Non è una minaccia, ma una promessa
«Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti» (At 17:30,31).
L’apostolo Paolo si trova sulla collina rocciosa che sorge di fronte all’Acropoli di Atene. In mezzo alla folla riunitasi per udire quello che ha da dire, ci sono filosofi e passanti impazienti di cogliere ogni barlume di notizia nuova e solleticante. Paolo inizia parlando delle pratiche religiose che ha avuto modo di osservare nella città e indica ai presenti l’unico vero Dio, il creatore del cielo e della terra, la fonte di ogni forma di vita. Poi alza i toni fino all’affermazione che rappresenta l’apice del suo discorso: «Il giorno del giudizio sta per arrivare!». Un messaggio che risuona in tutta la Bibbia. Dio, l’arbitro morale dell’universo, chiamerà uomini e donne a rapporto e nessuno potrà fuggire o nascondersi. La gente può provare a negarlo, a escluderlo dalla propria cosciente prospettiva, ma resta il fatto che il giudizio sta per venire!
«Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male» (2 Cor 5:10).
«Poiché il Signore eserciterà il suo giudizio con fuoco e spada, contro ogni carne; gli uccisi dal Signore saranno molti» (Is 66:16). Lo ha insegnato anche Gesù: «Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio» (Mt 12:36). L’ingiustizia dilaga in questo nostro corrotto pianeta; troppo spesso ai poveri non vengono riconosciuti i loro diritti, mentre chi può permettersi avvocati di grido e costosissimi la fa franca. Viviamo in un’epoca contraddistinta dall’iniquità, nella quale la disumanità dell’uomo nei confronti dei suoi simili non conosce limiti, e il male sembra inarrestabile, mentre la verità «resta sempre sul patibolo, e l’errore sul trono».( J.R. LOWELL, The Present Crisis, 1844.)
Ma il Signore dice a noi come all’umanità tutta: «Il giorno del giudizio sta per arrivare!». La malvagità non proseguirà impunita in eterno e la giustizia non continuerà a essere negata o alterata.
Il Signore prenderà in pugno la situazione e chiamerà a rapporto tutti gli esseri umani.
Restare saldi
Dopo l’olocausto, molti ebrei abbandonarono la fede in Dio. Di fronte a quello che a loro pareva il silenzio divino, non riuscirono più a credere.
Ma il problema ha radici ben più antiche e si affaccia più volte nella Scrittura, particolarmente nel Salmo 73, dove l’autore ammette candidamente la propria angoscia mentre vede prosperare quanti hanno rifiutato Dio: «Ma quasi inciamparono i miei piedi; poco mancò che i miei passi non scivolassero. Poiché invidiavo i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi» (vv. 2,3).
Persone che non dedicano un sol pensiero al Padre sembrano godere di una vita più che positiva, segnata da salute, spensieratezza, benessere, orgoglio, violenza, sopraffazione, malizia, arroganza (vv. 4-12). «Com’è possibile che Dio sappia ogni cosa, che vi sia conoscenza nell’Altissimo?» (v. 11).
Comprendere era davvero faticoso per il salmista, ma è un peso gravoso anche per noi oggi.
La risposta, per lui e per noi, ci arriva da queste parole: «Finché non sono entrato nel santuario di Dio, e non ho considerato la fine di costoro» (v. 17).
Per il salmista, il santuario lo rassicurava che Dio era vivente, si trovava sempre sul trono e secondo i suoi tempi e i suoi modi avrebbe posto fine al regno del peccato e del male. Dio avrebbe reso giustizia a ogni cosa.
Il santuario celeste nel quale Gesù assolve alla sua funzione di Sommo Sacerdote ci dà la stessa certezza. Il mondo non durerà in eterno, i crimini che attraversano la società moderna, le bassezze di uomini e donne un giorno saranno posti al vaglio dal Signore dell’universo. «Il giorno del giudizio sta per arrivare!».
In molte chiese cristiane la dottrina del giudizio è pressoché scomparsa; e anche se i fedeli possono riempirsi la bocca con le parole dell’antico credo: «Egli viene per giudicare i vivi e i morti»; il concetto è ormai stato svilito nella loro esperienza. Gli avventisti, però, ritengono questa verità biblica una componente vitale della loro teologia.
Vediamo il nostro messaggio raffigurato in quello dei tre angeli di Apocalisse, che proclamano a tutto il mondo: «Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio. Adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque» (Ap 14:7).
Notare la corrispondenza con il messaggio di Paolo pronunciato presso l’Aeropago, quando esortò i presenti a pentirsi; il nostro messaggio invita tutti a «temere Dio e dargli gloria». Paolo dice che Dio ha stabilito un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia; noi predichiamo, «l’ora del suo giudizio è venuta».
Trasformati dalla grazia
Per finire, Paolo ha affermato che Dio avrebbe giudicato il mondo per mezzo dell’Uomo cui si era affidato, colui che era risorto dai morti, Cristo.
Il messaggio che gli avventisti devono annunciare al mondo è centrato su Gesù. È il «vangelo eterno», la buona novella del Dio fattosi uomo che ha conquistato la nostra salvezza e che sta per tornare. Egli è colui che ha fatto «il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque» (Ap 14:7), perché «ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta» (Gv 1:3). Il tema centrale del giudizio riguarda la nostra relazione con Gesù; non possiamo salvarci con le nostre forze, nemmeno con lo sforzo più grande. Quando il nostro nome risuonerà nelle corti celesti dal libro infallibile, l’intera nostra vita sarà messa a nudo – tutto ciò che abbiamo fatto e quello che abbiamo omesso di fare, le nostre parole e i nostri pensieri più intimi – e una domanda avrà la precedenza su tutte le altre: Che cosa ne abbiamo fatto del Figlio di Dio? «Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3:17,18). Il libro in cielo, nel quale sono registrate le nostre esistenze, se da solo non può dare alcuna speranza, è comunque importante perché rivela la direzione che abbiamo preso. Siamo deboli e fallaci; proviamo ma cadiamo, e poi cadiamo ancora. Ma con tutti questi arresti e ripartenze, la grazia di Dio ci sta trasformando; un cambiamento che avviene silenziosamente e quotidianamente, ogni volta che l’immagine di Dio viene rinnovata in noi.
Camminando al fianco di Gesù, donandoci a lui ogni giorno, nutrendoci della sua Parola e cercando di vivere per dargli gloria, diventiamo come lui.
Un marito e una moglie che si amano profondamente iniziano a somigliarsi nelle abitudini ma anche nell’aspetto, e così le persone che amano Gesù assumono le sue sembianze.
«E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito» (2 Cor 3:18). Ci sono avventisti che temono il giudizio; vivono nel dubbio e nell’ansia di non essere trovati abbastanza buoni per essere ammessi nel cielo. Caro lettore, sei anche tu uno di questi? Permettimi di darti una risposta franca che arriva direttamente dalla Bibbia: non sei buono abbastanza. Non potrai mai farcela da solo. Ma Gesù lo è e se lo hai scelto come Signore e Salvatore, egli prende il tuo posto.
Il padre vedrà solo la giustizia perfetta del Figlio quando ti guarderà, non il curriculum macchiato della tua vita. Ma le cose stanno davvero in questo modo? Confida nella Parola del Signore, che ci assicura: «Avendo dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato.
«Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno» (Eb 4:14-16).
Il messaggio finale di Ellen G. White, scritto nel 1914, era indirizzato a una persona travagliata da dubbi e paure di non essere accettata da Gesù: «Ha il privilegio di poter confidare nell’amore di Gesù per la salvezza, nel modo più sicuro, nobile e assoluto; di dire “egli mi ama, mi riceve; io confiderò in lui perché ha dato la sua vita per me”» – TM, p. 517.
Che grande consolazione!
Quale meravigliosa certezza! Il trono di Dio nel cielo è un trono di grazia! La grazia è la nostra speranza vivente, la nostra salvezza. La vera bella notizia è questa: «Il giorno del giudizio sta per venire». Lodiamo Dio.