“La verità contraddice la nostra natura. L’errore invece no, e questo per una ragione semplicissima: la verità esige che noi riconosciamo la nostra limitatezza, l’errore ci illude di avere capacità in un modo o nell’altro illimitate” (Johann Wolfgang Goethe).
“Chi è saggio osservi queste cose e consideri la bontà del SIGNORE” (Salmo 107:43).
È volontà di Dio che ogni essere umano abbia un sereno rapporto con il divino, dal quale possa sgorgare la gioia di vivere nel suo amore e nella beata speranza dei nuovi cieli e della nuova terra (Ap 21:1-4). Questo è stato il motivo fondamentale per cui Gesù s’è fatto uomo. Nel corso della sua esperienza di vita umana Egli ha cercato continuamente e con amore di rivelare Dio per quello che è. In tal senso, celeberrime sono le sue affermazioni relative alla sua unità con il Padre: «chi ha visto me, ha visto il Padre»; «io e il Padre siamo uno» (Gv 10:30); «Il Padre mio opera fino ad ora, e anch’io opero» (Gv 5:17); « le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente» (Gv 5:19); «Vi ho mostrato molte buone opere da parte del Padre mio…» (Gv 10:32), ecc.
A conclusione del sua permanenza su questa terra, Gesù «alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, giacché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati. Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare. Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che mi hai date, vengono da te; poiché le parole che tu mi hai date le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno veramente conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato» (Gv 17:1-8).
Nonostante questa unica e irrepetibile rivelazione dell’amore divino, disgraziatamente, l’uomo persiste nell’avere un’immagine di Dio frastagliata da visioni e interpretazioni contrastanti fondate su personalismi e sulle tradizioni. Come un fiume che nel suo fluire verso il mare s’inquina a causa delle ingerenze dell’uomo, anche l’immagine di Dio, nel corso dei secoli, è stata alquanto deturpata da visioni soggettive e culturali.
Da una parte si accetta il Dio d’amore, misericordioso, capace di essere vicino all’uomo come nessuno mai, dall’altra l’immagine che affiora dall’immaginario collettivo è quella di un essere intransigente, inflessibile, bisognoso di sacrifici, promesse (voti), di pellegrinaggi e di intercessori (i santi) per effondere le sue benedizioni con il conta gocce considerata l’immensa sofferenza che versa l’umanità. Un Dio che manda il male per il bene supremo ed eterno; e che in qualche modo “gioca” con la sofferenza e con le lacrime della povertà esprimendo i suoi giudizi tramite maremoti, carestie, disastri di vario genere, ecc.. E così, di fronte ad una disgrazia, esclamiamo: «Dio se l’è preso!»; ad una calamità, gridiamo: «è un giudizio divino»; ad una particolare sgradevole situazione, con senso di frustrazione, affermiamo: «sia fatta la volontà di Dio»; un modo come tanti altri per venir meno alle proprie responsabilità e ad una sana autocritica sull’esclusione di Dio dalla nostra vita personale e sociale.
È proprio vero che Dio, che è amore, sia a favore della massima «il fine giustifica i mezzi», nel senso che Egli sia complice del male o metta alla prova i suoi figli ai fini della salvezza?
Dio è innocente
Nella teologia biblica il male, in tutte le sue espressioni, è totalmente estraneo a Dio. I suoi occhi sono «troppo puri per sopportare la vista del male» (Ab 1:13); egli è perfettamente giusto (Dt 32:4), in Lui non ci sono tenebre (1 Gv 1:5); Dio è luce (Gv 1:4; 9:5), è amore (1 Gv 4:8). Dio «non si compiace della morte dell’empio» (Ez 33:11) ma lo invita alla conversione, ad accettare il suo perdono affinché viva: «lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; si converta egli al SIGNORE che avrà pietà di lui, al nostro Dio che non si stanca di perdonare» (Is 55:7). «Il SIGNORE si compiace di quelli che lo temono, di quelli che sperano nella sua bontà» (Sl 147:11) ed è felice «di usare misericordia» (Mic 7:18):
Dio non ha nulla a che fare con il male, la sofferenza e la morte; esse sono consequenziali al peccato (Gn 3) e alle nostre scelte di vita.
Dio è innocente![1] Egli non può essere ritenuto responsabile del male che pervade la nostra esistenza. La massima espressione dell’innocenza di Dio la possiamo cogliere nella persona di Gesù. Pilato, prima di consegnarlo nelle mani degli aguzzini, consapevolmente, proclamò la sua innocenza con le seguenti parole: «Io non trovo colpa in lui» (Gv 18:38) e ancora «Ecco, ve lo conduco fuori, affinché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa» (Gv 19:4).
L’innocenza di Dio nella persona di Gesù ci induce a riflettere da una parte quanto egli sia lontano da noi, dalla nostra spiritualità avvelenata da una cultura arcaica e discontinua, dall’altra quanto siamo responsabili della condizione in cui ci troviamo, delle nostre disgrazie e dell’incapacità di sbarazzarci di una visione distorta di Dio.
Diceva Platone «del male, e quindi del nostro far male, il Dio non può essere ritenuto causa. Dio è bene, Dio è immutabile, è semplice, è veritiero, ed è causa di tutti i beni. ‘Theòs anàitios’, Dio è innocente».[2] «Deus nullo modo est causa peccati, neque directi, neque indirecti» (Dio non è in alcun modo e sotto nessun profilo causa del male morale, né direttamente, né indirettamente).[3]
Dio deve essere ritenuto innocente dei mali del mondo, del nostro far male. Noi non siamo determinati dal Divino ad agire male. I fatti dolorosi che caratterizzano l’esperienza umana, sono conseguenti non solo allo status di peccatori, ma soprattutto all’orientamento che diamo alla nostra esistenza. Le nostre scelte di vita, le interazioni sociali e genitoriali, nella fase educativa e/o formativa, condizionano il quotidiano. Questi atti esistenziali, di cui noi siamo responsabili, sono la nostra storia, dalla quale ciascuno trarrà il proprio giudizio alla presenza di Dio il quale prende atto della direzionalità delle nostre scelte.
La nascita, per quanto evento di vita e di aspettative, malauguratamente, segna l’inizio di un percorso che conduce al decadimento, alla non esistenza. L’uomo non nasce per vivere! La vita, dono di Dio, comporta uno spazio di tempo limitato, durante il quale Dio, nel suo amore, ci invita ad intraprende un percorso orientato alla speranza di vita eterna, che non dobbiamo intenderla come un prolungamento dell’attuale, ma come dono di Dio totalmente diversa, che sarà celebrata nei nuovi cieli e nella nuova terra.
Pertanto, se veramente crediamo di avere la possibilità di bypassare la morte, lo dobbiamo solo all’amore di Dio, alla sua misericordia. Sta a noi dunque esseri mortali, nella nostra precarietà creaturale, afferrare la misericordia di Dio.
In breve, dobbiamo fare molta attenzione a non incolpare Dio delle nostre disgrazie, della nostra caducità esistenziale; tutt’altro dovremmo ringrazialo perché, nel suo amore, s’è avvicinato all’uomo, nella persona di Gesù Cristo partecipando alla transitorietà della nostra esistenza (Eb 2: 14-18),[4] offrendoci la gioia della salvezza.
Dio è innocente! Il male non è qualcosa che irrompe dalla mattina alla sera perché Dio, un bel giorno di primavera, delegando Satana, ha deciso di metterci alla prova, con la morte di persone care o di una malattia, ecc. per preparaci per la vita eterna. Non precipitiamo nel male o in una disgrazia nello spazio di una giornata, una settimana e nemmeno in un anno. Il processo è molto più lento; un piccolo cambiamento qua, un compromesso là, una minore rigidità per cercare di restare al passo con i tempi, o per dimostrarsi importanti, oppure per adeguarsi meglio alle tendenze della società e della cultura. A poco a poco, passo dopo passo, ci troviamo a fare cose che in passato le ritenevamo sbagliate, inopportune e che sarebbero state considerate con gravità. È stata questa l’esperienza di Sansone, di Davide, di Giuda, di Pietro che ha rinnegato Cristo, di Anania e Saffira sua moglie, ecc. Uomini e donne, responsabilmente e lentamente sono scivolati nel profondità del tradimento, della passione e purtroppo per alcuni nel baratro della non esistenza.
È vero che ci sono dei testi che estraendoli dal contesto storico – culturale possono indurci a credere che Dio sia all’origine del bene e del male. Ma non lo è! Leggendo la Bibbia, non dobbiamo mai dimenticare che la cultura orientale, talvolta attribuisce a Dio un effetto diretto di tutto quello che succede nella vita. In modo particolare gli agiografi biblici che nella loro contrapposizione tra il monoteismo e il politeismo affermavano che Dio fosse all’origine di tutto: del bene e del male, della disgrazia e del benessere, della vita e della morte. Per questo incalzante motivo, dagli aspetti culturali, politici e religiosi, la Bibbia insiste sul fatto che un solo Dio è all’origine di tutto. Per il pio israelita, non esisteva un Dio del bene e un dio del male, come nelle religioni politeiste,[5] esisteva solo il Signore che riassumeva in sé le due realtà (Is 45:5). Isaia riporta di Dio: «Io formo la luce, creo le tenebre, do il benessere, creo l’avversità; io, l’Eterno, sono quello che fa tutte queste cose» (Is 45:7,8). Di conseguenza, il male come il bene si concepiscono a partire dal Dio unico, anche se l’Eterno non è e non può essere l’autore del male. Infatti, «i suoi occhi sono troppo puri per sopportare la vista del male» e non «tollera lo spettacolo dell’iniquità» (Ab 1:13).
Scrive il profeta Geremia: «la tua malvagità è quella che ti castiga; le tue infedeltà sono la tua punizione. Sappi dunque e vedi che cattiva e amara cosa è abbandonare il SIGNORE, il tuo Dio, e il non aver di me nessun timore, dice il Signore, DIO degli eserciti» (Ger 2:19).[6] «Le vostre iniquità hanno sconvolto queste cose; i vostri peccati vi hanno privati del benessere» (Ger 5:25).
Noi subiamo le conseguenze delle nostre azioni. Il male non è un prodotto confezionato da Dio e da lui fattoci pervenire con la complicità di Satana, perché indignato a causa del nostro agire sbagliato.
Il Dio di Gesù Cristo, non ha nulla a che fare con le cime tempestose delle nostre passioni, con il divorante fuoco delle nostre parole e con il terremoto della nostra esistenza. Egli si presenta all’uomo, pauroso e inadeguato, con «un suono dolce sommesso» (1 Re 19:11-12), come uno che gli sussurra nell’orecchio: «non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà, perché io sono il SIGNORE, il tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore… Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo» (Is 43:1-5).
Dio è innocente ed è un padre che «ha pietà dei suoi figli» (Sl 103:13), che ama, che ci insegna a camminare tendendoci per mano, che cerca di attirarci a sé con legami d’amore e che si china su i suoi figli per dargli da mangiare (Os 11: 1-4).
Nel pensiero Paolino l’uomo è invitato ad «abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3:18-19). Dio, scrive ancora l’apostolo, «è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù, per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù» (Ef 2:4).
Se dovessimo, per un attimo pensare che Dio si sia dimenticato di noi, che sta a guardare i suoi figli senza fare niente, che permette che certe cose accadano, credo che sia importante guardare alla croce, chiedendoci , da una parte, perché Dio ha lasciato che suo figlio sia trattato come un criminale, da efferati, pur essendo innocente; dall’altra perché della gente ingrata, assetata di sangue, all’unisono, abbia scelto di crocifiggere Gesù e di liberare Barabba, un uomo dai risvolti oscuri, un omicida.
Dio è innocente! Perché dobbiamo incolparlo delle conseguenze delle nostre scelte? Scaricandogli addosso, le nostre frustrazioni, la nostra aggressività, le nostre bestemmie, la nostra incapacità di essere veritieri con noi stessi. Non è proprio vero che ci ricordiamo di Lui quando siamo in difficoltà e che lo imprechiamo ingiustamente quando siamo disgustati di noi stessi e della nostra pochezza che con orgoglio facciamo fatica a riconoscere?
Non è Dio che s’è allontanato dall’uomo o che si è dimenticato della tragedia umana, Egli è addolorato per noi, perché lo abbiamo escluso, imbavagliato e relegato nell’angolo più lontano universo; la sua mano «non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire; ma le vostre iniquità vi hanno separato dal vostro Dio» (Isa 59:1ss).
Dio è innocente perché è amore. Egli non ha amore, ma è amore. Questa caratteristica essenziale del suo carattere dimostra che ogni sua azione è motivata dall’amore. L’elezione del suo popolo è fondata sul suo amore (Dt 7:7,8); così anche la sua redenzione (Is 43:4; 63:9). La rivelazione dell’amore di Dio raggiunge la sublime espressione nell’incarnazione: il ministero, la morte e la risurrezione di Gesù. Il suo amore per i trasgressori non è motivato dalle difficoltà dovute alla loro condizione di peccatori, ma solamente perché egli ama ed è questa passione potente che lo spinge ad amare gli uomini malgrado l’abbiamo escluso dallo loro vita e che pretendono di coinvolgerlo quando sono nel bisogno.
L’apostolo Giovanni, contemplando l’immenso amore del Padre per l’umanità perduta, fu pervaso da un sentimento di rispetto e di adorazione. Non trovando parole adatte per esprimerne la grandezza e la bontà, invitò gli uomini a contemplarlo: «Vedete come ci ha voluto bene il Padre! Egli ci ha chiamati a essere suoi figli…» (1Gv 3:1). E ancora: «Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4:8).
Per me Dio è innocente! E per te?
Note:
[1] Dal lat. innocentia, [der. di innŏcens -entis «innocente»]. Mancanza assoluta di colpa o responsabilità, morale o giuridica, in un individuo, per cosciente volontà di rettitudine e di rispetto della giustizia e delle norme morali. (Vocabolario online Treccani).
[2] Citato da Massimo Cacciari in https://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=200 “Oltre il bene e il male”.
[3] Tommaso D’Aquino “Summa Theologiae” I-II, 79.
[4] Cf. Salmo 23; Isaia 43:1-5.
[5] Ancora oggi, la religione dei persiani, migliore del volgare paganesimo, riconosce due principi eterni, sempre in guerra tra loro: il dio Ormuzd, sorgente della luce e del bene e il dio Ahriuman, sorgente delle tenebre e del male. Nell’induismo c’è la trimurti (= tre (tri), immanini (murti) o manifestazioni divine). Così il dio Shiva è presentato con tre volti: lo Shiva trascendente assoluto al centro; lo Shiva creatore a sinistra e lo Shiva distruttore a destra. La trimurti indica anche la triplice manifestazione divina che appare negli dèi Brama, Vishnu e Shilva, ognuno dei quali ha una funzione differente: di creatore, di protettore e di distruttore del mondo. Vedere: Editoriale, Il Cristianesimo e le religioni del mondo – la specificità del cristianesimo, in Civiltà Cattolica, vol. III, 1995, p. 469.
[6] Cfr. Geremia 3: 21-25.