06 – Cancellati dal soffio della grazia

Far cadere l’accusatore dei fratelli è solo l’opera di un soffio

Bonita Joyner Shields

Immagine172La nostra storia si svolge nel Tempio, l’ottavo giorno della Festa dei tabernacoli, il giorno destinato a essere quello della «santa convocazione». Dio aveva ordinato che nessuna opera abituale fosse compiuta in quel giorno.
I capi religiosi osservavano questo comandamento, almeno formalmente. Volevano far cadere in trappola Gesù e usare una vittima vulnerabile per adempiere un dovere non è un’opera abituale. Pensavano di proteggere la loro nazione e la legge dall’inganno di un uomo che non poteva essere il Messia, che non aveva le giuste credenziali. Perciò non importava quali mezzi usassero per compiere il loro dovere; contava solo il risultato: screditare Gesù.
No, invece, sebbene i capi religiosi non fossero impegnati quel giorno in un compito abituale, tuttavia operavano. Ma per conto di chi?

Una donna colta in adulterio

«All’alba tornò nel tempio, e tutto il popolo andò da lui; ed egli, sedutosi, li istruiva. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio» (Gv 8:2-4).
Gesù era nel tempio, seduto istruiva il popolo quando i capi religiosi gli portarono una donna. Per essere precisi la trascinarono lì. L’avevano strappata dal suo letto per esibirla nelle strade, come esempio di ciò che accade a chi trasgredisce i comandamenti di Dio. E sono sicura che ritenevano fosse loro dovere umiliarla, sputarle addosso, fare in modo che le madri spiegassero alle loro giovani figlie, mentre lei passava, che cosa non dovevano diventare da adulte.
Dopo tutto lo meritava, non è vero? Era una prostituta.
Con lei in piedi davanti alla massa di persone nel Tempio, i suoi accusatori si avvicinarono a Gesù e lo interrogarono, «Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?» (vv. 4,5).
Quanto dicevano era esatto, quasi.
La legge affermava che se un uomo era sorpreso a dormire con la moglie di un altro, o se la donna era una vergine promessa sposa, la donna doveva essere lapidata (Dt 22:22-24; Lv 20:10). Ecco quanto gli accusatori avevano mancato di riconoscere e di ammettere.

1. Questa donna non era sposata.
2.  La legge affermava che, sia l’uomo, sia la donna che commettevano adulterio dovevano essere lapidati. Dov’era l’uomo?
3. La legge esigeva dei testimoni che avessero visto il fatto. Per quanto tempo gli accusatori erano stati là attorno per avere una conferma di ciò che stava realmente accadendo?

Gli accusatori stavano là, in attesa, sicuri di aver portato Gesù proprio dove volevano loro. Se avesse detto «Lasciatela andare», sarebbe stato accusato di non osservare la legge. Se avesse detto «Lapidatela,» sarebbe stato accusato di porre la sua autorità al di sopra di quella dei Romani che non consentivano ai Giudei di eseguire le loro sentenze a morte.
Gesù non disse nulla, ma iniziò a scrivere per terra con un dito. Gli accusatori, sempre più impazienti, gli si fecero intorno, ma, avvicinatisi, i loro occhi caddero sul terreno, e furono presi da un moto di paura. Là, davanti a loro nella polvere, erano scritte le colpe segrete della loro vita. Questo maestro come poteva conoscere i recessi più oscuri delle loro anime? Li avevano tenuti nascosti così bene coi loro abiti eleganti e con le loro ben costruite reputazioni. Gesù disse loro, «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8:7).
Gli accusatori restarono senza parole. Non era questa la risposta che si attendevano. Ora erano loro a essere sotto giudizio. Se avessero scagliato una pietra, avrebbero con questo affermato di essere senza peccato. Umiliati, pieni di vergogna, messi a nudo dinanzi alla folla, corsero via incapaci di sopportare la presenza di colui che conosceva ogni loro pensiero.

L’accusatore dei fratelli

In Ebraico il nome Satana significa «accusatore» e la Bibbia si riferisce a lui come all’accusatore dei fratelli. Nel giardino fu lui ad accusare Dio di mentire. Fu lui, in piedi nell’assemblea di Dio, ad accusare Giobbe di servire Dio solo per quello che avrebbe potuto guadagnarci. È lui che accusa te e me di essere così indegni per essere accettati da Dio.
Questi uomini, in qualità di accusatori della donna, stavano comportandosi come agenti di Satana. Ogni volta che ci leviamo ad accusare altri, noi lasciamo che lo spirito di Satana operi per nostro mezzo.
Ma via! Quella donna lo meritava. Era una prostituta! Ovviamente io non l’avrei messa in mostra in mezzo a una strada, ma certo le avrei fatto capire quanto fosse terribile ai miei occhi quello che aveva fatto. Avrei potuto invitarla in chiesa, ma mi sarei accertata precisamente di come si sarebbe vestita e comportata.
Ma noi potremmo anche non aver a che fare con una donna di strada. «Hai sentito di Johnny ? non posso credere che abbia ancora il coraggio di dirsi Cristiano Avventista e…» «Non voglio parlare di Dona, ma qualcuno deve mantenere alti gli standard».
Sfortunatamente, una volta o l’altra, tutti noi abbiamo ricoperto il ruolo di accusatore, un ruolo che l’uomo interpreta molto agevolmente. Tuttavia Dio non ci scherza sopra per nulla.
Ellen White afferma: «Cercare qualche macchia nel carattere dei seguaci di Cristo, parlare delle loro colpe ed esagerare i loro errori è l’opera di Satana. È lui l’accusatore dei fratelli e tutti quelli che s’impegnano in quest’opera mostrano di esser mossi dallo stesso spirito» (Review and Herald, 6 novembre 1883).
Siamo in guerra, fratelli e sorelle e l’accusatore dei fratelli combatte fino all’ultimo respiro, pronto a far preda del maggior numero possibile di persone. Se vogliamo vincere, dobbiamo smettere di dirigere le nostre armi gli uni contro gli altri e di sparare ai nostri stessi feriti. Dobbiamo essere attenti al modo in cui ci trattiamo e avvicinarci a coloro che abbiamo offeso. Apocalisse 12:11,12, secondo alcuni teologi il culmine della rivelazione di Giovanni, ci dice che sconfiggeremo Satana, l’accusatore, grazie al potere di Gesù e condividendo le nostre esperienze, non accusando i nostri fratelli e le nostre sorelle. Infatti la maggior parte delle persone che conosco e lasciano la Chiesa avventista, lo fanno per ragioni che non hanno nulla a che vedere con le dottrine. Lasciano perché sono stati feriti dalla critica e dalla condanna di altri. Tuttavia, se non possiamo essere responsabili delle scelte di chi lascia la chiesa, possiamo ancora lottare per essere più simili a Cristo, per non condannare né condonare.

La risposta di Gesù

Quando gli accusatori della donna lasciarono il tempio, quella mattina, lei si era rannicchiata su se stessa per la paura. Attendeva di sentire, da un momento all’altro,il dolore delle pietre che le stavano per essere lanciate. Invece, mentre l’ultimo dei suoi accusatori se ne stava andando, Gesù si sollevò dalla sua posizione china sulla polvere e, con un tono pieno di compassione, le disse:«donna, dove sono quei tuoi accusatori?Nessuno ti ha condannata?» (Gv 8:10). La donna si alzò lentamente, vide che gli accusatori se n’erano andati e, incredula, rispose: «Nessuno» (v.11).
Gesù, il Figlio di Dio senza peccato, avrebbe potuto scagliare la prima pietra. Aveva ogni diritto di elencare tutti i peccati che Maria avesse commesso. Perché non lo fece? Dopo tutto questa era una buona occasione per imprimere nella sua mente la gravità della sua disobbedienza alla legge. Invece scelse la grazia. «Neppure io ti condanno», disse Gesù. «Va e non peccare più» (v. 11).

Non condannare né condonare

Perché Gesù si fece sfuggire quest’occasione d’oro per dire delle cose sensate a questa donna? Non giudicando le sue azioni, di fatto non ci passava sopra troppo alla leggera?
Dopo il loro peccato, Adamo ed Eva si nascosero, perché il peccato produce timore e vergogna. Perciò ci nascondiamo.Non c’è bisogno di richiamare l’attenzione sul nostro peccato, ce ne rendiamo conto molto presto: Satana ci ha presi in trappola. L’accusatore ci condanna. Di cos’altro c’è bisogno? Questa donna conosceva il proprio peccato: il timore, la vergogna il senso di isolamento la tenevano saldamente in loro possesso. Sapeva cosa significasse nascondersi, nascondersi da Dio, dalla famiglia, da se stessa. Per questo le parole di perdono di Gesù la liberarono dalla morsa della paura e della vergogna. Gesù quel giorno le offrì la grazia, la libertà. Una libertà che proveniva dalla forza di un amore senza condizioni.
Se l’incolpevole Figlio di Dio poté offrire perdono invece che punizione, grazia invece che disonore, chi siamo noi per offrire di meno? Con la potenza della grazia Gesù cercò di avvicinarla a sé. Non aveva più bisogno di nascondersi. La invitò allora a obbedire alla sua parola per tutta la vita. Le offrì di diventare non solo il suo Salvatore, ma anche il suo Signore. Sì, noi siamo chiamati a camminare nel sentiero dell’ubbidienza alla sua parola, ma lo facciamo perché abbiamo ricevuto e continuamente riceviamo un amore che non condanna. Non ubbidiamo per ricevere quell’amore in cambio.
È la grazia di Cristo che ci dà la forza di ubbidire, ed è il nostro amore, non la nostra condanna, che consoliderà i nostri fratelli e le nostre sorelle in Cristo.

L’opera più vera

Siete pronti per mettervi al lavoro? Volete unirvi a Dio nella sua opera di grazia che consiste nell’abbattere l’accusatore dei fratelli rafforzandovi reciprocamente ? Non si tratta di un lavoro abituale, certo. Ma i mezzi per compierlo sono stati forniti quando le cose scritte nella polvere furono soffiate via per noi da colui che conosce ogni nostro pensiero e, nonostante questo, ci ama ancora.

Bonita Joyner Shields è vice redattore della Adventist Review.

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