Perché ne abbiamo un bisogno così disperato
Jan Paulsen*
Quando l’Antico Testamento parla della grazia, comprende concetti come quello di un favore immeritato o di un dono, di un’azione benevola a vantaggio di qualcun altro, di bontà e di amore costante. Nel Nuovo Testamento la grazia è bontà e misericordia, una manifestazione speciale della presenza di Dio, della sua potenza e della sua gloria, un dono o un favore, gratitudine, benedizione, qualcosa di amabile. Che concetto meraviglioso! La Scrittura è ricca di riferimenti al favore immeritato che Dio accorda gratuitamente e al suo amore per noi.
Ma esploriamo ulteriormente questo concetto così cruciale a partire dalla lettera di Paolo agli Efesini.
Un attributo divino
«Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo» (Ef 1:2). Paolo inizia e conclude la sua lettera (Ef 6:24) con il desiderio che il suo uditorio faccia l’esperienza della grazia. È tanto una benedizione quanto «una preghiera che i suoi lettori possano conoscere pienamente il favore gratuito, ma immeritato, di Dio che li riavvicina a se stesso accordando loro tutto ciò di cui hanno bisogno».(1)
La grazia proviene da Dio e Paolo continua parlando della «gloria della sua grazia» (Ef 1:6), poi aggiunge l’espressione: le «ricchezze della sua grazia» (v. 7). Come se questo non bastasse a descrivere l’eccellenza di Dio, Paolo rafforza la sua affermazione precedente parlando dell’«immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi» (Ef 2:7). In questo modo l’apostolo esalta sempre di più la grazia divina.
Nell’Antico Testamento Dio si presenta a Mosè in questo modo: «Il Signore! Il Signore! Il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà» (Es 34:6). Gli scrittori dell’Antico Testamento tornano a più riprese su questa rivelazione divina e celebrano la sua grazia. Davide afferma:«Ma tu, Signore, sei un Dio pietoso e misericordioso, lento all’ira e grande in bontà e in verità» (Sal 86:15). Gioele chiama la sua gente al pentimento e dice: «Tornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e pieno di bontà, e si pente del male che manda» (Gl 2:13). Giona, irritato dalla benevolenza divina, prega in questo modo: «O Signore, non era forse questo che io dicevo, mentre ero ancora nel mio paese? Perciò mi affrettai a fuggire a Tarsis. Sapevo infatti che tu sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all’ira e di gran bontà, e che ti penti del male minacciato» (Gio 4:2).
È possibile che Paolo avesse in mente la testimonianza di Dio, quando si riferì alla sua grazia. In Efesini 1:6 arriva a menzionare il concetto ben due volte: «A lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato figlio». Perciò è importante che comprendiamo chi e come é Dio, perché la percezione che ne abbiamo determina in gran parte la qualità della nostra relazione con lui e, quindi, anche la qualità della nostra stessa vita.
Il nostro Dio è il Dio della grazia e la grazia è parte del suo carattere divino. La grazia significa che Dio volge «il suo volto splendente di felicità»(2) verso di noi e ci benedice con dei doni non meritati. Noi possiamo pregare per il suo intervento, ma la grazia non si può ottenere con la forza: è un beneficio dato liberamente da un superiore a un inferiore, dal potente al debole, e trae la sua origine nell’amore e nella compassione. Allora la grazia non è solo una concessione di favore per una persona o un gruppo, ma ha anche un aspetto attivo. Dio aiuta il povero, l’oppresso, l’ammalato terminale e tutti quelli che soffrono. Si rivolge a chi ha bisogno e risponde a quelle necessità che nessun altro può soddisfare. I suoi interventi implicano la liberazione e la protezione, il soccorso e la fortificazione. Dio è anche estremamente interessato alle buone relazioni: la sua grazia è la sua decisione inattesa e amorevole di perdonare le nostre mancanze e di restaurare le relazioni interrotte.
Qualcuno ha detto: «Quando una persona lavora otto ore al giorno e riceve una paga adeguata per il suo impegno, questo è un salario. Quando una persona entra in competizione con un’altra e riceve un trofeo per la sua impresa, questo è un premio. Quando una persona riceve un riconoscimento appropriato per la fedeltà al servizio o per le sue prestazioni, questa è una ricompensa. Ma quando qualcuno non è in grado di guadagnare un salario, di vincere un premio, non merita alcuna ricompensa e riceve quel dono ugualmente, è una ottima illustrazione della benevolenza di Dio. Ecco quello che intendiamo per grazia di Dio!».
Ne abbiamo bisogno
Nel libro degli Efesini Paolo non solo si stupisce delle «immense ricchezze della sua grazia», ma ci fa anche sapere che ne abbiamo davvero bisogno. Dopo aver brevemente descritto il nuovo stato del cristiano, cioè la sua condizione di essere redento, di figlio ed erede di Dio, di persona che ha impresso su di sé il segno dello Spirito Santo come risultato della grazia divina (cfr. Ef 1:3-14), nel capitolo 2 sviluppa una riflessione sulla sua condizione precedente e sulla sua conseguente salvezza. Dobbiamo sapere da dove veniamo. Dobbiamo sapere chi siamo, cioè peccatori, persone destinate alla morte. Non dovremmo mai dimenticarlo, perché se dovessimo perderlo di vista, cesseremmo di apprezzare la nostra salvezza e di far tesoro della bontà e della grazia di Dio.
Ora, cortesemente, leggete il passo di Efesini 2:4-10.
Non solo la parola «grazia» ricorre molte volte in questo passo, ma Paolo ci dice anche che la nostra condizione umana è disperata. Senza la grazia di Dio siamo morti, spiritualmente morti. Siamo schiavizzati e irretiti inevitabilmente nella spirale del peccato. Abbiamo bisogno di essere liberati, di tornare a essere l’unica proprietà del nostro vero Signore, il nostro Creatore. Una nuova vita,(3) quella e niente di meno è ciò di cui non possiamo fare a meno. Ma al di fuori della grazia di Dio non c’è modo di ottenerla.
In questo passo l’apostolo insegna tre cose:
– Primo, la salvezza è interamente per grazia. Lo stesso pensiero è enfatizzato tre volte: «è per grazia che siete stati salvati» (Ef 2:5,8). La seconda volta Paolo rafforza lo stesso concetto aggiungendo «e ciò non viene da voi, è il dono di Dio». E prosegue per esser sicuro che abbiamo afferrato l’idea: «Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti» (v. 9). La salvezza è sempre il libero dono di Dio, se potesse essere acquistata e se potessimo aggiungervi qualcosa, la grazia non sarebbe più tale.
Paul Francisco, raccontando la sua infanzia, scrive che nella chiesa frequentata dalla sua famiglia i piatti dell’offerta erano passati due volte nel corso del servizio della santa Cena. La seconda offerta era raccolta prima della distribuzione dei simboli ed era designata come un contributo straordinario. Quando il ragazzo compì nove anni, sua madre gli dette una moneta da 10 centesimi per la seconda offerta. Dopo averla data, desiderava partecipare anche lui alla Cena del Signore, ma sua madre gli disse: «Non puoi partecipare alla santa Cena per ora».
«Perché no?», rispose lui. «Ho pagato apposta per questo».
La nozione che possiamo pagare per la nostra salvezza o che almeno possiamo aggiungervi qualcosa sembra essere insita nella natura umana.
Spesso gli uomini appaiono troppo orgogliosi per ammettere che sono perduti, impotenti e disperati, per cui non possono contribuire alla loro redenzione. Spesso sono troppo orgogliosi per accettare gratuitamente il dono di Dio attraverso la fede. Ammirare la grazia di Dio significa che dobbiamo scendere dal nostro piedistallo e riconoscere umilmente la nostra debolezza e dipendenza totale da lui. Paolo ci dice: non si può pagare per ottenere la salvezza. Essa si ottiene senza avere alcun merito. Le buone opere sono una conseguenza della salvezza, non la sua base (Ef 2:10).
– Secondo, Paolo presenta la salvezza come un fatto compiuto. Per la grazia di Dio siamo già salvati (vv. 5,8). Abbiamo già la redenzione e il perdono dei peccati (Ef 1:7). In Cristo siamo già stati risuscitati e posti a sedere nei luoghi celesti (Ef 2:6).
– Terzo, c’è anche una dimensione futura. Ciò che Dio ha fatto per i credenti, che è una realtà attuale, sarà pienamente conosciuto solo nelle età avvenire. Per quanto già salvati, la salvezza finale ci è ancora davanti, quando non solo saremo liberati dal potere del peccato, ma anche dalla sua presenza. Guardiamo proprio a questa conclusione finale.
Proseguendo con il testo di Efesini scopriamo che la grazia di Dio non si limita alla nostra salvezza. Nel capitolo 3 Paolo parla della grazia di Dio che gli ha affidato un compito e un ministero particolari (vv. 2,7). Egli aggiunge: «A me, dico, che sono il minimo di tutti i santi, è stata data questa grazia di annunziare agli stranieri le insondabili ricchezze di Cristo» (v. 8).
La grazia di Dio lo aveva reso quale egli era: una nuova persona in Cristo (1 Cor 15:10). Ma non cadiamo in errore! Non solo Paolo è stato chiamato a un ministero specifico, ma ciascuno di noi. «A ciascuno di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono di Cristo» aggiunge l’apostolo in Efesi 4:7, elencando tutta una serie di doni spirituali. Per la grazia di Dio ogni singolo credente ha ricevuto almeno un dono spirituale, senza merito e senza alcuna possibilità di vanto. Questi doni sono stati dati per l’edificazione del corpo di Cristo, la chiesa, per aiutarla a crescere spiritualmente e numericamente, e per favorire la sua unità (vv. 12-16).
Abbiamo bisogno della grazia? Sì, senza alcun dubbio. Ne abbiamo bisogno per la nostra salvezza. Ne abbiamo bisogno per la nostra vita quotidiana. Ne abbiamo bisogno per il nostro ministero. La grazia è il favore di Dio che ci garantisce il necessario per la vita cristiana e per il servizio.(4) E noi lo trasmettiamo ad altri.
Ellen G. White riassume mirabilmente il suo significato: «Dio ama gli angeli privi di peccato che lo servono e sono obbedienti a tutti i suoi comandamenti; ma non accorda loro alcuna grazia perché non ne hanno bisogno, perché non hanno mai peccato. La grazia è un attributo rivelato agli esseri umani che non lo meritano. Noi non lo abbiamo ricercato; al contrario esso fu inviato alla nostra ricerca. Dio gioisce nell’accordare la grazia a tutti coloro che ne sono affamati e assetati. E non ce la accorda perché ne siamo degni, ma piuttosto per la nostra indegnità. Il nostro stato di bisogno è la qualificazione che ci dà la certezza che riceveremo il dono».(5)
Rivelataci in Cristo
Fin qui abbiamo studiato la grazia di Dio e il bisogno che ne abbiamo. Ma manca ancora la parte essenziale: la grazia ci è rivelata in Gesù Cristo. Senza di lui la salvezza non ci sarebbe né ci potrebbe essere offerta come dono gratuito. Perciò, fin dall’inizio, quando Paolo si rivolge ai cristiani di Efeso augurando loro grazia e pace, introduce immediatamente non solo Dio, il Padre, ma anche «il Signor Gesù Cristo». In Efesini 1:6, dopo aver lodato la gloria della grazia di Dio, si affretta ad aggiungere che l’ha donata a noi «nel suo amato Figlio». Questi non è altri che Gesù, nostro Signore. La grazia di Dio ci è accordata in Gesù e in lui soltanto. Se proseguiamo nella lettura, ci viene assicurato che «abbiamo la redenzione… il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia» (Ef 1:7). In che modo? «In lui», in Gesù Cristo, nostro Signore e «mediante il suo sangue». La salvezza per grazia dipende da Gesù che volontariamente ha versato il suo sangue perché potessimo essere liberi, grazie a un dono non meritato. Eravamo morti nei nostri peccati, ma lui ci ha salvati: questa è la grazia.
Gesù ha pagato il prezzo per le nostre trasgressioni della legge divina. Prese su di sé la nostra iniquità perché potessimo godere della sua giustizia. Perciò Dio «ci ha vivificati con Cristo… e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù» (Ef 2:5,6). Paolo si spinge fino al punto di dire che il proposito di Dio per la chiesa si estende oltre la salvezza e la nuova creazione, oltre il progetto della sua unità e della proclamazione del vangelo al mondo. La chiesa deve essere una dimostrazione dell’amore e della grazia di Dio in Cristo per la creazione intera (v. 7). Fate ancora una volta attenzione all’espressione «in Cristo».
La chiesa avventista ha scelto di evidenziare alcuni valori fondamentali, come la qualità della vita, la crescita, l’unità e ciascuno di questi si trova nella lettera di Paolo agli Efesini. Tutti questi valori sono legati alla grazia di Dio; tutti dipendono dal nostro Signor Gesù Cristo. Grazie a lui siamo salvati per grazia e proviamo la gioia di vivere una nuova qualità di vita. Grazie a lui riceviamo doni, ministeri, e tutto ciò che è necessario per la crescita, individuale e collettiva, per la proclamazione del vangelo eterno dell’amore di Dio per l’umanità, e per la conservazione e l’avanzamento dell’unità della chiesa del rimanente.
La grazia è un attributo meraviglioso che deriva da Dio. Ne abbiamo un bisogno disperato, ma ci è offerta in Gesù Cristo, nostro Signore. Accettiamolo come un dono e accostiamoci con fiducia al trono della grazia per mezzo di Gesù, nostro Salvatore e nostro Sommo Sacerdote. «La grazia sia con tutti quelli che amano il nostro Signore Gesù Cristo con amore inalterabile» (Ef 6:24).
Note:
(1) F. Foulkes, Ephesians, Eerdmans, p. 53.
(2) J.S. Kselman, «Grace (OT)», in The Anchor Bible Dictionary, Doubleday, vol. 2, p. 1085
(3) Cfr. Foulkes, pp. 80, 81.
(4) Cfr. Foulkes, p. 98.
(5) Ellen G. White, Testimonies to Ministers, p. 519.