Dott.ssa Mirela Puscu – Psicologa, Psicoterapeuta
Il mestiere di un genitore, questo affascinante e non facile mestiere, vecchio come il mondo e pur sempre nuovo, è un mestiere mai appreso a sufficienza. Essere genitori, vuol dire assumersi l’onere e la responsabilità della crescita dei figli lungo un percorso che non permette rassicuranti certezze. Si diventa genitori quando nasce un figlio, ma lo status generativo in senso psichico lo si conquista lungo tutto l’arco dell’evoluzione dei figli. Come tutti gli atti creativi, il mestiere di genitore, invita alla ricerca di soluzioni sempre nuove. Se preferite, il fare o l’essere genitore, pone costanti interrogativi, invita alla ricerca di soluzioni sempre nuove, mette cioè in quella condizione di cui si può dire che l’unica cosa certa è l’incerto . Fare il genitore, e soprattutto cercare di farlo bene, vuol quindi dire vivere in una dimensione creativa, sfuggendo la sicurezza del certo, che spesso copre atteggiamenti rigidi e soluzioni precostituite, e saper rispondere a esigenze sempre nuove. Tutto ciò, è bene dirlo, indica un percorso tutt’altro che facile! Direi che si impara a diventare genitori in una scuola che non esiste, con dei maestri che no ci sono; sono le difficoltà in cui spesso ci si imbatte a fornire lo stimolo alla ricerca di soluzioni alternative e a sostenere la spinta ad essere genitori migliori.
Inizierei questa mia conversazione con una frase un po’ provocatoria che potrebbe essere di segno contrario rispetto a quanto forse molti desiderano. Vi propongo una frase che suona così: “La cosa più importante che potete fare per aiutare i vostri figli a crescere bene è conoscere voi stessi” . Non intendo sostenere che non sia importante saperne di più su molte cose che riguardano i figli, come ad esempio, le caratteristiche delle tappe dello sviluppo psicologico, le eventuali motivazioni che sono alla base di comportamenti incomprensibili o degli scopi di un comportamento disturbante. È buona cosa essere genitori informati, è utile conoscere molte cose. Centro però dell’azione educativa non è la conoscenza dell’altro, cosa peraltro necessaria, ma la conoscenza di se stessi. Che cosa vuol dire conoscenza di se stessi ? Ci basti dire, per il nostro scopo, che conoscere se stessi vuol dire essere in contatto con le proprie emozioni. L’esperienza dimostra, infatti, che possiamo incontrare genitori adeguati, anche se scarsamente informati; adeguati perché in contatto e consapevoli del proprio mondo emotivo. Non sempre ci è chiaro ciò che proviamo; talvolta ci sfuggono i significati profondi di certe emozioni, magari anche intense, suscitate dalle azioni educative. Abbiamo quindi bisogno di riconoscere quegli aspetti che in modi non perfettamente chiari influenzano il nostro agire. È il riconoscere ciò che sta alla base delle nostre emozioni che i permette di operare le necessarie ed opportune correzioni per conquistare una maggior armonia. È infatti il far passare l’indifferenziato del sentire emotivo al differenziato della consapevolezza che può aiutare il processo di cambiamento. Diventare genitori migliori vuol dire accettare la logica del cambiamento ; chi dichiara “io sono fatto così, sono gli altri che devono cambiare” si condanna alla rigidità che chiude le porte a possibili miglioramenti. I cambiamenti nel ruolo del genitore sono continui, ma la direzione verso cui orientarli può risultare chiara solo dopo aver riconosciuto i significati emotivi che stano alla base del nostro sentire emotivo.
Un esempio potrà aiutarci a chiarire meglio quanto più sopra affermato. Un genitore mi dice che segue con attenzione, costanza, “senza dare tregua” la propria figlia diciannovenne nello studio delle lingue in vista di un inserimento in una scuola straniera. È deciso a far montare un’antenna parabolica per la ricezione di emittenti straniere e afferma che la figlia “deve passare in cuffia 5-6 ore tutti i giorni”. Tutto questo perché “deve prepararsi con scrupolo, non può fallire”. La ragazza appare in evidente difficoltà; non riesce a ribellarsi al padre, accetta le sue proposte senza riuscire a riconoscere che tutto ciò la porta a detestare il padre che la obbliga a ritmi per lei innaturali. Vive in uno stato di tensione, non riesce a dormire, è afflitta da cefalee e altri malesseri psicosomatici. Il padre non riesce a riconoscere l’estremismo delle proprie posizioni che sono vissute come il bene della figlia. Poco incisivi sono gli inviti alla moderazione. Poniamoci la domanda, tanto ovvia a chi osserva con preoccupazione la situazione della ragazza: che cosa si potrebbe fare per aiutare questo padre a comprendere le esigenze della figlia e a divenire, con qualche cambiamento, un padre più adeguato? L’idea immediata potrebbe portarci a pensare all’opportunità di informarlo del disagio e della tensione della figlia; tali spiegazioni però, non sortirebbero l’effetto desiderato, potrebbero anzi far nascere un’insoddisfazione per avere una figlia così debole e poco determinata! Le conseguenze sul piano educativo sarebbero facilmente prevedibili. Intuite ciò che si potrebbe fare? Dare informazioni sulla figlia serve poco; l’unica possibilità realistica per aiutare il padre dovrebbe passare per il riconoscimento dei pensieri, ansie, timori che sono alla base di un investimento emotivo così massiccio sul futuro della figlia. Solo il riconoscimento di ciò che internamente viene sollecitato da questa situazione potrebbe favorire un cambiamento.
Il discorso portato su noi genitori è indubbiamente più scomodo. È sempre più rassicurante parlare dell’altro, capirne magari i difetti e sperare di poterli correggere. Ci vuole del coraggio a spostare l’attenzione su di noi. Spesso il discorso sulle nostre caratteristiche porta a pensare che l’invito a riconoscere gli aspetti del nostro mondo interno equivalga ad indirizzare il discorso verso l’ammissione delle sole “colpe” per errori che si possono commettere educando i figli. Noi siamo condizionati dalle categorie del giudizio, ci risulta difficile capire un discorso che propone la sospensione delle categorie valutative. Abbiamo sempre bisogno di capire di chi è la colpa per condannare o espiare. Questa è la logica dell’immobilismo e non si cresce con questa logica. Dobbiamo imparare a sospendere le categorie del giudizio, capire gli aspetti del nostro mondo interno per essere in grado di leggere, senza filtri deformanti troppo marcati, le situazioni che stimo vivendo. Tutto questo non sminuisce l’importanza della conoscenza delle realtà psicologiche dell’altro; pretende soltanto di guardare ai fenomeni nel campo dell’educazione da una corretta prospettiva. Mi auguro quindi che quanto diremo sia da voi utilizzato come stimolo ad un’azione introspettiva che, pur senza giungere a livelli di elevata profondità, possa aiutarvi nel cammino dell’autoconoscenza.
Oltre all’autoconoscenza possiamo dire che per svolgere nel modo migliore il mestiere di genitore possiamo servirci di alcuni strumenti che la Psicologia ci mette a disposizione, però con una piccola controindicazione da tenere presente: essere buoni genitori non vuol dire ‘ psicologizzarsi ‘ la vita relazionale coi figli, ma, semplicemente tenere presente alcuni punti basilari.
Un presupposto psicologico fondamentale è che l’atteggiamento, il modo di essere, la personalità del padre e della madre sia fondamentale per lo sviluppo della personalità del proprio figlio; il figlio, in qualche misura, risentirà di come è stato impostato il rapporto, quindi, nel bene e nel male i genitori, influenzano i figli con la loro individualità, con le loro problematiche rimosse e non rimosse, con le loro emozioni e affettività repressa e non repressa, con i loro difetti e virtù, desideri e bisogni. Un altro aspetto fondamentale da tenere presente è il fatto che ogni genitore, in merito del suo unico modo di essere crea un rapporto unico, esclusivo e irripetibile tra sé e il proprio figlio. Perciò, paragonarsi ad altri genitori, cercare il manuale perfetto che possa consigliare cosa fare, riferirsi a modelli considerati perfetti, va a togliere la spontaneità e la naturalezza che è di fondamentale importanza nel costruire un rapporto autentico e vero. Procediamo, quindi per gradi, nel tentativo di fornire utili spunti di riflessione a tutti coloro interessati al tema “essere buoni genitori”. Intanto il compito fondamentale dei genitori è favorire l’autonomia e lo sviluppo dei figli in modo armonico e il più possibile vicino alle naturali tendenze emotive e cognitive del figlio. Occorre dare loro sia le radici che le ali.
Sulle problematiche che, in Psicologia Clinica hanno mostrato avere grande valore predittivo nel causare disagio o malessere nei figli vi sono, tra gli altri:
- considerare i figli come unica ragione di vita (spesso capita anche inconsciamente di investire in modo eccessivo su di loro);
- utilizzarli come collante di una coppia in fase di stallo o in crisi;
- prespporre che il figlio diventi quello che il genitore avrebbe voluto essere da giovane;
- vivere un’onnipotenza estrema e desiderio di perfezionismo;
- inoltre, nella relazione genitori-figli, vivere un’eccessiva paura di sbagliare per timore di causare danni psicologici, in realtà, produce un blocco di quel naturale istinto genitoriale che guida il rapporto.
Essere dei buoni genitori significa, anche essere autorevoli. Esercitare l’autorevolezza (che a volte produce sensi di colpa nel genitore che pone divieti e ‘punizioni’) non significa abuso di potere, aggressività e malevolenza nei confronti dei figli. Occorre chiarire, che esercitare l’autorevolezza è uno degli elementi chiave dell’educazione perché, solo attraverso l’imposizione di limiti, confini e regole il bambino/ragazzo riesce a controllare i propri desideri e pulsioni, la propria aggressività; i figli hanno bisogno di un adulto a cui riferirsi per comprendere la realtà e questo, fa sì, che da adulti, essi, possano vivere con una frustrazione non eccessiva le limitazioni che comunque il mondo pone a ciascuno. Però, l’importante è che l’autorevolezza abbia veramente un senso nella realtà; cioè, è necessario non solo imporre dei limiti, dare dei confini e fare rispettare le regole ma spiegarne il motivo tutto ciò.
Nel educare il proprio figlio è sensato che il genitore abbia consapevolezza non solo delle proprie modalità relazionali e del proprio modo di rispondere alle sue richieste ma anche del effetto che tali modalità possano avere sul figlio .
Vediamo, di seguito, gli effetti di alcune risposte tipiche genitoriali:
1) Dare ordini, comandare (Smettila di…)
Questi messaggi comunicano al figlio che i suoi sentimenti o bisogni non sono importanti, egli deve conformarsi ai sentimenti e bisogni dei genitori. Lo inducono a non sentirsi accettato, a temere il potere del genitore e possono provocare sentimenti di risentimento o rabbia che spesso lo inducono a reagire ostilmente, a resistere e a mettere alla prova la reale volontà del genitore.
2) Avvertire, ammonire, minacciare (se lo fai…te ne pentirai)
Questi messaggi possono rendere un figlio timoroso e remissivo. Possono suscitare risentimento e ostilità e possono indurlo a credere che il genitore non abbia rispetto dei suoi bisogni e desideri. Inoltre a volte i figli sono tentati a fare dei test ai genitori per verificare se le conseguenze si avverano.
3) Esortare, fare la predica (Dovresti…è bene che tu…)
Questi messaggi fanno pesare sul figlio il potere esterno dell’autorità, del dovere, degli obblighi e possono fargli nascere sensi di colpa o la sensazione di essere cattivo.
4) Giudicare, criticare, biasimare
Questi messaggi, forse più di tutti gli altri, fanno sentire i figli inadeguati, inferiori, stupidi, indegni, cattivi. L’idea che il figlio si fa di sè stesso si forma attraverso i giudizi e le valutazioni genitoriali. Il figlio giudicherà se stesso nello stesso modo in cui lo giudica il genitore (“Mi ero sentito dire così spesso che ero cattivo ed egoista, che cominciai a pensare di esserlo davvero!”). Inoltre i giudizi inducono i figli a tenere per sè i propri sentimenti e a non condividerli coi genitori.
5) Etichettare, ridicolizzare, umiliare (Non essere un rammollito come tuo padre.!; Sei proprio stupido se fai così.!)
Questi messaggi possono avere effetti devastanti sull’immagine di sè del figlio. Possono far sentire il figlio indegno, cattivo, non amato. La risposta più frequente dei figli è di restituire ai genitori gli stessi messaggi.
6) Interpretare, analizzare, diagnosticare (So io perchè…)
Questi messaggi comunicano al figlio che il genitore lo ha capito, conosce le sue motivazioni o le ragioni del suo modo di essere. Questo modo di psicoanalizzare è per i figli frustrante e intimidatorio. Se l’analisi del genitore è accurata, il figlio si sente in imbarazzo perchè smascherato mentre se è errata il figlio si arrabbia per essere stato ingiustamente accusato. Messaggi come “So io perché.” interrompono bruscamente il desiderio di comunicare del figlio e gli insegnano che è meglio astenersi dal condividere i problemi con i propri genitori.
7) Minimizzare, dire cosa, come e quando devono provare certi stati d’animo (non arrabbiarti, non essere triste, vedrai che tutto si aggiusterà…)
Anche questi messaggi sono poco utili. Rassicurare un figlio quando si sente disturbato da qualcosa, può semplicemente convincerlo che i genitori non lo capiscano. I genitori minimizzano e rassicurano perché loro si sentono a disagio quando il figlio è ferito, arrabbiato, scoraggiato e via dicendo. Quindi, minimizzando si arresta la comunicazione perchè il figlio sente che i genitori vogliono che egli smetta di provare ciò che prova.
8) Sottrarsi, cambiare argomento, scherzare
Questi messaggi comunicano al figlio che non si è interessati a lui, che non si rispettano i suoi sentimenti o addirittura che lo si rifiuta. I figli in genere sono molto seri e decisi quando hanno bisogno di parlare di qualcosa e quando si risponde loro scherzando, possono sentirsi feriti o respinti. I figli, come gli adulti, vogliono essere ascoltati e capiti con rispetto. Se i genitori li ignorano, essi imparano a esprimere altrove i propri sentimenti e problemi importanti oppure gli chiudono dentro di sé non avendo la possibilità di condividerli con nessuno.
Si osserva, ultimamente, una grande sfida che la maggior parte dei genitori si pongono: crescere i propri figli liberi da insicurezze, paure e ansie; una sfida che, però, deve fare quotidianamente i conti con una società che, al contrario, esige sempre di più e in cui la competizione estrema fa pagare prezzi altissimi, anche ai più giovani.
Esistono alcune semplici strategie per crescere un figlio che creda in se stesso e abbia una buona dose di autostima. Come ha giustamente osservato il sociologo Willy Pasini, L’autostima è un fiore che va annaffiato ogni giorno. E questo lo si può fare soprattutto in ambito famigliare.
- I genitori non devono proteggere il proprio figlio dalle difficoltà, bensì aiutarlo a superarle con successo. Così facendo, il bambino impara a contare su se stesso e ad affrontare ogni situazione
- I genitori non devono mai rimproverare il figlio in quanto persona, ma solo eventuali suoi comportamenti sbagliati. Non bisogna mai dire “sei uno sciocco!”, ma piuttosto “hai avuto un comportamento sciocco”, sottolineando il fatto che lui – come persona – vale sempre tantissimo e che la nostra stima per lui non è cambiata ma non condividiamo o non approviamo il suo comportamento.
Inoltre, rimproverarlo di continuo :”Quante volte ti devo dire di mettere in ordine la tua cameretta?” non si ottiene ciò che si desidera, ovvero la sua collaborazione, ma si produce un effetto sgradevole secondario: si insegna a brontolare continuamente! - I genitori devono accettare il figlio con la sua personalità, i suoi errori, i suoi sentimenti. Solo così possono scoprire le sue esigenze, i suoi bisogni e i suoi desideri.
Parlando col vostro figlio non dateli appellativi offensivi: “sei proprio un maleducato, adesso stai zitto e sali in macchina..”. Intimorire il proprio figlio con appellativi sgradevoli è controproducente e potrebbe rivelarsi profetico, perché lo incoraggerà a non rispondere alle vostre aspettative e imparerà a comportarsi di conseguenza.
Oppure dire: “Sei un egoista, perché non riesci a condividere con gli altri?”. Dire a vostro figlio che è un egoista gli fa percepire il suo egoismo come un insormontabile difetto di carattere, e lo autorizza a persistere in questo comportamento. - Di fronte alle sue resistenze o ai suoi pianti, non dobbiamo arrabbiarci o insistere. Non minacciatelo, dicendo: “Smettila di strillare e stai fermo mentre ti vesti, altrimenti le prenderai e allora si che avrai ragione di urlare”. Le minacce spingono vostro figlio a opporre maggior resistenza per mettervi alla prova e vedere se date seguito alle parole coi fatti. Gli insegnano, inoltre, che può ricorrere alla violenza per spuntarla, oppure che con la violenza si ottiene ciò che si vuole.
Come noi, anche i nostri figli hanno bisogno di qualche minuto per calmarsi e osservare la situazione da un nuovo punto di vista. Solo comprendendo le sue emozioni potremo guidarlo verso uno stato d’animo positivo e più produttivo. - Non ricorrete ai ricatti. “Se smetti di urlare e vieni con me ti comprerò la brioche mentre andiamo dalla nonna”. Il ricatto insegna al bambino ad aspettarsi una ricompensa ogni volta che fa capricci. Inoltre, usare il cibo come premio lo spingerà ad associarlo all’amore e alla premura, cosa che potrebbe causare disturbi alimentari o altri problemi legati al cibo.
- Evitate i confronti: “Perché non mi dai retta quando ti dico di fare qualcosa? Sei proprio come tuo padre, anche lui non mi ascolta mai.” Dire al vostro figlio che si comporta come un altro famigliare pone in cattiva luce sia lui che il famigliare e non gli insegna a collaborare. Un altro esempio: “Guarda tua sorella come è brava, si impegna e ha dei bei voti..”. Confrontare vostro figlio con la sorella può far accrescere la rivalità tra di loro e farlo sentire inferiore o inadeguato. Il vostro compito, invece, è aiutarlo a realizzare le sue potenzialità indipendentemente da quello che fanno o non fanno gli altri.
- Non fate la spia: “Quando tuo padre tornerà a casa gli racconterò cosa ai combinato oggi e che non sei stato ubbidiente”. Affermando che riferirete tutto all’altro genitore dimostra a vostro figlio che non siete in grado di farli rispettare le regole e di educarlo, danneggiando la vostra credibilità. Sollecitare la paura dell’altro genitore intacca la capacità di empatia del vostro figlio.
- Non colpevolizzarlo: “Mi hai messo in imbarazzo quando non hai salutato la signora Rossi”. Dicendo al vostro figlio che vi mette in imbarazzo lo fatte sentire responsabile di ciò che voi provate.
- Non sminuitelo: “Non puoi comportarti così, ti sei rimbecillito?” . Alludere ad un problema psicologico non spingerà il vostro figlio a ubbidire ma gli darà un’immagine riduttiva di sé. Inoltre, gli insegnerà a giudicare gli altri e a usare parole dure per descrivere il loro comportamento.
- Non supplicatelo: “Per favore, perché non puoi fare semplicemente il bravo bambino e vai a letto?” . Pregando vostro figlio di fare il bravo bambino commettete 2 errori che vi costeranno cari: alludete a qualcosa che non va in lui e non gli fatte cambiare idea; poiché il comportamento del vostro figlio non può definirlo come persona, meglio evitare espressioni come “bravo” o “cattivo”.
Per essere più consapevoli della propria funzione genitoriale vorrei condividere con voi alcune indicazioni di massima utili a svolgere meglio il ruolo genitoriale, pur ribadendo che quest’ultimo rimane unico ed irripetibile per ogni situazione.
- Cercate di vedere il mondo dal punto di vista di vostro figlio. Mettete da parte tutte le idee che vi siete fatti su di lui e riflettete su chi è vostro figlio, quali sono le piccole grandi prove che affronta quotidianamente, e in che maniera le affronta
- Immaginate come apparite agli occhi di vostro figlio. Se per lui siete genitori severi, affettuosi, invadenti, autorevoli o altro…Questa nuova prospettiva potrebbe modificare il modo in cui vi ponete nei suoi confronti, il modo di parlargli e ciò che dite.
- Accettateli per quello che sono, senza pretendere che siano più simili a voi o a come pensate che dovrebbero essere. Considerateli perfetti così come sono.
- Siate coscienti delle aspettative che avete sui figli e considerate se sono veramente rivolte al loro interesse. Siate consapevoli anche del modo in cui comunicate queste aspettative e di che peso possano avere nella loro vita.
- Ascoltate attentamente ciò che vostro figlio vi dice. Ascoltate con le orecchie, con la testa e con il cuore.
- Imparate a vivere nelle tensioni senza perdere il vostro equilibrio. Vostro figlio ha bisogno di vedere in voi il suo centro di equilibrio e di fiducia, un punto di riferimento affidabile attraverso cui può trovare l’orientamento all’interno del suo paesaggio personale.
- Chiedete scusa a vostro figlio quando vi accorgete di aver tradito la sua fiducia, anche in modi apparentemente insignificanti. Una scusa dimostra che avete ripensato alla situazione considerandola dal punto di vista di vostro figlio. Attenti però a non essere spiacenti troppo spesso; le scuse perdono il loro significato se ne abusiamo, oppure diventano un modo per non assumersi le proprie responsabilità.
- Ci sono momenti in cui bisogna essere chiari, forti e non equivoci. Ponete delle regole facilmente identificabili e costanti, ma ammettete, solo occasionalmente, una certa flessibilità.
- Il più grande dono che potete fare ai vostri figli è il vostro Sé. Fare il genitore equivale a continuare a crescere nella conoscenza e nella consapevolezza di sé. Questo è un lavoro continuo che ciascuno può portare avanti in qualunque modo gli sembri più adatto. Facciamolo dunque per il bene dei nostri figli e per il nostro.
“Farò ogni sforzo per vedere chi sono veramente i miei figli e per ricordarmi di accettarli per come sono ad ogni età , invece che lasciarmi accecare dalle mie aspettative e paure. Così posso aiutarli a crescere e a realizzare il loro potenziale di esseri unici” (Jon Kabat-Zinn).