L’ho udita anch’io la voce del dolore
silenzio d’impotenza il suo grido
ai cieli lo sguardo
inchiodato ai legni della paura;
s’infrange sulle ferite
l’ultimo orgoglio dell’uomo,
fragile essenza la vita
sospinta negli ancestrali solchi
a perpetrare la progenica storia.
Solo parole intorno,
come queste d’altronde,
troppo poco
per due occhi tesi a pietre
per un’anima che già coglie bagliori d’eterno.
Rimane solo la messianica speranza
la voce di un fuoco che arde il roveto
che da profetici verbi
rinnova anche l’ultima ora
dischiusa a nuovi cieli e nuova terra:
“…tergerà ogni lacrima dai loro occhi,
e non ci sarà più la morte,
né lamento, né affanno”.
Solo Tu ora puoi, o Cristo di Emmaus
che allarghi le braccia
e concedi le tue vesti al tocco delle mani,
solo Tu puoi allontanare l’amaro calice.
Tu, che sai l’infierire delle tenebre
nella resa della sera
quando la smorfia inchioda i silenzi
prima che lo Spirito effonda la sua quiete.
Osserva la lampada appesa alla trave
che combatte gli assalti del buio
e non ricordare il canto del gallo
non il vile prezzo dei trenta denari
ma alza il tuo braccio a placare il vento;
che sia il sereno abbandono a cullare i cuori,
la beata speranza ad accendere fiori di luce
quando il labbro alita l’ultima preghiera
prima del sorriso della resurrezione.