(Conferenza del pastore Da Costa José Carlos personalizzata da Francesco Zenzale)
Nel corso della mia esperienza pastorale, ho parlato con molte persone che hanno vissuto dei traumi nell’infanzia o nell’adolescenza e in conseguenza di queste esperienze, hanno portato per molti anni un fardello di tristezza e d’angoscia. Ho conosciuto delle persone che hanno assunto atteggiamenti riprovevoli per la loro stessa coscienza, con un’intensità emotiva tale da non sperimentare la pace e l’equilibrio interiore.
Tra questa moltitudine di persone, adolescenti, giovani ed adulti, ciò che maggiormente mi ha impressionato è che anche le persone anziane continuano a vivere, nel presente, problemi originati 30, 40 o più anni addietro. Sono persone che non godono pienamente la vita a causa di queste sofferenze interiori.
L’unicità della persona
Per sviluppare una buona stima di sé e acquisire equilibrio interiore, non si tratta solo di fidarsi di se stessi, del mondo e di Dio, ma piuttosto di scoprire la propria unicità. Ogni uomo costituisce un’immagine unica, che Dio ha costruito solo per lui.
La scrittrice E. G. White, ha scritto: «L’uomo possiede in se stesso una ricchezza e una dignità che il mondo non ha mai potuto dare». (Passi verso Gesù, pag. 128)
Che valore date a voi stessi? Quale valore pensate di avere per vostro marito o moglie, per i figli, i genitori o gli amici?
Ci sono persone che percepiscono di non possedere alcun valore. Altre che si ritengono di essere al top della scala dei valori, ed altre ancora pensano di avere una giusta stima di stesse.
Esperienza:
Il Past. Costa, racconta di aver letto la storia di una coppia che durante un viaggio in auto, ad un determinato momento, sfortunatamente, ha avuto un incidente nel quale ha perso la vita. Con loro viaggiava la loro figlioletta di due anni. La bambina era rimasta appena ferita, ma nulla di grave. É stata allora condotta ad un ospedale e lì è rimasta per qualche tempo.
A causa della morte dei genitori, non voleva mangiare e nemmeno sorridere. Giorno dopo giorno perdeva interesse e la vivacità, tipica di una bambina. I medici erano preoccupati. Eseguirono esami medici accurati, giacché temevano che la bambina avesse un qualche problema non identificato dalle prime osservazioni.
Finalmente conclusero che, di fatto, non c’era nulla di anormale fisicamente. Ciononostante, la bambina piangeva frequentemente, specialmente quando la costringevano a mangiare. Si rifiutava, in maniera categorica, di inghiottire qualsiasi alimento.
Una psicologa interessandosi a questo caso incominciò a dedicare alla bambina molto tempo. La prendeva in braccio, le cantava delle canzoncine, e le dava affetto. La stringeva al petto con un atteggiamento “materno”, la baciava, l’accarezzava, la chiamava cara, insomma le offriva protezione ed amore. La bambina ha così incominciato a mangiare, a sorridere… in pratica a vivere.
Possiamo definire l’esperienza della bambina propriocezione. É una parola del vocabolario che ha origine dal latino proprius“ ciò che ci é «proprio» e di (re)ception «ricezione». Un termine coniato all’inizio del ventesimo secolo, dal medico e Premio Nobel inglese Sir Charles Sherrington. Ha chiamato propriocezione “il nostro senso segreto, ossia il nostro sesto senso”.
Chiamato anche cinestesia, questo senso é essenziale per la percezione che abbiamo del nostro corpo, della nostra persona. Esso ci informa, in qualsiasi momento, del luogo che occupiamo nello spazio e delle relative posizioni delle nostre braccia, gambe, testa ed altre parti del corpo. É grazie a questa capacità che siamo in grado di portare le mani al naso con gli occhi chiusi. É questo senso che ci porta a conoscere e ad avere consapevolezza se abbiamo o meno valore per le persone che stanno attorno a noi.
La propriocezione é fondamentale per la percezione del nostro io fisico o corporeo. Ma come può una bambina piccola avere questa capacità?
La verità é che quella bambina aveva sentito nel suo piccolo cuore d’esser stata abbandonata dai suoi genitori e pensava che loro non la volessero più. La bimba non era ancora in grado di comprendere molte cose, ad esempio che i suoi genitori erano scomparsi in un incidente fatale, sapeva unicamente che non era più trattata con le coccole e l’affetto che prima aveva conosciuto. Ed allora non voleva più vivere, perché sentiva di non avere alcun valore, di non essere più amata.
Che valore date a voi stessi?
Che valore pensate di avere per coloro che stanno attorno a voi? Il vostro sesto senso vi dice che non avete alcun valore per le persone che vi stanno intorno? Il marito, la moglie, i figli, i genitori, il datore di lavoro, i professori e gli amici.
Sentite, realmente, di essere amati per quello che siete? Sentite nel vostro cuore un vuoto d’amore? Percepite nella vostra anima la mancanza di un affetto che probabilmente prima avete conosciuto?
Non ignoro l’importanza che ha per ogni bambino il contatto fisico: essere presi ed accarezzati. Oggi, si sa che separare un bambino dalla madre alla nascita interferisce con il legame naturale che si crea per entrambi. Il contatto fisico stimola fin dall’inizio lo sviluppo del neonato ed il sentimento materno della madre.
Esperienza:
É un’esperienza ormai conosciuta (Horlow e Zimmerman), quella delle piccole scimmie allevate in gabbia, alle quali si é impedito qualsiasi contatto fisico con altri animali. Ogni scimmia poteva scegliere tra due “madri adottive” artificiali – una dava loro del latte, ma non offriva alcun stimolo tattile. L’altra non offriva del latte, ma era molto “affettuosa” (era coperta con un panno felpato). Le piccole scimmie potevano avvicinarsi e aggrapparsi ad essa ed erano alimentate in maniera artificiale tramite un biberon. La maggior parte delle scimmie ha preferito questa madre anziché l’altra che allattava, e molte di queste piccole scimmie, alle quali era stato negato il contatto fisico, semplicemente, morirono.
All’inizio del ventesimo secolo, in America, i pediatri hanno notato una tendenza simile tra i neonati: quasi tutti i bambini vissuti in orfanotrofio, prima del 1° anno d’età morivano, anche se erano ben nutriti ed attentamente seguiti dal personale medico dell’istituto.
Tutti noi avvertiamo il bisogno di essere protetti, accarezzati ed amati. Quanti adulti vivono, ancora oggi, con uno spazio vuoto nel cuore, lo spazio della stima, del valore, degli apprezzamenti, che non hanno mai ricevuto dai genitori, e nonostante gli anni che passano, continuano ad aspettare quest’amore?
Ci sentiamo carenti, ne abbiamo la consapevolezza ma non ne parliamo. Amiamo i nostri genitori e sappiamo che questa mancanza d’affetto ed attenzioni non è stata causata intenzionalmente. Non osiamo criticarli, ma non ci sentiamo bene con noi stessi.
Forse abbiamo anche conseguito tutto ciò che volevamo nella vita in termini di traguardi intellettuali, materiali ed anche familiari. Sentiamo, nonostante tutto, che tutto questo non ha riempito il vuoto che avvertiamo dentro di noi. Perché?
Un recente articolo di un grande giornale portoghese racconta di una donna di 70 anni, sposata da 50 anni, che confessava di non avere mai amato il marito, e provava una gran tristezza per questo. La psicologa, autrice dell’articolo, dopo vari incontri con questa donna, finalmente scoprì che questa soffriva di una carenza di amore paterno, che aveva motivato disinteresse per il marito.
La mancanza, da piccola, in particolare degli abbracci del padre, aveva provocato in lei un’incompletezza che, in qualche modo, l’aveva resa impossibilitata ad amare.
“Molti uomini e molte donne hanno il cuore duro perché l’affetto è stato considerato come una debolezza e quindi represso. Le buone disposizioni di queste persone sono state soffocate durante la loro fanciullezza, e se la luce dell’amore di Dio non infrange il loro freddo egoismo, la loro felicità sarà per sempre perduta” (La Speranza dell’Uomo, pag. 367).
Ci sarà qualcuno in queste condizioni?
Vi invito a pensare alle delusioni, alle tristezze che vi hanno accompagnato giorno e notte, principalmente quando eravate soli. Soprattutto nei momenti di solitudine, quando sembra che tutti siano lontani, che nessun ci comprende e che da nessuno siamo ascoltati.
- Per quale motivo esistono tante persone con una famiglia simpatica, professionalmente ed economicamente realizzate, le cui necessità economiche possono essere ampiamente soddisfatte e che tuttavia avvertono un vuoto interiore, una tristezza nell’anima, un sentimento frustrante?
- Per quale motivo esistono tante persone nei paesi più ricchi dell’Europa che si uccidono, e molte di queste sono giovani?
- Per quale motivo tanti medici dicono: “la sua malattia non é di mia competenza, non ho una soluzione per lei”?
Forse nel nostro lontano passato, nella nostra infanzia, ci sono state delle ferite che unicamente Dio può guarire. La verità è che EGLI ha un rimedio per ogni sofferenza, è vuole guarirci queste ferite.
Mosè e il significato della vita
Nella Bibbia le grandi verità non sono state enunciate come dottrine, ma si sono manifestate nella vita del popolo d’Israele, oppure nella vita di un singolo individuo, uomo o donna. Anche la verità biblica, su “Dio ha voluto che io esistessi”, non si trova nella Bibbia come se fosse un catechismo, ma é illustrata nella vita di molti uomini per servirci da esempio.
La vita di Mosè è un’esperienza di sofferenza e d’abbandono. Inizia quando egli è ancora un neonato indifeso.
Il Faraone aveva ordinato che tutti i neonati di sesso maschile nati da donne ebree fossero gettati nel fiume, solo le bambine avevano il diritto di vivere.
Vediamo il testo biblico:
“Il re d’Egitto parlò anche alle levatrici ebree, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua, e disse: «Quando assisterete le donne ebree al tempo del parto, quando sono sulla sedia, se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, lasciatela vivere». Ma le levatrici temettero Dio, non fecero quello che il re d’Egitto aveva ordinato loro e lasciarono vivere anche i maschi”. – Esodo 1:15-17
“Un uomo della casa di Levi andò e prese in moglie una figlia di Levi. Questa donna concepì, partorì un figlio e, vedendo quanto era bello, lo tenne nascosto tre mesi”. – Esodo 2:1-2
Proviamo ad immaginare le emozioni di Iochebed quando rimase incinta per la terza volta. Le sue preghiere erano: Signore fa che sia una femmina!
Invece era un maschio. Per tre mesi Mosè visse in clandestinità. Possiamo supporre che sia stato nascosto in qualche cassapanca dove abitualmente conservavano la biancheria, le coperte, affinché nessuno l’ascoltasse mentre piangeva. Quali erano le parole che più ha ascoltato subito dopo la nascita? “Schiu”, “Sta zitto”! Quante volte gli avranno messo una mano in bocca per impedirgli di piangere?!
Non potendo sopportare più a lungo questa situazione la madre ha pensato ad uno stratagemma per salvare il suo bambino. Leggiamo il testo biblico:
“Quando non poté più tenerlo nascosto, prese un canestro fatto di giunchi, lo spalmò di bitume e di pece, vi pose dentro il bambino, e lo mise nel canneto sulla riva del Fiume. La sorella del bambino se ne stava a una certa distanza, per vedere quello che gli sarebbe successo. “La figlia del faraone scese al Fiume per fare il bagno, e le sue ancelle passeggiavano lungo la riva del Fiume. Vide il canestro nel canneto e mandò la sua cameriera a prenderlo. Lo aprì e vide il bambino: ed ecco, il piccino piangeva; ne ebbe compassione e disse: «Questo è uno dei figli degli Ebrei». Allora la sorella del bambino disse alla figlia del faraone: «Devo andare a chiamarti una balia tra le donne ebree che allatti questo bambino?» La figlia del faraone le rispose: «Va’». E la fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del faraone le disse: «Porta con te questo bambino, allattalo e io ti darò un salario». Quella donna prese il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto, lo portò dalla figlia del faraone; egli fu per lei come un figlio ed ella lo chiamò Mosè; «perché», disse: «io l’ho tirato fuori dalle acque». Esodo 2:3-10
Forse sarà possibile immaginare cosa avrà sentito Mosè, un bambino di appena tre anni, quando é stato strappato dalle dolci mani della sua cara madre, dall’affetto della sorellina e dai giochi con il fratello maggiore, Aronne?
Egli ha lasciato quell’umile casetta, dove riceveva tanto affetto ed amore, e fu portato al palazzo del Faraone, il re d’Egitto. Lì una donna, che egli non aveva mai vista e che non capiva, gli da un nome nuovo, lo chiama figlio, certamente l’abbraccia e lo costringe a pronunciare la parola madre.
Egli deve chiamare «mamma» una persona che non conosce.
- Riesco a sentirlo piangere.
- Riesco a sentire le sue grida quando chiama la sua vera madre.
- Riesco persino a sentire i suoi lamenti, le sue suppliche per avere la presenza della sua vera madre.
Ovviamente egli ha avuto il privilegio di essere educato in tutte le scienze egiziane, ma il suo cuore di bambino preferiva le carezze della madre biologica.
Ci sono sensazioni, odori della nostra madre che sono unici e ci accompagnano per tutta la nostra vita. L’odore di sua madre era unico.
Non é difficile cogliere i traumi ed i blocchi psicologici vissuti da Mosè, quand’era bambino. Non c’è da stupirsi a questo punto che sia divenuto balbuziente. Non é nemmeno anormale che il primo atto di Mosè, scritto nella Bibbia, quando aveva 40 anni, sia stato uccidere un egiziano.
Tutti i sentimenti d’abbandono, di rabbia, di frustrazione, repressi durante tanti anni nel profondo dell’inconscio, sono venuti in superficie e lo hanno fatto diventare un assassino, perché egli aveva una ferita interiore completamente aperta.
Oggi questa ferita sarebbe potuta sfociare nell’uso di droga, pensando che questa avrebbe riempito quel terribile vuoto. Quanti giovani iniziano a drogarsi perché si sentono rigettati dai genitori, dai fratelli, dai compagni, dagli insegnanti, da coloro di cui invece hanno tanto bisogno!
Si sentono sempre rifiutati, finché un giorno trovano qualcuno con il medesimo problema. Qualcuno che parla lo stesso linguaggio, il linguaggio del vuoto interiore (carenza). Ed inizia l’abisso della droga, della prostituzione, del fondo del pozzo, del pozzo vuoto, ossia, di un indirizzo di vita senza speranza.
Ribellione contro i genitori e i professori. Rifiuto della società e della vita. Rifiuto di Dio. Forse qualcuno in questo momento s’identifica con Mosè?
Mosè é cosciente di questo suo atto sconsiderato, da pazzo. Ciononostante ha delle forti emozioni negative che lo portano ad agire in questo modo. Uccidere l’egiziano che vive dentro di lui e che egli proietta sull’egiziano che picchia l’israelita con il quale egli s’ identifica.
“In quei giorni, Mosè, già diventato adulto, andò a trovare i suoi fratelli; notò i lavori di cui erano gravati e vide un Egiziano che percoteva uno degli Ebrei suoi fratelli. Egli volse lo sguardo di qua e di là e, visto che non c’era nessuno, uccise l’Egiziano e lo nascose nella sabbia. Il giorno seguente uscì, vide due Ebrei che litigavano e disse a quello che aveva torto: «Perché percuoti il tuo compagno?» Quello rispose: «Chi ti ha costituito principe e giudice sopra di noi? Vuoi forse uccidermi come uccidesti l’Egiziano?» Allora Mosè ebbe paura e disse: «Certo la cosa è nota». Quando il faraone udì il fatto, cercò di uccidere Mosè, ma Mosè fuggì dalla presenza del faraone, e si fermò nel paese di Madian e si mise seduto presso un pozzo”. – Esodo 2:11-15
Mosè comprende che é rifiutato come Israelita; in questo caso ha unicamente una soluzione: darsi alla fuga.
- Fugge da se stesso. Ma quando scappiamo da noi stessi non riusciamo, in ogni caso, a sottrarci ai nostri stessi problemi.
- Fugge dagli Israeliti, dal suo popolo, dai suoi fratelli di sangue, che lo accusano e lo rifiutano.
- E fugge dal popolo con il quale non si era mai identificato: gli egiziani.
- Mi chiedo se qualcuno qui questa sera sta fuggendo. Qualcuno sente che non sa dove andare, né dove rifugiarsi?
- Fugge da se stesso,
- Fugge dai propri familiari,
- Fugge perché i propri bisogni interiori non sono stati compresi?
Forse qualcuno sente che attorno a sé tutto si allontana?
Mosè vagabondò nel deserto per 40 anni ed un giorno, apparentemente per caso, incontrò Dio.
Dio lo cercò. Finalmente Mosè é pronto per incontrarsi con COLUI che può dargli la cura interiore. Sapete come?
Mosè si accorge che qualcosa di speciale sta succedendo: un pruno del deserto è in fiamme senza bruciare.
Sapete, quando incontriamo Dio, la percezione della Sua presenza non la si coglie come forma esteriore e fisica, ma, soprattutto come consistenza interiore; noi avvertiamo ciò che nessuno può negare.
E Mosè si sente alla presenza di QUALCUNO che non è mai lontano. Qualcuno che è l’UNICO che ha risposte per tutte le nostre domande.
Ed esclama: “Signore, chi sono io?” – Esodo 3:11
Grazie alla presenza di Dio, impara a conoscersi e a comprendere i suoi stessi traumi da bambino.
Non é difficile per Dio spiegargli, ma é difficile per Mosè afferrare, capire che siamo parte di un processo il quale delle volte richiede anni per essere compreso. Dio, ciononostante, é pronto a fare il suo percorso con Mosè, come un padre amorevole spiega tutto, con calma, al figlio.
Mosè, confuso, balbetta con voce tremante: “Chi sono io…?”
- Io non sono né Egiziano né Israelita.
- Ho ucciso un Egiziano per essere un Israelita, per identificarmi con il popolo che è il mio popolo.
- Gli Israeliti non mi hanno accettato, non mi hanno compreso.
- Chi sono io?
La psicologia moderna ci permette di comprendere la profondità dei traumi subiti da Mosè. Sappiamo che l’equilibrio emozionale di un bambino si forma durante la gravidanza della madre e nei primi mesi di vita. Sappiamo che la filosofia di base della nostra vita e la formazione armoniosa della nostra personalità sono costruite nei primi cinque, sette anni di vita.
Durante questo periodo Mosè aveva cambiato madre, cultura, lingua, religione, ecc., tutto s’era completamente alterato in questo importante periodo di formazione.
Un uomo o una donna, che hanno sentimenti come sentirsi indesiderati non possono essere felici.
- Possono essere professionalmente in gamba.
- Possono essere un buon padre o una buona madre.
- Possono essere dei buoni cristiani.
- Ma non possono essere felici.
Dio risponde a Mosè in una maniera sublime, dicendogli chi EGLI è (che è Dio). Conoscendo chi è realmente DIO, Mosè scopre se stesso. Egli scopre di essere parte dei progetti di Dio. Scopre, che amorevolmente il Signore che ha fatto il cielo e la terra non l’ha mai perso di vista.
Siamo unici per Dio, non siamo la copia di nessuno, siamo stati creati ad immagine di Dio.
Fu Dio che decise che Mosè esistesse, venisse al mondo, alla vita, e questo in vista di un obiettivo ben preciso, molto concreto. Noi siamo qui perché Dio l’ha voluto non soltanto nel senso spirituale, ma anche nel senso umano e materiale. Senza volere entrare in merito a disquisizioni sulla sovranità di Dio e la libertà dell’uomo, possiamo affermare: Dio ci ha desiderati ed amati.
«Ma ora cosi parla il SIGNORE, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele! Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà, perché io sono il SIGNORE, il tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore; io ho dato l’Egitto come tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo, io do degli uomini al tuo posto, e dei popoli in cambio della tua vita». – Isaia 43:1-5
Mosè non credeva né nella cicogna, né nell’evoluzionismo. Egli credeva che la nostra origine é nel pensiero di Dio, lontana, sin dall’eternità.
Quando la Terra era ancora informe e vuota, nel magma originale, Dio vide Adamo, scolpito nella polvere, e vide anche ciascuno di noi.
Ed io credo che Dio vide tutte le circostanze della nostra vita fin dal concepimento. Vide la mia nascita nel giorno 28 ottobre del 1950. Dio vide il padre che ho avuto ed anche mia madre. Non c’è stato nessun caso, alcun incidente.
«Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Risposi: «Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: Sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò. Non temerli,
perché io sono con te per proteggerti». – Geremia 1:5-8
Forse questa sera possiamo dire:
Dio ha pensato a me prima che nascessi. Dio ha voluto che io nascessi. Dio mi ha creato per la Sua gloria. Dio mi ha scelto. Dio vuole che io goda della pace interiore.
Non ritornerò a dire:
Non servo a nulla. La mia vita non ha alcun senso. Sono un incidente di percorso, un frutto non desiderato.
“Dio attende con amore infinito la confessione degli uomini tormentati e accoglie l’espressione del loro pentimento. Egli aspetta un segno di gratitudine da parte nostra, come una madre attende il sorriso riconoscente del proprio bambino. Egli vorrebbe che noi capissimo la tenerezza e l’intensità con cui ci cerca. Egli ci invita ad affidare i nostri conflitti alla sua comprensione, le nostre sofferenze al suo amore, le nostre ferite alla sua capacità di guarire, la nostra debolezza alla sua forza, il nostro vuoto alla sua pienezza. Egli non ha mai deluso chi si è affidato a lui. «Quelli che lo guardano sono illuminati, nei loro volti non c’è delusione» (Salmo 34:5). (Con Gesù Sul monte delle Beatitudini, pag. 101).