48 – L’alternativa evangelica di fronte al disastro ecologico

1029443201-586x389Di Rolando Rizzo*

Introduzione

Esistono varie concezioni di ciò che fu, e di ciò che è il Cristo. Da avventista del 7° giorno, il Cristo è ciò che l’Antico e il Nuovo Testamento dissero che sarebbe stato, fu ed è il Cristo. Il Cristo del Nuovo Testamento riteneva che l’Antico Testamento, nel profondo, fosse una testimonianza di lui e in vista di lui. Gesù Cristo stesso credeva così: «Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse son quelle che rendono testimonianza di me» (Gv 5:39). E così credevano gli apostoli: «Intorno a questa salvezza indagarono e fecero ricerche i profeti, che profetizzarono sulla grazia a voi destinata. Essi cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle» (1 Pt 1:10-11). Per cui, in questa riflessione, non faremo differenza tra il pensiero profetico teologico biblico dell’intera Bibbia sulla natura e il pensiero del Cristo. Cristo incontra la natura, equivale al pensiero teologico biblico circa la natura.

Cristo è origine della natura

Il Cristo biblico è il creatore della natura che è opera amata delle sue mani: «Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta» (Gv 1:1-3). «Nel principio Dio creò i cieli e la terra» (Gn 1:1). Contrariamente ai miti delle cosmogonie extrabibliche, la natura non è eterna, non è divina, non è una divinità ma è solo una straordinaria, infinitamente variegata, complessa e meravigliosa creatura di Dio; pensata, voluta e realizzata per la gioia dell’essere umano e per la sua propria gloria. Non c’è quasi pagina della Bibbia che non presupponga la natura come creazione straordinaria e straordinario habitat di provvidenza e di amore predisposto per gli esseri umani.

La natura è un variopinto e fruttifero dono di nozze alla prima coppia umana con cui il Cristo vorrebbe vivere in amicizia e comunione per l’eternità. Sul far della sera, Dio scendeva nel giardino per incontrare i suoi figli, come un genitore vicino passa un momento a salutare le sue creature che ha generato per la libertà e per l’indipendenza nella comunione e a cui ha fatto dono di una tenuta ubertosa e immensa (cfr. Gn 1 e 2).

La bellezza e la bontà della natura creata da Dio è intrinseca alle cose ed è sottolineata dall’alterità nella comunione: ogni cosa è diversa ed è in relazione. Il giorno si distingue dalla notte, la terra asciutta dall’acqua, gli animali secondo la loro specie dalle piante secondo le loro specie, l’uomo da Dio. Il Cristo della creazione è il Cristo che contempla a una a una ogni volta gli aspetti della creazione via via che li crea e li trova «buoni», poi contempla la creazione della coppia umana cui tutto ciò è destinato è trova ciò «molto buono». Infine, il settimo giorno, quando tutto è ormai stato creato, il sommo artista si gode per un giorno intero la sua creazione contemplandola e «riposandosi» (Gn 2:1-3).

La natura voluta da Cristo era dolce e pacifica, di questa l’uomo avrebbe dovuto essere il principe giusto e autorevole; era una natura dove trionfava la vita nella quale sia l’uomo sia gli animali erano vegetariani: «Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, e ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento. A ogni animale della terra, a ogni uccello del cielo e a tutto ciò che si muove sulla terra e ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento”. E così fu» (Gn 1:29-30).

Che cosa accade dopo l’ingresso del male?

La natura era una dolce sinfonia di colori e di pace fino a quando l’uomo libero scelse di accettare di vivere in comunione con il suo creatore. A un certo punto l’uomo ruppe la comunione, eliminò  Dio dal giardino mangiandosi il simbolo della sua presenza (il frutto dell’albero monumento posto al centro del giardino), e la natura, privata del principale supporto alla sua armonia entrò in crisi. Lo rivela la sintesi simbolico-teologica che ne fa la Genesi: «Ad Adamo disse: “Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall’albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l’erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai”» (3:17-19).

Il Cristo e la rivelazione biblica guardano la natura, non più caratterizzata dall’armonia e dalla pace originaria, commossi e ammirati: essa rimane comunque uno scrigno di gemme insuperabili, emana dolcezze e profumi, canta ancora la gloria del suo creatore, è la casa dell’uomo da onorare e proteggere. Canta commosso Giobbe: «Ha forse la pioggia un padre? Chi genera le gocce della rugiada? Dal seno di chi esce il ghiaccio, e la brina del cielo chi la dà alla luce? Le acque, divenute come pietra, si nascondono, e la superficie dell’abisso si congela. Puoi tu stringere i legami delle Pleiadi, o potresti sciogliere le catene d’Orione?» (38:31). E Davide: «I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera delle sue mani. Un giorno rivolge parole all’altro, una notte comunica conoscenza all’altra. Non hanno favella, né parole; la loro voce non s’ode ma il loro suono si diffonde per tutta la terra, i loro accenti giungono fino all’estremità del mondo. Là, Dio ha posto una tenda per il sole, ed esso è simile a uno sposo ch’esce dalla sua camera nuziale; gioisce come un prode lieto di percorrere la sua via. Egli esce da una estremità dei cieli, e il suo giro arriva fino all’altra estremità; nulla sfugge al suo calore» (Sal 19:1-6).

Salomone in una raccolta di canti, elogia l’amore, anche quello fisico che esprime il massimo della sua vitalità proprio nella natura: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, poiché, ecco, l’inverno è passato, il tempo delle piogge è finito, se n’è andato; i fiori spuntano sulla terra, il tempo del canto è giunto, e la voce della tortora si fa udire nella nostra campagna. Il fico ha messo i suoi frutti, le viti fiorite esalano il loro profumo. Alzati, amica mia, mia bella, e vieni» (Ct 2:10-13). Paolo, nel Nuovo Testamento, è così ammirato dalla natura da definirla opera rivelatrice visibile della potenza della divinità invisibile: «Infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue» (Rm 1:20).

Gesù, Dio fatto carne per salvare la natura, nel suo passaggio terreno, ne è un osservatore commosso e attento: da essa trae spunti e immagini per i suoi messaggi; nel solo vangelo di Giovanni: il vento diventa simbolo dello Spirito (cap. 3), l’acqua della verità (cap. 4), la mietitura della raccolta escatologica (cap. 4), la luce della sua persona e della rivelazione (cap. 7), le pecore del suo popolo (cap. 10), la vite e i suoi tralci del rapporto spirituale dei credenti con lui (cap. 15), alle doglie del parto corrisponde il dolore della sua morte, alla gioia del parto la gioia della risurrezione (cap 16). Ma forse l’immagine più toccante è quella riportata nel vangelo di Matteo (6:28-30), dove Gesù contempla i gigli selvatici, i prati in fiore e li trova vestiti da Dio meglio di quanto non riuscisse a vestirsi Salomone con le sue ricchezze.

Ma Gesù è ancora più commosso quando incontra colui che era stato creato per essere il principe della natura: l’essere umano. Gesù si commuove alla sua morte e piange (Gv 11), porta guarigione sfidando i tabù che la impedivano (Lc 6). La natura infatti, agli occhi di Gesù, appare rosa dal tarlo del peccato, malata e morente. In Matteo 13:24-30,36-43 il mondo è paragonato a un campo che Dio ha seminato a grano e che nella notte l’avversario vi semina zizzania. Ambedue i semi crescono in maniera inestricabile fino alla mietitura. Nel mondo il male è intrecciato al bene. Sarà necessaria una purificazione finale per separarli, liberare e restaurare la natura.

Cristo e le prospettive della natura

Paolo, il maggiore interprete di Cristo, vede la natura malata fisicamente al pari dell’uomo che lo è spiritualmente; entrambi hanno bisogno di redenzione, di morire e rinascere: «Perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8:20-23).

La redenzione passa attraverso la morte e la trasformazione per opera di Dio che, alla fine dei tempi, distruggerà per sempre il dardo della morte che è il peccato. «Allora questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: “La morte è stata sommersa nella vittoria”. “O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo dardo?”. Ora il dardo della morte è il peccato» (1 Cor 15:54-56).

L’epilogo della natura attuale, contaminata, corrotta e malata, è la distruzione: «Mentre i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della perdizione degli empi… Il giorno del Signore verrà come un ladro: in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate» (2 Pt 3:7,10).

In vista di una nuova creazione: «Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia» (2 Pt 3:13). I profeti di Dio vedono già la natura restaurata:

– nell’Antico Testamento: «Il lupo abiterà con l’agnello,e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. La mucca pascolerà con l’orsa, e i loro piccoli si sdraieranno assieme, e il leone mangerà il foraggio come il bue. Il lattante giocherà sul nido della vipera, e il bambino divezzato stenderà la mano nella buca del serpente» (Is 11:6-9);

– nel Nuovo Testamento: «Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii una gran voce dal trono, che diceva: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate”. E colui che siede sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. Poi mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere”, e aggiunse: “Ogni cosa è compiuta. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita”» (Ap 21:1-6).

La responsabilità morale del degrado della natura e della necessità della sua distruzione per poterla fare rinascere immacolata e benefica, non è di Dio, ma dell’uomo; infatti Dio interverrà alla fine della storia per «distruggere coloro che distruggono la terra»: «Ti ringraziamo, Signore, Dio onnipotente, che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo grande potere, e hai stabilito il tuo regno. Le nazioni si erano adirate, ma la tua ira è giunta, ed è arrivato il momento di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servi, ai profeti, ai santi, a quelli che temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra» (11:18).

La natura vista in modo laico

Visione laica dell’antichità

Gli antichi avevano una visione religiosa della natura; essa possiede l’eternità e ciò che noi chiamiamo morte, nella maggior parte delle culture religiose, era solo apparenza. La natura era eterna come eterna era la vita; per essi era valida questa triplice definizione: «nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Non avendo una visione storica dell’esistenza, il tempo era ciclico in un eterno divenire.

In questa prospettiva, la natura diventava una realtà crudele, dove la vita degli esseri umani era un fenomeno da godersi per quel poco tempo che, non per tutti, risultava godibile. I poeti rinascimentali, spesso, paragonano la vita a foglie, rose… che splendono solo per una breve stagione. Nella natura, matrigna e insensibile, però, era in forse la vita materiale degli uomini, non la vita della natura che appariva al contrario indistruttibile ed eterna.

Visione laica della modernità

La modernità, pur cosciente dei limiti dell’uomo e della fatalità della morte, ha guardato alla natura come a una miniera inesauribile ed eterna contenente tutto ciò di cui l’uomo aveva bisogno per risolvere, in prospettiva, qualunque tipo di problema. L’uomo moderno guardava così alla natura, ma miniera infinita di risorse era anche la sua natura; era assolutamente certo di avere in sé, in prospettiva, tutte le risorse necessarie per utilizzarle razionalmente attraverso la scienza e la tecnologia, sicuro di trovare una soluzione a ogni problema.

– Sulla terra ferma e nel mare c’è cibo per tutti.
– La macchina, sempre più perfezionata, produttiva e veloce avrebbe tratto dalla terra e dai mari tutto il necessario per l’uomo.
– La soluzione dei problemi vitali avrebbe reso inutile le guerre.
– Nel tempo, si sarebbe lentamente affermata la convivenza pacifica.
– Nel tempo, la scienza e la tecnologia, avrebbero trovato soluzioni alla malattia e alla morte.

Questo ottimismo è durato almeno fino alla metà degli anni Settanta: sia il liberalismo borghese sia il marxismo ritenevano di poter realizzare, pur con metodologie affatto diverse, il regno di Dio caratterizzato dal benessere e dalla pace senza Dio, ma solo attraverso la ragione, la scienza e la tecnologia.

Visione laica della natura nella postmodernità

L’uomo postmoderno è un ammiratore dalla natura come mai nel passato, perché la può contemplare da angolature sconosciute agli antichi. – Dalle meraviglie del microscopio elettronico capace di ingrandire sino a un milione di volte, e mostrare la fattura di un ameba come fosse una cattedrale.

– Dai filmati sempre più perfezionati che raccontano per immagini la vita del colibrì e della balena, il pullulare di vite nelle distese polari e nei fondali marini, nelle foreste tropicali e nei deserti africani.
– Dalla possibilità e velocità dei viaggi attraverso i quali l’infinita gamma di colori e atmosfere può essere vissuta, sperimentata, goduta.
– Dalla «creazione», da parte dell’uomo, di specie nuove di frutti e di fiori, di giardini che comprendono quante più specie possibili di fauna e di flora.

L’uomo postmoderno pensa, ama, sogna e ricerca la natura come mai nel passato; nei paesi industrializzati le città si svuotano nei fine settimana, nei mesi estivi il sogno di tutti è riversarsi in montagna e sulle spiagge, o ancor meglio possedere ville immerse nel verde in riva al mare e sui monti. L’uomo postmoderno, però, unica epoca della storia umana, sa perfettamente che la natura è gravemente malata e che la sua malattia, se non si corre ai ripari è mortale. Non è raro trovare studiosi atei che utilizzano il linguaggio dell’Apocalisse per descrivere i suoi mali.

Gli uomini postmoderni che riflettono su questa tematica e ritengono doveroso occuparsi del futuro (molti postmoderni non si occupano del presente e dell’immediato futuro), si dividono in due grandi categorie.

– Coloro che ritengono che la scienza, alla fine, ce la farà a risolvere tutto, e quindi il mondo non finirà; ma gli ottimisti non hanno a disposizione che il fideismo laico; una fede nella scienza quasi che la scienza fosse una divinità amorevole.
– Coloro che stimano che siamo andati già troppo in là e che presto o tardi, il nostro pianeta sarà un pianeta come gli altri conosciuti: un deserto. Se la scienza, teoricamente, avrebbe i mezzi per risolvere i problemi con un saggio uso della tecnologia, in realtà essa sarà sempre più impotente. La rende incapace un mondo frammentato e diviso, laddove la scienza e le tecnologie che ne derivano vengono gestiti dagli uomini politici il cui potere dipende dal consenso immediato delle masse. Queste ultime mai daranno il potere a governanti saggi che, per salvare il pianeta dovrebbero avere, tutti insieme, programmi di riforma radicale della società dei consumi per un ritorno a stili di vita sobri. Purtroppo i pessimisti hanno dalla loro:
– Una caterva di dati e di previsioni sempre più allarmanti.
– La contemplazione di eventi sempre più catastrofici.
– Il sostanziale immobilismo planetario sulle possibili soluzioni scientifiche alle malattie della terra.

Lo stato del pianeta

Le pubblicazioni in merito si sprecano. Per i limiti del nostro lavoro prendiamo in considerazione soltanto tre documenti importanti:

– Il trattato di Kyoto
– Il rapporto del WWF per il 2005
– Un lungo articolo del meteorologo… sui mutamenti del clima a seguito dell’uragano Katrina.

Il trattato di Kyoto: Il trattato di Kyoto è un accordo internazionale per ridurre la tendenza del riscaldamento globale del pianeta che produce l’effetto serra: l’eccesso di emissione di gas (biossido di carbonio, metano, protossido di azoto…) ispessisce gli strati atmosferici in grado di «intrappolare» il calore irradiato dalla terra. Questi strati già esistono e a essi dobbiamo il clima vivibile della terra, i gas in questione rendono la «serra naturale» eccessivamente densa. Se questi strati non esistessero la terra sarebbe mediamente 15° più fredda, il loro ispessimento tende a renderla eccessivamente calda.

Conferenza di Rio de Janeiro (1992): Le Nazioni Unite, in un summit, affrontano per la prima volta il problema. Nell’incontro vengono denunciati dagli scienziati: il ritiro dei ghiacciai, la diminuzione delle nevi perenni, l’incremento dei fenomeni metereologici più estremi.

Convenzione di New York (1997): Ci si pone l’obiettivo di ridurre a limiti compatibili i gas serra nell’atmosfera. Il protocollo votato il 10 dicembre 1997 rappresenta il più grande e importante incontro scientifico-politico mai organizzato sul tema, svoltosi a Kyoto, la più bella città del Giappone, capitale storica dell’impero Giapponese. L’elemento più importante del trattato che scaturì da questo straordinario congresso è l’impegno dei paesi industrializzati di ridurre del 5,2 per cento le emissioni del gas serra rispetto ai livelli del 1990 tra il 2008 e il 2012. Il documento sarebbe ottimo per la salvezza della terra ma rimane un documento in gran parte inefficace per il fatto che: – Gli USA, il principale emissore di gas serra, non solo non lo ratifica ma lo avversa.

– I Paesi in via di sviluppo, il cui sviluppo si realizza spesso in modo sregolato, non lo ratificano. Paesi immensi come: la Cina, l’India, il Brasile. I motivi per cui gli Stati in via di sviluppo gli sono avversi sono chiari: il trattato è costosissimo, e chi per arricchirsi ha messo in pericolo la terra, vorrebbe che ora la salvassero a proprie spese i poveri! Ovviamente, come sempre accade, esistono minoranze di studiosi che contestano la visione catastrofista e le relative motivazioni scientifiche addotte dalla maggior parte degli studiosi. Ma, almeno tre dati sono incontrovertibili. È fuor di dubbio che:

a. Alcuni gas generano l’effetto serra.
b. Le attività umane producono questi gas
c. I 19 anni più caldi dei venti anni più caldi degli ultimi 150 anni si sono verificati dal 1980 a oggi.

È quasi assolutamente certo che, se la crescita di immensi paesi come la Cina e l’India continuerà, i prossimi anni potranno essere, dal punto di vista climatico, anni catastrofici.

Il rapporto del WWF per il 2005

Su Internet,52 il 4 ottobre del 2005 è comparsa una sintesi del rapporto WWF 2005 così come l’hanno recepita 4 importanti quotidiani nazionali come La Stampa, Il Tempo, Il Corriere della sera, Il Giorno. Il titolo generale delle 4 sintesi, e i sottotitoli esplicativi sono assai significativi.

Anno 2050: la terra morirà

Ma allo zombie della porta accanto non interessa. Responsabile della tragedia e ultimo testimone oculare di un pianeta ancora in parte vivibile, la nostra generazione (troppo presa dalla ricerca di griffe, dalla gara per la migliore abbronzatura, dalle schizofrenie televisive e dalla frenetica corsa all’accumulo di capitali e risorse in quantità incontrollata) non sembra dare troppo peso alla tragica notizia. Seguono poi i singoli articoli che riportano rigorosi studi scientifici i quali dimostrano il deterioramento di ecosistemi, risorse e specie viventi rilevati negli ultimi 30 anni. Tre decadi i cui ritmi di consumo delle società più industrializzate sono cresciuti in modo insostenibile per le risorse della terra… Gli esperti del Wwf calcolano che, solo nel periodo considerato, è stato distrutto circa un terzo degli ecosistemi naturali, tra ambienti marini di acque dolci e forestali… Oggi per non far morire il pianeta dovremmo avere un impronta ecologica di circa 2, mentre gli USA ne hanno 10, l’Europa occidentale 5, l’Asia centrale 2, l’Africa 1… L’indice complessivo di biodiversità è passato da 100 a 65. E tutto ciò, senza considerare i giganti della terra (Cina e India) che vanno verso il sogno di sviluppo americano.

La rivista Science, citata da La Repubblica del 31 luglio 2005 (p. 19), afferma che l’oceano si sta spopolando. Negli ultimi 50 anni sono diminuiti del 90 per cento i predatori marini, il 70 per cento dei pesci è sovrapescato (al di sopra della soglia della riproduzione), tonni, marlin e pesci spada si sono ridotti del 90 per cento negli ultimi cinuant’anni… Senza nessuna protezione nei prossimi 10-15 anni sono destinati a scomparire.

Conclusione

– I dati possono non essere puro Vangelo. È già accaduto. La terra può avere più risorse di quante si immagina che ne abbia. Ma non sono illimitate. – Un verme non può rodere all’infinito una medesima mela.
– Non pare proprio che l’insieme degli Stati arriveranno mai a una robusta inversione di tendenza. Ciò potrebbe avvenire solo con feroci dittature assolute! I politici che vivono sul consenso possono difficilmente imporre un mutamento radicale dello stile di vita, assolutamente necessario a guarire la terra!
– Chi sta con Cristo non si pone tra i distruttori della terra: la protegge fino a quando è possibile come protegge il proprio corpo che pure morirà…
– Il cristiano non può che essere ecologista: distruggere la creazione è distruggere l’opera di Cristo e la possibilità di vita che Cristo ha dato agli uomini e i tempi a loro destinati dal Padre
– Il cristiano però è consapevole che la terra morirebbe… se dipendesse dall’uomo.
– Ma Cristo non farà morire questa terra, ma la restaurerà, che secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali giustizia abiti (cfr. 2 Pt 3:13).

*Pastore della Chiesa Avventista del 7° Giorno. Il testo è stato tratto dal tascabile “Gesù dà senso”, edito dall’edizioni AdV.

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