79 – Quattro parole per definire l’amore – 02

  1. L’amore storghé
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Il verbo sterghein designava nel mondo ellenistico l’amore spontaneo e naturale che nasce tra persone unite da legami di sangue, o di parentela di qualunque tipo, ivi compresi i legami geografici, etnici e storici. È il sentire di appartenere a qualcuno, a una dinastia, a una famiglia, a un clan, a un gruppo.

È un amore di appartenenza verso ciò che sento come «mio»: i miei genitori, i miei bambini, la mia donna, il mio villaggio, la mia tribù, la mia patria, la mia squadra di calcio…

Una delle più belle storie d’amore storghé nella Bibbia è quella di Rut e Naomi. È l’amore storghé che, rivolgendosi alla suocera, fa dire a Rut queste parole: «Rut rispose: “Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io, e là sarò sepolta. Il Signore mi tratti con il massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!”» (Rt 1:16-17).

Questa forma d’amore consiste nell’accettazione responsabile dei legami di famiglia che, anche se talvolta sono indipendenti dalle proprie scelte, offrono un destino comune con le persone dell’ambiente in cui si vive. In esso vi è qualcosa di molto istintivo ma anche di molto «sociale» (la tendenza al patriottismo, al sentimento del clan è universale e può arrivare fino alla guerra… o alla furia dei tifosi nello sport!). Quest’affetto verso ciò che ci appartiene, verso ciò che è nostro, generalmente ha un che di possessivo. Ma, allo stesso tempo, può dare una forza capace di portare i legami fino all’eroismo. È quello che ci racconta la tragica storia di Rispa, che ama e protegge i suoi figli contro tutto e contro tutti, anche dopo la loro morte (2 Sam 21:1-14).

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