Marco 5:21-42
di E. G. White
Di ritorno da Gadara, Gesù trovò sulla costa occidentale una folla che lo accolse con gioia. Si fermò un po’ di tempo sulla riva del mare per insegnare e guarire; poi si recò in casa di Levi Matteo per la festa dei pubblicani. Qui venne a trovarlo Iairo, il capo della sinagoga.
Questo anziano del popolo d’Israele era angosciato. Si gettò ai piedi di Gesù e gli disse: «La mia figliuolina è agli estremi. Vieni a metter sopra lei le mani, affinché sia salva e viva» (Marco 5:23). Gesù si diresse subito verso quella casa. Benché i discepoli avessero visto molti dei suoi miracoli, rimasero sorpresi per la sua pronta risposta alla richiesta di quell’orgoglioso rabbino; ma accompagnarono il Maestro, e la folla li seguì curiosa.
La casa di Iairo non era molto lontana, tuttavia Gesù e i discepoli avanzavano lentamente a causa della folla. Quel padre era impaziente, ma Gesù provando pietà per la gente si fermava per alleviare i sofferenti e confortare gli scoraggiati. Mentre erano ancora in cammino, un messaggero che si era fatto strada tra la folla annunciò a Iairo che sua figlia era morta e che era ormai inutile far venire il Maestro. Gesù udì quelle parole e disse: «Non temere; solo abbi fede!» (v. 36).
Iairo si accostò al Salvatore e insieme si affrettarono verso casa. Coloro che facevano cordoglio, insieme ai suonatori di flauto, erano già sul posto e riempivano l’aria di frastuono. Quella folla e il tumulto dispiacquero a Gesù, che li fece tacere, dicendo: «Perché piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme» (v. 39). A sentire quelle parole i presenti si indignarono e si fecero beffe di lui, perché avevano visto che la bambina era morta. Ma Gesù, dopo averli fatti uscire tutti, entrò nella stanza dove la fanciulla era stata posta, insieme ai genitori e a tre dei suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni. Gesù si avvicinò al letto, prese la bambina per mano e le disse con dolcezza: «Giovinetta, io tel dico, levati!» (v. 41). Un fremito percorse le membra inanimate. Il cuore ricominciò a pulsare, la bimba aprì gli occhi come se si svegliasse dal sonno e, sorridente, guardò con stupore coloro che le erano intorno. Si alzò, e i suoi genitori piangendo di gioia la strinsero fra le braccia.
Prima ancora che giungesse in quella casa, Gesù aveva incontrato tra la folla una donna disperata che da dodici anni soffriva di una malattia terribile. Aveva speso inutilmente tutti i suoi averi per medici e medicine, ma ricominciò a sperare quando udì parlare delle guarigioni di Gesù. Credeva che sarebbe guarita se soltanto fosse riuscita ad andare da lui. Nonostante la sua debolezza e le sue sofferenze, riuscì ad arrivare sulla riva dove Gesù insegnava, ma non le fu possibile farsi strada attraverso la folla. Lo seguì ancora sino alla casa di Levi Matteo senza però riuscire ad avvicinarsi a lui. Già stava per scoraggiarsi quand’egli, nel farsi largo tra la folla, le passò accanto.
Era giunta l’occasione preziosa: si trovava proprio davanti al grande Medico. Ma per il clamore della folla non poté parlargli e ne intravide appena la sagoma. Temendo di perdere la sua unica possibilità di guarigione si fece avanti pensando: «Se riesco a toccare non foss’altro che le sue vesti, sarò salva» (v. 28). Mentre il Maestro passava, lo raggiunse e riuscì a sfiorare l’orlo della sua tunica. In quell’istante si sentì guarita.
Aveva concentrato tutta la sua fede in quel contatto: subito il suo dolore e la sua debolezza si erano trasformati in vigore e guarigione. Era piena di gratitudine, ma cercò di allontanarsi tra la folla. Invece Gesù si fermò, e insieme a lui la folla. Si guardò intorno chiedendo ad alta voce, perché tutti lo udissero: «Chi mi ha toccato?» (v. 30). La folla si stupì di quella domanda, perché tutti lo premevano da ogni parte. Pietro, sempre pronto a parlare, gli disse: «Tu vedi come la folla ti si serra addosso e dici: Chi mi ha toccato?» (v. 31). Gesù rispose: «Qualcuno m’ha toccato, perché ho sentito che una virtù è uscita da me» (Luca 8:46).
Il Salvatore sapeva distinguere il tocco della fede da quello casuale di una folla noncurante. Una tale fiducia non doveva passare inosservata. Voleva dire a quell’umile donna parole di conforto che sarebbero state una fonte di gioia per lei e una benedizione per i discepoli, sino alla fine dei tempi. Guardando in direzione della donna, Gesù insistette per sapere chi l’avesse toccato. Non potendosi nascondere, la donna tremando si gettò ai suoi piedi. Raccontò con lacrime di riconoscenza le sue sofferenze e la sua guarigione. Gesù le disse con dolcezza: «Figliuola, la tua fede t’ha salvata; vattene in pace» (v. 48). Non volle concedere nessun appiglio all’idea superstiziosa secondo cui il semplice contatto fisico aveva potuto compiere il miracolo. La guarigione era dovuta non al contatto materiale, ma alla fede che si fonda sulla potenza divina. La folla curiosa che si accalcava intorno a Gesù non riceveva alcuna comunicazione di potenza vitale. Ma quella donna sofferente, che lo aveva toccato certa della guarigione, beneficiò della potenza che guarisce.
Lo stesso accade nella vita spirituale. Parlare di religione in circostanze occasionali, pregare senza un desiderio intenso e senza una fede vivente, non serve a nulla. Una fede formale in Cristo, che lo accetti soltanto come Salvatore del mondo, non può assicurare la salvezza all’uomo. La fede che salva non consiste in una semplice adesione intellettuale alla verità. Colui che aspetta di avere una piena conoscenza prima di credere, non può ricevere la benedizione di Dio. Non basta credere al messaggio del Cristo, bisogna credere in lui. La sola fede che salva è quella che lo accetta come Salvatore personale e si appropria dei suoi meriti. Alcuni riducono la fede a una semplice opinione. La fede vera, invece, è l’atto per il quale coloro che ricevono il Cristo si uniscono a Dio con un patto. La vera fede è vita. Una fede vivente produce forza e fiducia che comunicano all’uomo una potenza vittoriosa.