianza autentica, autorevole della sua vita, della sua morte e della sua resurrezione. Di fatto, attraverso la loro opera e le loro parole, il ministero di Gesù veniva continuato nel mondo.
Tutti gli Apostoli dovevano avere due caratteristiche: il contatto personale con Gesù è la divina ordinazione per il loro lavoro. Quasi tutti gli Apostoli originali erano stati, naturalmente, tra i dodici discepoli di Gesù. Dopo la morte di Giuda, gli Undici, con la guida divina, di fra molti uomini che avevano conosciuto Gesù durante la sua vita terrena, scelsero Mattia perché prendesse il suo posto (At 1:21-26). Gli Apostoli si appellavano spesso al loro rapporto con Cristo per dare autorità al loro messaggio (cf. 2 Pt 1:16; 1 Gv 1:1-3).

Tra gli Apostoli Paolo era un caso speciale, fatto di cui egli stesso era chiaramente consapevole. Egli non aveva conosciuto Gesù durante la sua vita terrena, ma affermava di essere stato testimone dell’apparizione del Risorto (1 Cor 15:8) ed era deciso sul fatto che la sua vocazione all’apostolato era di origine divina (Gal 1:1).

Visto che gli Apostoli costituivano un “legame vivente” con Gesù, la loro predicazione era essenziale per la chiesa. Man mano che morivano i loro scritti diventavano il solo modo in cui la loro testimonianza era accessibile. Fu così del tutto naturale che la chiesa attribuisse a questi scritti la stessa autorità che aveva riconosciuto alla predicazione degli Apostoli.

Ecco dunque cosa rappresenta il Nuovo Testamento: la memoria della testimonianza apostolica su Gesù. I primi Cristiani accettarono come autorevoli solo documenti scritti da un Apostolo in persona o da un suo stretto collaboratore. Marco, ad esempio, era un amico intimo di Pietro; Luca era un collaboratore di Paolo. In questo modo la testimonianza degli Apostoli continua a guidare la chiesa e a proclamare Cristo al mondo.

Autorità Canonica

L’autorità del Nuovo Testamento deriva da quella degli Apostoli(1), ma l’autorità degli Apostoli viene da Gesù. Così i Cristiani fondano il loro atteggiamento verso il Nuovo Testamento sulla loro fede in Gesù Cristo. Essi credono che la vita di Gesù sia stata una realtà assolutamente unica. In lui Dio si è reso personalmente presente agli uomini in un modo mai realizzato prima e che mai si realizzerà dopo. Di conseguenza, la testimonianza di coloro che hanno testimoniato della storia di Gesù è similmente eccezionale e irripetibile. Questo fatto ha tre importanti conseguenze.

Primo: il canone è chiuso. Nessuno scritto post apostolico può avere lo stesso significato perché nessuno scrittore posteriore può avere avuto un rapporto personale con Gesù.

Secondo: l’autorità degli Apostoli non può essere trasmessa da una generazione all’altra. L’ufficio apostolico non era una funzione istituzionale. Era una attività per la quale poteva qualificarsi solo la prima generazione di Cristiani perché soltanto essi potevano avere avuto familiarità con Gesù mentr’era in terra. I primi Cristiani formularono il canone proprio perché riconoscevano il carattere irripetibile dell’opera degli Apostoli.

Terzo: la Bibbia ha autorità sulla chiesa cristiana. E’ vero che il canone è creazione della chiesa. Durante i primi quattrocento anni dopo Cristo i Cristiani scelsero di mezzo a un gran numero di scritti diversi quelli che dovevano essere accolti come autorevoli. Il Nuovo Testamento che conosciamo riflette il consenso universale che la chiesa raggiunse verso la fine del quarto secolo. Non vi furono dubbi riguardo alla maggior parte dei documenti del Nuovo Testamento. I quattro Vangeli, Atti, le lettere di Paolo, 1 Giovanni e 1 Pietro furono accettati ovunque fin dal principio. C’erano diversi scritti accettati per qualche tempo da alcuni Cristiani ma non da tutti. Alcuni conquistarono alla fine un consenso generale e furono inclusi nel canone. Altri non vi riuscirono e furono alla fine lasciati fuori.

Una lettera scritta da Atanasio di Alessandria, uno dei vescovi egiziani, elenca nel 367 d.C. i “libri che sono canonizzati e che ci sono stati trasmessi e creduti di origine divina.” Inclusi sono l’Antico Testamento e i ventisette libri del Nuovo Testamento (2).

Tuttavia, il fatto che la chiesa abbia creato il canone non significa che la chiesa abbia autorità sulla Bibbia. Creando un canone, la chiesa non conferì autorità ad alcuni scritti ma riconosceva la loro autorità (3). Di fatto, ciò che portò alla creazione del canone, fu proprio la convinzione che questi scritti avevano autorità sulla chiesa (4).

Conclusione

«Il punto fondamentale da cui deve partire l’esperienza di una comunità cristiana è la Bibbia. Solo nella Bibbia Dio ha rivelato il suo carattere, i suoi scopi, il suo piano per la salvezza dell’uomo. Certo, la natura e la stessa coscienza umana possono fornire delle tracce della presenza del Signore nel mondo, ma per diversi aspetti sono indicazioni contraddittorie.

La religione cristiana è per definizione una religione rivelata; essa non è il frutto di una scoperta “interiore”, ma si basa su una lettera d’amore, a volte scomoda, che Dio ha indirizzato all’uomo. Certo, anche nella Bibbia è possibile osservare punti poco chiari, a volte è necessario inserire questa rivelazione divina nel suo contesto storico. Ma è un dato di fatto che l’uomo trova in essa il piano di Dio, la consolazione per la sua sofferenza, il coraggio per affrontare l’oggi, la speranza per un domani migliore. Soprattutto vi trova l’amore di Dio che più di ogni altra cosa si è concretizzato nell’esperienza di Gesù Cristo, vissuto, morto e risorto per la salvezza dell’umanità. La chiesa avventista, come altre denominazioni, accetta la Bibbia nella sua totalità: l’Antico Testamento secondo il canone ebraico e il Nuovo secondo il canone cristiano» (V. Fantoni e R. Vacca).

Nota: I manoscritti

Esiste oggi qualche manoscritto originale della Bibbia? No! Nessuno, come non esistono quelli di Omero o di Pindaro, di Cesare o di Cicerone. Per quanto ne sappiamo, tutti questi documenti di valore inestimabile sono andati smarriti da lungo tempo. Probabilmente si sono dissolti in polvere già molti secoli fa. Per fortuna in quei tempi molto lontani, degli uomini pii ne compresero l’importanza e li copiarono. Poi, con il passare dei secoli, furono copiati moltissime volte e oggi, nei grandi musei e nelle biblioteche del mondo, si conservano in gran numero questi documenti antichi o parti di essi.

Quasi sempre il lavoro di copiatura veniva eseguito con una cura così meticolosa che le differenze dovute a errori di trascrizione, differenze rilevabili a un confronto tra le copie, sono così lievi da non incidere sul significato del testo.

È interessante ricordare che intorno all’anno 500 d.C. un gruppo di sapienti israeliti, i Massoreti, si assunse il compito di garantire la trasmissione esatta dal testo dell’Antico Testamento alle generazioni future. Questi studiosi stabilirono delle regole precise che tutti i copisti avrebbero dovuto seguire da quel tempo in poi. Nessuna parola, nessuna lettera doveva essere scritta a memoria. L’amanuense doveva considerare attentamente ogni parola, e leggerla ad alta voce prima di trascriverla. Si doveva perfino contare le parole e le lettere di ogni periodo, e se queste non corrispondevano a quelle del testo che il copista aveva sott’occhio, il lavoro veniva scartato e si ricominciava daccapo. Grazie alla preoccupazione degli studiosi moderni di ricostruire il più fedelmente possibile il testo originale, ogni manoscritto biblico scoperto nel tempo presente viene studiato con paziente abilità. Di qui l’entusiasmo straordinario che suscitò nel 1947 la notizia del ritrovamento di un numero notevole di antichissimi manoscritti in una caverna nei pressi del mar Morto (rotoli di Qumran). Questo interesse si accrebbe ancora quando gli studiosi annunciarono che i rotoli di Isaia e di altri autori dell’Antico Testamento, da poco scoperti, erano di parecchi secoli più antichi di qualunque manoscritto trovato in precedenza, risalendo probabilmente al secondo secolo a.C. Quindi i manoscritti più antichi che si conoscono, cioè le copie di alcuni libri dell’Antico Testamento, risalgono a poco più di un centinaio di anni prima di Cristo.

Anche del Nuovo Testamento non si conosce alcun documento originale. L’Evangelo autografo di Giovanni varrebbe oggigiorno un regno, ma nessuno sa dove sia. È probabile che sia finito bruciato durante una delle feroci persecuzioni subite dalla chiesa. Provvidenzialmente dei cristiani devoti fecero numerosissime copie dei libri del Nuovo Testamento, delle quali circa 4.500 sono custodite nei musei e nelle biblioteche di molti paesi del mondo. Il più antico manoscritto di tutto il Nuovo Testamento è un minuscolo frammento che si trova nella biblioteca di John Rylands, a Manchester, Inghilterra. Si tratta di un testo incompleto del vangelo di Giovanni (18:31-33,37,38), che misura solo cm 6,2×8,7. Fu scritto in Egitto durante la prima metà del secondo secolo, a meno di cinquant’anni dalla morte dell’autore.

Il Codice Vaticano è probabilmente la più antica copia quasi completa della Bibbia. Il suo nome deriva dal fatto che il manoscritto è custodito nella Biblioteca Vaticana sin dal 1481. Ben poco si sa della sua storia prima di questa data, ma gli specialisti ci dicono che esso appartiene alla prima metà del quarto secolo.

Un altro manoscritto di gran valore custodito nel Museo Britannico è il Codice Sinaitico, scoperto nel 1844 dallo studioso tedesco Costantino Tischendorf nel monastero ortodosso di S. Caterina sul monte Sinai. Gli specialisti lo fanno risalire all’incirca alla metà del quarto secolo, sicché esso ha più o meno la stessa età del Codice Vaticano.

Un terzo manoscritto di notevole pregio, denominato Codice Alessandrino e custodito anch’esso nel Museo Britannico, data dalla prima metà del quinto secolo d.C. Oltre a questi tre grandi volumi giuntici dai primi secoli, si sono pure conservati centinaia di altri frammenti del Nuovo Testamento d’importanza vitale. Molti di essi sono venuti alla luce negli anni recenti. Ognuno di questi manoscritti, appena scoperto, è stato studiato criticamente dagli specialisti del Nuovo Testamento, per poter stabilire un testo greco che rassomigli il più possibile all’originale perduto.

Di conseguenza, sebbene non esista più nessuno degli scritti originali di Mosè, di Davide, di Isaia, di Matteo, di Marco, di Giovanni, ecc., si può affermare nondimeno con sicurezza che l’attuale testo ebraico dell’Antico Testamento e quello greco del Nuovo sono tanto accurati quanto hanno potuto renderli uomini dalla più alta capacità, onestà e devozione.

È interessante notare che per i classici della letteratura l’intervallo di tempo tra la loro redazione e il più antico manoscritto giunto fino a noi è addirittura enorme: quattordici secoli per le tragedie di Sofocle, altrettanti per Eschilo, Aristofane e Tucidide, sedici per Euripide e Catullo, tredici per Platone, dodici per Demostene!

Note:
(1) Oscar Cullman stabilisce la relazione tra apostolicità e canonicità qui presentata nel suo saggio “The Tradition”, in The Early Church: Studies in Early Christian History and Theology, ed. A.J.B. Higgins (ed. riass.; Philadelphia: The Wenstiminster Press, 1966), pp. 59-99.
(2) F.W. Beare, ” Canon of the NT”, in The Interpreter’s Dictionairy of the Bible, ed. George Arthur Buttrick (4 voll.; New York: Abingdon Press, 1962), 1:531.
(3) Detto con le parole dello studioso della Bibbia F.F. Bruce, “I libri del Nuovo Testamento non divennero autorevoli per la chiesa per il fatto di essere formalmente inclusi in una raccolta canonica; al contrario la chiesa li incluse nel suo canone perché già li considerava come divinamenste ispirati” (The New Testament Documents: Are They Reliable? [5a ed. riv.; Grand Rapids, Mich.: William B. Eerdmans Publishing Co., 1960], p. 27).
(4) Come osserva Oscar Cullman, “La fissazione del canone cristiano delle Scritture significa che la chiesa stessa, a un dato tempo, tracciò una linea di demarcazione chiara e definita tra il periodo degli Apostoli e quello della chiesa, tra il tempo della fondazione e quello della costruzione, tra la comunità apostolica e la chiesa dei vescovi, in altre parole, tra la tradizione apostolica e la tradizione ecclesiastica. Diversamente la formazione del canone non avrebbe avuto senso” (“The Tradition”, p. 59; il corsivo è suo).

Questo studio è stato tratto da:
– R. Rice, “The Reign of God”.
– “Ascolta la Parola” a cura di Giuseppe Marrazzo, Ed. AdV, (Falciani – Impruneta Firenze).
– “Dal Canone agli Apocrifi”, tratto Dal Cristianesimo al Cattolicesimo, Ed, AdV, (Falciani – Impruneta Firenze).

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