Da altri capricci il tempo si dipana e se io rimango
fermo con le scarpe slacciate guardando allontanarsi
la tua ombra, almeno tu, Padre, non concedere pause
se non al cuore che si spacca prima dell’ultima parola
affinché io sia dove tu sei, invalicabile e vicino
nella testimonianza del silenzio; e qui ti attendo
per non perdere l’orma che segnala le catene
consumate nella notte.
So che verrai di nuovo a chiedermi con forza
di correre al tuo fianco sulle croste dove più molle
è la sabbia di palude, so che in certe notti quando
vacillerà la fede mi chiederai ancora d’attraversare
insieme vicoli di poveri e di lutti, tra campanelli
d’ospedale e rantoli di padri che cambiano in corsa
le regole del gioco per assistere figli di polveri
bianche e di siringhe in nuvole sfumate d’agonia.
Altro è il segno sul versante opposto
dove il Tempo si fa legge sciogliendo l’uragano
che toglie i veli dal volto delle donne dell’Islam
sfigurate tagliate mutilate per tua accettazione.
Il pensiero rende miserabili le azioni dell’uomo
che tiene stretto in sogno le memorie;
ma di tanto in tanto le costellazioni guidano
ai Tuoi spazi sconosciuti ed io non sono
che un nano bambino di fronte all’universo.
Ora fammi di nuovo abitare la tua orma
per ricominciare da dove le ginocchia cadono
ogni volta che c’è un Giuda da impiccare;
fammi vedere i solchi della piccola croce
che segna i pani prima dell’Ave Maria.