“Si è ricchi dal momento in cui si comincia a donare”.
Una buona comunicazione non può essere egoista. D’altronde non si dice della comunicazione che essa è uno “scambio”? Il cammino più breve per essere ascoltato è quello di ascoltare prima di tutto, il miglior modo di trasmettere un’idea è di mettere in condizione l’altro di esprimere la sua. Una comunicazione è riuscita dal momento in cui il nostro scambio permette all’altro di scoprire la sua stessa ricchezza. Un buon comunicatore è allora una specie di “rivelatore” dell’intimo dell’altro. Parlare sinceramente di se stessi significa donare un po’ di noi, ascoltare ciò che l’altro vuole dirci significa accettare quella parte di lui che vuole condividere con noi.
No al potere(e all’autoritarismo), sì all’autorità.
A più riprese, i vangeli segnalano che Gesù sorprendeva le folle con la sua autorità. E’ evidente che per lui il termine “autorità” è privilegiato rispetto al termine “potere”. Gesù non ha mai rivendicato il potere, anzi lo ha respinto energicamente, come nel deserto. Qui egli ha subito la tentazione del potere. Con coraggio e lucidità egli si è rifiutato di entrare in questo sistema malsano di potere che mantiene le dipendenze e le alienazioni.
Chi ricerca il potere esercita per forza di cose sull’altro un’influenza per la costrizione morale, spirituale o fisica. Questa influenza annichilisce chi la subisce.
Quando si parla d’autorità invece, si parla della capacità di parlare senza la paura di dire ciò che si pensa o la paura del giudizio dell’altro. Sicuri di avere qualcosa da donare. J. Salomé dice: “Avere dell’autorità significa al tempo stesso essere riconosciuto come autore e rendere l’altro autore della propria vita” (Pour en finir avec la Planate TAIRE, p. 157.).
Non bisogna però confondere l’autorità con la sua patologia, l’autoritarismo. La prima ha la caratteristica del riconoscimento dell’altro, la seconda è la volontà della persona stessa di esercitare il proprio dominio sull’altro, decidendo che esso deve pensare per forza come noi.
Gesù faceva esistere l’individuo e non si può esistere se non si è riconosciuto e accettato anche nella propria differenza.
Con Gesù l’escluso della società trovava accoglienza, chi si umiliava, schiacciato dalla vita e dalla superiorità dei “giusti”, era accettato e valorizzato e diventava autore della sua vita. Se cerchi di costruire una comunicazione limpida ed efficace, devi assolutamente domandarti se, quello che condividi con lei, la farà crescere risvegliandone il meglio.
No alla dipendenza
Gesù era un essere libero. L’abbiamo visto a più riprese tagliare i ponti che impedivano ogni tipo di progresso. Egli aveva smorzato ogni tipo di manipolazione, anche per ciò che concerne la sua stessa famiglia. Ciò che egli desiderava per se stesso, lo accordava agli altri perché egli amava la gente. L’amore vero non crea dipendenza. Dopo un lungo discorso un po’ fastidioso, diversi discepoli di Gesù fecero marcia indietro. Non volevano più saperne di quest’avventura insieme a lui. Dopotutto essi non erano liberi! Innanzi tutto Gesù accettò la loro presa di posizione ed offrì anche agli altri discepoli la libertà di fare lo stesso: “E voi volete andarvene?” (Gv 6:67).
In questo modo voleva dimostrare che comunicare non era sinonimo di manipolare! Non si tratta di far prendere all’altro la propria decisione. Una vera comunicazione può realizzarsi solo dal momento in cui si considera l’altro come un adulto responsabile e libero nelle sue scelte.
“Se mi sembra di leggerti dentro, si tratta soltanto della mia presunzione e, forse della proiezione di me stesso. Rispetterò nel modo più sincero il mistero che tu sei ed il mistero che sono io”. (John Powell)